Notizie dalle blogosfere

Il formato lit blog ha ormai vent’anni di vita, e deve vedersela con l’invasività galoppante dei social network. Morfologie e funzioni dei siti di approfondimento letterario hanno dovuto fare i conti con l’evoluzione delle dinamiche online, operando scelte diverse in termini di organizzazione del lavoro, stili di intervento culturale, e soprattutto nella modulazione di un rapporto sempre più osmotico con il campo culturale offline.
 
Come è accaduto alle altre pratiche discorsive, anche il dibattito attorno ai libri passa ormai necessariamente dalla Rete. L’ovvietà dell’assunto può forse essere mitigata da qualche osservazione preliminare. L’espansione dello scambio informativo indotta da Internet ha mutato i modi stessi della produzione di cultura, se non altro perché la quantità di contenuti disponibili ha subito un salto di scala mai visto prima nella storia. Più interessante è osservare come proprio la rapidità dello sviluppo tecnologico, che a ogni anno che passa plasma in misura maggiore le nostre vite, abbia innescato mutazioni e riconfigurazioni dei materiali critici presenti nell’infosfera digitale: nell’ultimo quinquennio sono variate le loro morfologie, le funzioni e i modi di interazione reciproca. Si tratta di un processo in corso; la complessità del fenomeno, gli ordini di grandezza coinvolti e la velocità del suo andamento non permettono – almeno a chi scrive – di intuirne per ora coerenti direzioni evolutive.
Com’è noto, in Italia la migrazione dei contenuti critico-letterari dal cartaceo al digitale ha visto una prima fase di consolidamento più di tre lustri or sono, nella prima metà degli anni zero, quando sono nati, tra gli altri, «Carmilla», «Nazione Indiana», «Lipperatura», «Wu ming foundation» (su tirature ’11 ne ha ragionato Bruno Pischedda, facendo il punto sul panorama di allora).
Si trattava di spazi sorti in concomitanza alla crisi delle terze pagine dei quotidiani cartacei, ma precedenti al restyling delle stesse nelle vesti graficamente ammiccanti di contenitori culturali domenicali. L’humus coesivo e il lievito militante della prima ondata di lit blog erano invece costituiti da un controposizionamento polemico nei confronti establishment della cultura e dell’ufficialità dei suoi dispositivi di mediazione (grande editoria, stampa, università), avvertiti come atrofizzati e non più in grado di parlare a una nuova generazione di opinione pubblica colta o medio colta. Da questo punto di vista, è perfettamente corretto osservare, come è stato fatto, che le distese vergini della Rete siano state il grimaldello nuovo di una dinamica antica nella storia otto-novecentesca degli intellettuali, favorendo l’ingresso sulla scena letteraria di outsider o di soggetti che si autorappresentavano come tali. Le tensioni tra aggressività iconoclasta nei confronti dell’istituzionalità culturale e i rapporti professionali dei collaboratori con la stampa e il campo editoriale librario hanno costantemente innervato l’evoluzione di questi spazi, generando conflitti a volte fecondi, in termini di vivacità e profondità del dibattito, a volte irrimediabilmente ombelicali.
Negli anni successivi, la capienza illimitata del web e l’abbattimento dei costi di produzione online hanno portato a una vera e propria esplosione di lit blog e webzine. Il risultato è che oggi, anche senza indulgere al “panico digitale”, ogni tentativo di mappatura dei singoli luoghi letterari presenti in Rete deve considerarsi inane in partenza: i siti preposti alla discussione libresca sono talmente numerosi, eterogenei e volatili da vanificare ogni pretesa di censimento. A sabotare un compendio ragionato è anzitutto l’opacità delle metriche quantitative – per intendersi: il numero degli accessi unici giornalieri e quello delle pagine visitate. Dati pubblici, omogeneamente tarati e validati da terzi non sono sempre disponibili, per cui in molti casi non resta che affidarsi ai questionari e alla buona fede degli amministratori dei siti. E possibile tuttavia ragionare su alcune tendenze di fondo.
