Libri per far leggere? Vite di lettori, piccole biblioteche, vademecum-manifesto

Una serie varia di testi apparsi nell’ultimo anno e mezzo ruotano attorno alla valorizzazione del leggere, in chiave di promozione, orientamento e formazione. Visti nell’insieme, con le scelte di struttura in primo piano, mostrano il rilievo e le contraddizioni del favorire la lettura. E offrono un piccolo inventario di possibili tessere per un discorso critico sulla letteratura che provi a scansare l’attesa di bassa leggibilità e alta autoreferenzialità che spesso lo accompagnano.
 
Questo è un articolo sfilata. Un breve panorama su un filone editoriale i cui segnali si fanno più frequenti, quello di libri sui libri, o meglio dei libri che riflettono sull’esperienza del leggere e che vogliono in diverse forme accompagnarla. Agili volumi di taglio saggistico rivolti al dialogo con un pubblico di non addetti ai lavori, che si cimentano in vario modo sul terreno decisivo e insidioso della promozione e formazione alla lettura. Provo a proporne una vista – un poco – “da lontano” (né close distant), estesa, da fuori, ma nella prossimità, attenta alle cornici che presentano il testo ai lettori e in prima battuta lo legano al contesto.
Comincio con un appello. Sette titoli nell’ultimo anno e mezzo. Marco Baliani, Ogni volta che si racconta una storia (Laterza, 2017), Paolo Di Paolo, Vite che sono la tua. Il bello dei romanzi in 27 storie (Laterza, 2017), Giuseppe Montesano, Come diventare vivi. Un vademecum per lettori selvaggi (Bompiani, 2017), Michela Murgia, L’inferno è una buona memoria. Visioni da Le nebbie di Avalon di M. Zimmer Bradley (Marsilio, 2018), Nuccio Ordine, Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere (La nave di Teseo, 2018), Massimo Recalcati, A libro aperto. Una vita è i suoi libri (Feltrinelli, 2018), The Book Fools Bunch, Guida tascabile per maniaci dei libri (Edizioni Clichy, 2018). Per ordinarli si può cominciare dalle parole chiave che percorrono i paratesti, partendo dai titoli: storie, raccontare, classici, romanzi (in un caso, uno soltanto, indicato per nome, non di un classico); libri e lettori (anche selvaggi o maniaci); vite, vivi, vivere. Se ampliamo lo sguardo anche a risvolti, prefazioni, ringraziamenti, indici, titoli di collana possiamo cogliere nitidi segnali d’ambiente, L’inferno è una buona memoria nasce per «Passaparola», collana che da poco Marsilio ha avviato.
«Da una lettura a una vita: gli scrittori italiani raccontano di sé e del mondo partendo da un libro», così si legge sull’occhiello prima del frontespizio: «E la prima collana che funziona come un gruppo di lettura, e si rivolge ai lettori di narrativa e di grandi classici, di fiction e di autofiction, agli studenti, agli appassionati, ai curiosi». Marco Baliani si presenta come «un raccontatore di storie» che tutto quel che ha imparato, l’ha imparato «strada facendo, praticando la narrazione in ambiti e situazioni molto diversi tra loro», artigiano di quella narrazione orale «che permette ad un racconto di divenire memorabile, al punto di poter convocare un pubblico di ascoltatori in un teatro». E nel libro un indice dei video e un QR code consentono l’accesso a frammenti multimediali di sue performance. L’invito di Giuseppe Montesano a farsi davvero lettori muove dalla necessità di una dissociazione attiva dal mondo mediale che ci circonda («I lettori selvaggi spengono dolcemente gli schermi menzogneri e leggono con tutti i sensi spalancati»). La Guida tascabile per maniaci dei libri è firmata con uno pseudonimo collettivo, The Book Fools Bunch, quasi un gruppo di lettura che indossa i panni dell’autore-critico. E – con una sezione in più rispetto alla prima versione dell’anno scorso – sottolinea l’anello determinante della catena del leggere: I libri imperdibili dei librai italiani («parola tra le più nobili della nostra lingua, come lo sono le parole “maestra” o “falegname” o “pompiere”»).
Le diverse forme-libro proposte da questi testi dicono di un’intenzione di inserimento e interazione con la fisionomia del contesto letterario-culturale che si è costituito nel passaggio di secolo. Un ambiente nel quale un ruolo primario nella diffusione del discorso letterario e culturale è stato assunto da un fitto tessuto di festival e fiere, rendendolo di più un discorso in presenza, basato sulle persone e le personalità, nel quale le forme di incontro fisico fra autori, editori, lettori si sono molto intensificate, con una spinta democratica tutt’altro però che scevra di ambiguità. Un ambiente nel quale il parlare e lo scrivere di letteratura sono – come si sa – sempre meno gestiti da una società letteraria abbastanza omogenea e istituzionalmente qualificata, che ha sempre più il volto di un irregolare reticolo a densità e autorevolezza variabile. Dove una spinta a diffondere abitudine e gusto per il libro e la lettura si è manifestata in vario modo, per impulso pubblico, per l’azione di categorie, gruppi e singoli, facendo in particolare degli ultimi anni una sorta di tempo della promozione del leggere. Dove la letteratura si racconta anche in teatro e le letture pubbliche si sono moltiplicate in spazi estremamente vari e secondo tempi disparati.
