Taccuino bibliotecario

Nel 2018 la Regione Puglia ha deciso di investire 120 milioni di fondi europei destinati allo sviluppo regionale per la creazione di 123 nuove “biblioteche di comunità”. L’obiettivo è quello di ricucire il tessuto sbrindellato delle relazioni sociali nelle grandi metropoli come nei piccoli centri, contribuendo a colmare le divisioni sociali e a rianimare la vita delle nostre comunità. Però le difficoltà sono sempre in agguato: i finanziamenti del bando copriranno i costi delle nuove infrastrutture, ma chi penserà alle figure professionali necessarie per mettere a frutto la pioggia di milioni caduta dal cielo?

Nelle acque stagnanti delle biblioteche italiane è stato lanciato un sasso che promette di scatenare un piccolo tsunami: nel 2018 la Regione Puglia ha deciso di investire 120 milioni di fondi europei destinati allo sviluppo regionale (Fesr) per la creazione di 123 nuove “biblioteche di comunità”, un investimento con ben pochi precedenti e senz’altro un caso unico nel panorama del meridione italico.
Il bando Community library dell’assessorato regionale all’industria turistica e culturale rientra nella strategia denominata “Smart-In” per il rilancio del patrimonio culturale regionale, con l’obiettivo di garantire la valorizzazione, la fruizione e il restauro dei beni culturali della Puglia. Seguendo l’esempio di molti altri paesi europei, l’amministrazione regionale ha individuato nella cultura il driver privilegiato per dinamizzare l’economia e un fattore in grado di garantire livelli di coesione sociale più elevati sul proprio territorio: tema à la page, a cui si collega una letteratura molto ampia, ma che raramente in Italia è andato al di là della retorica molto politically correct della centralità della cultura per assurgere al livello di interventi pianificati, finanziati e – soprattutto – realizzati con coerenza.
Il bando prevedeva la possibilità di proporre interventi di ristrutturazione o restauro di edifici in disuso, di adeguamento funzionale, di miglioramento dell’accessibilità, di innovazione tecnologica e organizzativa, tesi a innovare e incrementare in maniera permanente nuovi servizi e a garantirne la sostenibilità anche grazie al coinvolgimento nella gestione di «istituzioni culturali e scientifiche, associazioni culturali e altri partner rilevanti nei campi dell’innovazione della cultura e del territorio».
Inizialmente finanziato con 20 milioni di euro, dato l’enorme – e probabilmente inaspettato – successo ottenuto (162 sono i progetti presentati), il monte contributi è stato successivamente aumentato del 600%, fino ad arrivare alla ragguardevole cifra di 120 milioni. Tra le province più virtuose per numero di progetti finanziati si segnalano Lecce (32), Foggia (27) e Bari (23); tredici le proposte premiate per Taranto e provincia, nove nel brindisino, sette le iniziative a Barletta-Andria-Trani. Il 90% dei contributi hanno finanziato progetti di enti locali, il restante 10% sono andati a università, scuole e privati.
L’intervento assume un significato particolare perché la regione Puglia, nel ranking delle statistiche sulla lettura in Italia, è da molti anni fra i fanalini di coda delle regioni italiane: secondo i dati Istat, nel 2017 i lettori pugliesi che hanno letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi per motivi non scolastici sono stati il 27,6% del totale, a fronte di una media nazionale del 41 %. Peggio hanno fatto soltanto Campania, Calabria e Sicilia; nella parte alta della classifica si trovano le province autonome di Trento e Bolzano e il Friuli –Venezia Giulia con tassi quasi doppi rispetto alla Puglia, superiori al 50%. Lodevole, quindi, l’intenzione di agire la leva dell’incremento degli indici di lettura mediante l’istituzione di biblioteche di nuova generazione, in grado di incidere sia su una delle funzioni costitutive di questo istituto – la lettura, appunto – sia su altre dimensioni, legate alla coesione sociale, al sostegno all’inclusione di giovani, anziani, stranieri, al rafforzamento delle dinamiche intergenerazionali, al potenziamento delle competenze di cittadinanza dei cittadini e via discorrendo.
Il terreno per il bando è stato preparato nel 2015 grazie a un lavoro di indagine sul campo promosso dal Centro per il libro e la lettura del Mibac e realizzato con la collaborazione dell’Anci da Antonella Agnoli e Vincenzo Santoro. La ricerca ha consentito di analizzare quaranta sedi bibliotecarie in comuni di varia dimensione, rilevando il livello delle strutture e dei servizi offerti, la consistenza del patrimonio librario, l’accessibilità al pubblico, gli orari di apertura, con particolare attenzione alle iniziative rivolte ai bambini. Fra i territori indagati c’era anche la provincia di Lecce, risultata particolarmente debole a conferma della stretta correlazione fra insufficienza delle infrastrutture culturali e bassi livelli di lettura.