Il primo fenomeno riguarda la curva temporale disegnata dall’ingresso dei lit blog nell’infosfera online: il picco di affollamento si è registrato nel quinquennio 2008-2013, quando piattaforme dedicate all’«approfondimento culturale», alle inchieste sul mondo editoriale, alla recensione o segnalazione di libri e/o alla promozione di nuove scritture creative spuntavano come funghi: nel 2009 nascono «Sul Romanzo» e «minima&moralia», nel 2010 «Il lavoro culturale», dall’anno successivo sono attivi «Doppiozero» e «Le parole e le cose», «minima&moralia» è espressione delle forze intellettuali gravitanti attorno dell’editore romano minimum fax, e può dunque all’inizio avvalersi delle risorse e delle strutture della sede editoriale: già dopo cinque anni di presenza online, il sito si è conquistato un’eco e un’autorevolezza nel panorama nazionale – trentamila contatti unici per alcuni articoli – che nel 2014 permettono l’indipendenza dalla casa madre. «Il lavoro culturale» e «Le parole e le cose» nascono invece in ambito accademico, in reazione alle gerarchie asfittiche e alla scarsa incisività culturale dell’editoria periodica universitaria. Il primo è un progetto dal basso, animato da «precari della ricerca e dei lavori cognitivi» nell’università di Siena, e offre materiali compositi distribuiti sullo spettro variegato delle scienze umane e delle arti: letteratura sì, un poco, ma soprattutto saggistica economica e politica, eventi artistici, fotografia, sociologia, cinema, urbanistica, diritto. A più esplicita vocazione letteraria, fin dal titolo, «Le parole e le cose. Letteratura e realtà», che funziona come aggregatore di contenuti ad alta riconoscibilità stilistica: accanto ai prodotti originali, il sito sfrutta il potenziale connettivo e archivistico della Rete per riproporre, rilanciandoli, scritti già apparsi in formato cartaceo o in altri luoghi online. Ad animare il progetto, molto coerente nelle sue opzioni di fondo, un gruppo di critici letterari strutturati nell’università e nella scuola, nonché gli scrittori di tendenza sperimentale che meglio incarnano l’idea di letterarietà propugnata dai primi.
Il secondo dato d’interesse riguarda il formato: questi siti, e molti altri, si differenziano per riscontri numerici, contenuti e stili, indirizzi ideologici e di politica culturale, pubblico di riferimento, ma sono accomunati dall’identica adozione della morfologia del blog, sul modello dei pionieri di inizio millennio. Il blog è uno spazio interattivo dal funzionamento elementare: è costruito sull’accumulo continuo, preferibilmente quotidiano, di contenuti eterogenei e tra loro autonomi, ciascuno dei quali è aperto ai commenti dei lettori e indicizzato da tag che ne permettano la reperibilità sui motori di ricerca. Si tratta di una struttura onnivora e parcellizzata, che perciò risponde bene alla semantica della Rete: i post raggiungono i destinatari in modo spesso casuale, attraverso l’interrogazione e i percorsi dell’albero di navigazione, e sono oggetto di lettura veloce e discontinua, spesso sincronica rispetto ad altre attività che l’utente sta svolgendo online. Se i generi di discorso praticati nei lit blog sono dunque variati, ma pur sempre definiti entro una gamma ristretta di possibilità – inedito letterario, articolo, recensione, intervista, segnalazione di eventi culturali – forme e intonazioni di scrittura dovranno invece adeguarsi a un’esigenza comune di scorrevolezza e incisività: lo scopo è catturare l’attenzione di un lettore sottoposto a un gran numero di flussi informativi concorrenti, e sollecitarne l’interazione, in modo da massimizzare numericamente gli accessi al sito. Contro pareri autorevoli, va detto che la partecipazione di molti al dibattito non implica necessariamente un abbassamento del livello del discorso: semplicemente, la struttura produttiva UGC (user generated content, contenuto prodotto dall’utente), allargando l’agone delle idee e moltiplicando l’immissione dei contenuti, li stratifica lungo un gradiente più ampio di qualità e appropriatezza argomentativa.