Percorre questa serie di testi una centrale e marcata valorizzazione del leggere, che si configura secondo le due grandi prospettive di fondo della promozione e della formazione (per contrassegnarle in fretta: allargare il campo delle pratiche di lettura / produrre una crescita di competenza, avvicinare / radicare, mettere in contatto / cambiare). Nell’insieme le pubblicazioni mostrano di declinarle in tre forme principali: l’autobiografia, il catalogo, la tavola di princìpi, ciascuna caratterizzata da diverse modalità di discorso dominanti; rispettivamente narrativa, descrittivo-espositiva, riflessiva. I tre modelli poi agiscono nei singoli testi che li realizzano variamente, anche con ibridazioni significative. Ne nascono vite di lettori, libri piccola biblioteca e libri manifesto.
Procedo a coppie o terne, dicendo subito che al di là dell’efficacia maggiore o minore di ognuno, della lettura individualizzata, mi interessa qui prenderli in gruppo, perché ben consentono di individuare una tastiera di elementi, un sistema di tessere, per una scrittura critica che – provando a esplicitare con forza il valore della lettura – intenda colloquiare in modo deciso con un orizzonte di pubblico non specialistico.
A libro aperto e L’inferno è una buona memoria formano una coppia asimmetrica e complementare. Giocano l’autobiografia del lettore (dell’uomo, della donna, lettore) sul motivo dell’incontro riconfigurante: la lettura, l’opera che segna, segmenta, modella in altra maniera una persona, un’esistenza (che lavora in noi «come un punteruolo», Murgia). Il discorso sul testo e sul leggere si intreccia stretto al racconto di esperienze: perché leggere (ri)modella le vite; non è un’asettica operazione del sapere, incide a fondo nel nostro essere nel mondo (è «coltello», oltre che «corpo» e «mare», Recalcati). Al plurale in un caso («nove libri dai quali mi sono sentito davvero letto, sin nelle viscere», che raccontano «le tracce essenziali della mia biografia intellettuale e umana»), al singolare nell’altro; mettendo in fila opere capitali di prestigio indiscusso (dall’Odissea a La nausea, da Essere e tempo agli Scritti di Lacan – con Il sergente nella neve e La strada di Cormac McCarthy) o dando invece polemicamente spicco («so di espormi allo sberleffo snobistico») nel suo «strano memoir» a un solo volume, Le nebbie di Avalon, non tanto di sangue nobile: «Ha tutto quello che non dovrebbe avere per essere considerato un libro fondante. […] È solo un libro di letteratura popolare, di quelli che hanno pure la colpa di aver venduto decisamente troppo per non subire l’accusa della dozzinalità». (Proprio quel tipo di libro che «molti intellettuali che conosco non leggerebbero mai, perché non sopportano l’idea di potersi emozionare per la stessa storia per cui fibrilla il cuore della loro parrucchiera», ma che può obbligarci a trasformare lo sguardo sul femminile e sull’immaginario.)
A libro aperto ha un indice suddiviso in due parti: una «teoria della lettura» (così il risvolto) precede il racconto biografico dei libri memorabili che s’iscrivono nell’io, una sezione a dominante ragionativa ne introduce una narrativo-espositiva, una sequenza di ritratti critici realizzati anche come narrazioni d’esperienza, ritratti del libro ma anche di quel che sono stati per chi li ha letti nel momento in cui li ha letti. La formulazione di una concezione del leggere o del raccontare, capace di indirizzare i comportamenti, diventa asse portante in Come diventare vivi e Ogni volta che si racconta una storia, nel vademecum di Montesano come nei «pensieri narrati» di Baliani. Le due agili opere assumono così il profilo di un libro-manifesto, di una tavola di princìpi che possono consentire, a chi sa condividerli e praticarli, di liberare tutto il potere dei testi e delle storie, sperimentarne la vivificante intensità conoscitiva e ricchezza antropologica. Entrambe sono mosse dall’obiettivo di muovere una battaglia contro quella che pare una dittatura digitale, di attrezzare i lettori a riconoscere e usare la forza di attivazione sensoriale di cui tutti siamo forniti e che le opere letterarie sanno mettere in moto e potenziare («la scoperta regalataci dalla lettura profonda è che siamo noi i veri esseri multimediali ed è da neoprimitivi credere che questo potere giaccia magicamente nei nostri dispositivi esterni», Montesano).