La Regione ha individuato nella biblioteca di comunità un modello evoluto di biblioteca, in grado di erogare servizi innovativi per la promozione della lettura e della cultura e di costituire un presidio di partecipazione e coesione culturale per le comunità locali. Si tratta, a ben vedere, della versione evoluta della “piazza del sapere” teorizzata in Italia dalla stessa Agnoli, che ha fatto scuola una decina di anni fa e che oggi può guardare a esempi compiuti realizzati soprattutto (ma non solo) nel Nord Europa e negli Stati Uniti. La biblioteca di comunità, in quei paesi, è considerata parte dell’infrastruttura sociale e offre a persone di qualsiasi età, nazionalità e ceto il contesto ideale per una partecipazione attiva alla vita sociale; e tuttavia – come osserva Eric Klinenberg nel suo Palaces for the people (2018) – essa rimane a tutt’oggi una delle forme più sottovalutate di infrastruttura sociale, forse a causa del fatto che i decisori politici, in un’era dove qualsiasi beneficio è misurato in termini di mercato, faticano ad abbracciare il suo paradigma “open” in cui i servizi sono offerti gratuitamente e a chiunque, senza che dalla sua attività ci si possano aspettare revenues che non siano investimenti a lungo termine sulla qualità di vita delle persone che le frequentano.
Può quindi la biblioteca di comunità contribuire a ricucire il tessuto sbrindellato delle relazioni sociali nelle grandi metropoli come nei piccoli centri, contribuendo a colmare le divisioni sociali e a rianimare la vita delle nostre comunità? Dipende: da come si declina il format, da quale capacità di analisi si mette in campo per individuare le reali priorità del territorio di appartenenza, dalla lucidità con cui si declinano le risposte da dare in termini di servizi (rimando il lettore, per alcune considerazioni in merito, al nostro intervento su Tirature dell’anno scorso).
E da questo punto di vista l’iniziativa della Regione Puglia, benché meritoria, non sembra esente da ambiguità ricorrenti, che rischiano di depotenziarne gli effetti in maniera sostanziale. Per vincoli intrinseci a questo tipo di finanziamenti di derivazione comunitaria, le spese ammissibili contemplano principalmente gli investimenti infrastrutturali, oltre all’acquisto di servizi funzionali alla sua messa in esercizio (acquisto libri, catalogazione, digitalizzazione) e di ulteriori servizi per il primo anno di attività (start up).
La voce di spesa più critica per la riuscita dei progetti finanziati è quella relativa al personale, che non è compresa fra le spese ammissibili del bando. Sono le competenze dei bibliotecari che trasformano una sala piena di libri in una biblioteca. E in questo caso non è nemmeno sufficiente così, perché il community building richiede professionalità differenziate, che spaziano dall’organizzatore di iniziative, al community manager, sino alle professioni sociali; profili di competenza che certo possono rinvenirsi nei territori, ma che per mantenere le attese suscitate dal bando devono essere solidamente inquadrati in un progetto di medio-lungo respiro.
I lettori più anziani ricorderanno forse l’esperienza del piano d’azione “Mediateca 2000”: promosso dal ministero per i Beni e le Attività Culturali agli albori del digitale per diffondere servizi basati sull’informazione elettronica e l’editoria multimediale presso le biblioteche, per favorire l’alfabetizzazione all’informatica e l’educazione alla multimedialità come supporto allo studio e all’inserimento nel mondo del lavoro e per stimolare la nascita di luoghi di aggregazione sociale per i giovani, ha beneficiato nel 1999 di un finanziamento di 15 miliardi di lire per la realizzazione e gestione di nuove mediateche e il sostegno, la costituzione e l’avvio di società costituite almeno per il 70% da giovani formati durante la prima fase del piano d’azione, che avrebbero dovuto gestire le nuove strutture. Gli esiti dell’intervento furono deludenti perché pochissime fra le (poche) mediateche realizzate poterono beneficiare, per la gestione, della presenza di personale formato a cui fosse offerta una seria prospettiva di impiego.
La storia, per fortuna, non si ripete mai uguale a se stessa e non è possibile tracciare un bilancio sulle nuove community libraries pugliesi sinché non saremo in grado di misurare l’impatto dell’investimento a progetti realizzati. Ma la questione si delinea già con la forza adamantina dell’evidenza: riusciranno i comuni pugliesi a garantire la presenza dei professionisti necessari per mettere a frutto la pioggia di milioni piovuta dal cielo? O ci troveremo di fronte all’ennesima manifestazione della sindrome della Google car, con le 111 nuove biblioteche di comunità pugliesi nate senza posto per il pilota e condannate a finire fuori strada per assenza di guidatori competenti?