In ambito italiano, peraltro, la circolazione online ha avuto ripercussioni importanti e nient’affatto corrive proprio dal lato dell’offerta letteraria, a partire dalla genetica dei testi: di norma la trafila prevede una prima stesura in Rete, la condivisone sui lit blog e infine la riscrittura in vista di un eventuale approdo nelle tradizionali vesti dell’edizione libraria; ma i dispositivi di diffusione ne hanno ovviamente condizionato anche le morfologie. Se è noto che uno dei maggiori casi letterari degli anni zero, Gomorra di Roberto Saviano, è nato da una serie di post che l’autore pubblicava su «Nazione Indiana», la più intensa promozione di inediti online ha riguardato generi sperimentali di norma trascurati dall’editoria mainstream, quali il racconto breve, la poesia, il lacerto ri-assemblato, la “prosa in prosa”. Esemplare a questo proposito l’attività di «GAMMM. literature, criticism, installation(s), post poetry, asemic writing, research», il sito bilingue che dal 2006 ospita scritture “di ricerca” (nell’accezione sono comprese video e audio arte): uno spazio che ha contribuito a imporre nel campo letterario una nuova ondata di avanguardismo nazionale, aggiornandone la dignità estetica anche attraverso il confronto costante con esperienze estere; con tutta evidenza, siamo di fronte a una strategia di presenza resa possibile solo dalla con divisione e dallo scambio in Rete. (Si veda su tirature ’10 Stefano Ghidinelli, La poesia che non sta nei libri.)
Infine, il terzo e forse più intrigante motivo di riflessione suscitato dalla variegata galassia dei Ut blog risiede nei modi di organizzazione produttiva: la loro evoluzione ha comportato negli ultimi anni lo sfondamento della barriera virtuale, nelle forme di una crescente permeabilità tra ambito online e istituzioni offline.
Per quanto riguarda la logistica di intervento, l’esigenza di rimanere attivi e visibili sulla Rete coincide con la quantità di materiale che vi si immette e con il suo rinnovamento ininterrotto: di qui derivano la natura preferibilmente collettiva del lavoro e l’opportunità di redazioni numerose. Entro questo assetto di base, possono darsi due varianti organizzative, cui fanno riscontro diverse fisionomie di militanza culturale. Nei blog più blasonati, a prevalere è un’opzione più vicina al formato novecentesco della rivista di cultura, dove a dirigere i lavori è un gruppo fisso di collaboratori principali, ciascuno dei quali è responsabile della scelta dei contenuti offerti: a questo nucleo d’indirizzo si affianca poi una pletora di contributori occasionali, che forniscono materialmente i testi. Di solito, questa scelta di coordinamento sortisce sia una cifra stilistica più omogenea e riconoscibile, selezionando un’utenza più consapevole e avvertita della media, sia una maggiore eterogeneità culturale degli argomenti proposti. Nei portali più grandi, come «minima&moralia» o «Doppiozero» – ma lo stesso accadeva e accade nei blog più vecchi – la letteratura non è che una parte, spesso minoritaria, di ciò che si pubblica; il dibattito critico sull’attualità politica, sulle questioni sociali più urgenti, sul ruolo degli intellettuali e sul loro mandato, si affianca a segnalazioni o ricognizioni cinematografiche, teatrali, televisive, musicali, espositive.
La seconda modalità di lavoro, più autenticamente internettiana nella sua tendenza bulimica, prevede redazioni ancora più nutrite, ma operanti con un maggior tasso di disintermediazione: un numero altissimo di collaboratori posta direttamente sul sito. Questa opzione può comportare, all’opposto, un interventismo anodino e centrifugo, anche quando è precauzionalmente rinserrato entro le rassicuranti maglie di una sorta di monocultura libresca: portali come «Critica Letteraria» o il più popolare «Mangialibri» – più di cinquanta collaboratori il primo, circa un centinaio il secondo – si offrono a tutti gli effetti come macrocontenitori di un profluvio di sparse recensioni librarie.