Anche Vite che sono la tua. Il bello dei romanzi in 27 storie si presenta come una biografia per letture («ventisette libri, ventisette come gli anni, a oggi, della mia vita di lettore»). Ma anche come un «canone affettivo» e aperto (ogni capitolo-testo si chiude con brevi flash di lettura su Altre storie). Tracciato da chi si è «fidato dell’intensità dell’emozione» e di quel che la lettura ci consente di «riportare» – come da un viaggio: «Una frase. Un’intuizione. Una cosa che ignoravi. […] anche solo una visione. […] una storia che somiglia alla tua […] che avresti voluto somigliasse alla tua». La forma autobiografica si innesta con quella catalogica. Il percorso di evoluzione di un lettore assume soprattutto i modi della proposta di un sistema di libri che contano.
Ai modi del catalogo-antologia, realizzata in chiave alta, saggistica, ricorre Gli uomini non sono isole, itinerario tematico sui poteri positivi dell’umanesimo letterario condotto grazie a una collana di brevi letture da grandi testi. E invece un catalogo-repertorio la Guida tascabile per maniaci dei libri, stilato in forme spicce, cronistiche, come strumento d’uso e induttore di curiosità.
Sono libri che puntano a mettere in contatto con i libri, a favorire un orientamento, a mettere in moto il gioco delle «interazioni» in cui consiste, come ricordava Luigi Meneghello, una delle «virtù» maggiori delle scritture. I dispositivi salienti dell’attivazione dei lettori, di valorizzazione del libro e del leggere, sono dunque volti a informare e introdurre, a chiarire, sottolineare e dare intensità. Ecco allora le diverse maniere di segnalare, avvicinare ai testi: elenco di titoli, riassunto, profilo critico, reinterpretazione inventiva (come quelle di Murgia sulla materia di Avalon), citazione corta, sequenza antologica di brevi passi. E i differenti modi di mettere in scena le esperienze di lettura, narrando l’immersione avvincente, spiazzante, che le accompagna, rievocandone circostanze e memorabilità, connessione con legami affettivi, intellettuali. O le soluzioni stilistiche d’evidenza, come le metafore che sintetizzano l’idea del libro in Recalcati.
Scrivere per valorizzare il leggere, il narrare, pone innanzi tutto un problema di registri e tono. Spinge a una ricerca di nitidezza comunicativa che questi testi nel complesso ben realizzano. Spinge a una ricerca di intensificazione, rilievo, impatto, vivacità che porta con sé, ricorrente, l’insidia dell’enfasi. Dell’enfasi dell’io che si racconta, che si mette alla ribalta con i suoi entusiasmi, epifanie, commozioni. E dell’enfasi delle idee che si propongono. Non sempre scansate in questi libri, che poco sfruttano il pedale-antidoto dell’ironia.
Gli autori con passione e impegno si confrontano con – ed esibiscono – le contraddizioni della promozione, del potenziamento della lettura. Spingere verso, indicare come si fa (con l’alto rischio del dirigismo autoritario) un’attività che – in primo luogo, soprattutto – per rilasciare le energie e i nutrimenti che sa offrire dovrebbe essere liberamente scelta e configurata. E trovarsi così a proporre una parola che si vorrebbe internamente convincente, in forma d’ingiunzione, compresa di sé, antidialogica.
Il ricco vademecum di Montesano sceglie il linguaggio della perorazione, della chiamata, in cui risuona l’impulso potente di un impegno intimo, di una vocazione contagiosa, ma man mano si irrigidisce, lascia intravedere una prospettiva di arruolamento degli eccellenti che restringe molto le sue potenzialità di incidere su un mondo dei lettori tanto variegato, in cui il dialogo più importante da costruire non è quello con i lettori forti, ma quello con i lettori intermittenti, precari, intermedi.
Questa sfilata, questo veloce itinerario fra una serie di libri, ci mostra – è questo che mi interessa soprattutto – un ventaglio di forme. Il punto di vista è quello di provare a pensare al “libro di critica”, alla scrittura saggistica in un regime di elasticità architettonica. Credo operazione oggi nient’affatto secondaria, anzi particolarmente essenziale, per un tipo di critica che non si accontenti di parlare solo a pochi, per mettere a punto modi di scrittura che sappiano scardinare, a partire dalle strutture e dal linguaggio, l’attesa di bassa o nulla leggibilità e alta autoreferenzialità che ormai accompagna la saggistica letteraria. Si tratta di prendere molto seriamente anche le risorse di forme semplici, brevi, di servizio, discontinue, catalogiche, o narrativizzate. Provando magari a reinventarle o usarle in maniera agile ma dinamica ed esigente. Chiudo allora ricordando una recente proposta-provocazione di Paolo Di Stefano, quella di un «Mereghetti della letteratura» («Corriere della Sera», 3 dicembre 2018), sulla quale si dovrebbe riflettere non solo sul terreno di una critica giornalistico-militante.