Per quanto tuttavia queste strutture sortiscano proposte culturali dissimili, e dunque si rivolgano a destinatari difformi per interessi e bisogni, il panorama complessivo delle blogosfere – il plurale è d’obbligo – sembra configurarsi come uno sciame di nicchie ultraparcellizzate, ma tra loro potenzialmente comunicanti. E ben vero che l’interesse per i libri riguarda una minoranza degli utenti online, ma l’assetto “a frammenti” è determinato dalle stesse logiche produttive di Internet. Da una parte esse agiscono secondo il principio della cosiddetta “coda lunga” per cui l’abbondanza strabiliante dell’offerta permette al sistema di reggersi anche sulla distribuzione di piccole quantità di moltissimi prodotti diversi – dall’altra i contenuti eterogenei si distribuiscono su piattaforme sì separate, ma pur sempre poste a un solo clic di distanza le une dalle altre.
Il punto è che il lavoro sui lit blog è per lo più lavoro gratuito: per chi vi scrive, la remunerazione è costituita da un ritorno di visibilità nel campo culturale. Di qui anche la portata strategica che nell’universo degli spazi letterari online ha assunto la sempre maggiore invasività dei social network, che generano traffico e condivisioni a catena, accrescendo potenzialmente la risonanza di un post, di un dibattito, di un testo, di un autore, e dunque il suo indice reputazionale. Sul lungo periodo, tuttavia, e in specie per siti che ormai hanno più di un lustro di vita alle spalle, la manutenzione ininterrotta può comprensibilmente rivelarsi troppo onerosa in termini di tempo e fatica. Si capisce bene perché, rispetto agli anni aurei del boom della blogosfera letteraria, le esperienze consolidate siano in diminuzione: è notizia recentissima, mentre scrivo, la chiusura della prima serie di «Le parole e le cose».
L’esigenza di finanziare il proprio progetto culturale è stata peraltro affrontata secondo strategie piuttosto uniformi: se la scelta di ospitare pubblicità è stata non sorprendentemente compiuta dagli spazi più popolari, le altre opzioni praticate hanno necessariamente guardato oltre i confini della Rete. La prima e più immediata, accessibile anche a blog di piccole dimensioni, è la fondazione di un’associazione culturale. E questo lo strumento istituzionale che dal punto di vista legale permette l’accesso al crowdfunding, e dunque consente la raccolta di denaro dal basso. La seconda e conseguente linea di intervento sono le collaborazioni con le istituzioni del territorio: tipicamente, la presenza a festival, rassegne ed eventi culturali, o le partnership con le sempre più diffuse scuole di scrittura. Su questa strada, per esempio, si è mosso intelligentemente il collettivo di «La Balena Bianca».
Infine, non ultimi, ci sono i rapporti con l’editoria tradizionale, che possono darsi in modi diversi. Mentre l’invio di libri da parte degli uffici stampa degli editori è prassi comune, e segnala il riconoscimento di una forma di critica militante a lungo ignorata dagli addetti ai lavori, molti siti letterari sono diventati anche agenzie di scouting, piazzamento e editing: è il caso, fra molti, di «Sul Romanzo». Altri, forti dell’autorevolezza conquistata online, hanno dato vita a case editrici di e-book, parallele all’attività di blogging, come ha fatto «Doppiozero».
Per i singoli collaboratori, che spesso diversificano la propria presenza in Rete su diverse testate, gli approdi più ambiti riguardano tuttavia quegli istituti culturali che, se non altro per dominio sociogenerazionale, ancora legittimano un’attribuzione di valore economicamente corrisposta: su tutte, la stampa periodica e i media generalisti. In questa corsa all’autopromozione, i social network sono spesso strumenti più svelti ed efficaci dei “vecchi” lit blog. L’esercito di giovani booktuber offre ai follower coetanei intrattenimento e abbondanza di suggerimenti di lettura, mentre l’apparizione dei più seguiti fra costoro nei programmi del Salone del libro o di Bookcity ne certifica risonanza mediatica e potenziale commerciale. Le patinatissime fotografie di “colazioni mattutine con libro in vista” postate quotidianamente da Petunia Ollister, alias la milanese Stefania Soma, hanno riscosso un tale successo su Instagram, Twitter e Facebook da assicurare all’autrice collaborazioni con Radio2 e «Robinson», il supplemento culturale di «la Repubblica»; i post sono infine diventati un libro, Colazioni d’autore, edito da SlowFood. Che il formato del lit blog abbia esaurito le sue potenzialità espansive? Lo scopriremo navigando.