La prima conseguenza dell’industrializzazione dell’attività editoriale, con il relativo aumento di dimensioni di alcune case editrici e l’inevitabile parcellizzazione delle attività al loro interno, è stata il progressivo distanziamento tra le due figure capitali del mondo editoriale: l’autore e l’editore. È venuto a cadere il rapporto ad personam tra chi i libri li scrive e chi i libri li “fa”, li promuove e li distribuisce, e si è resa necessaria la costituzione di una figura – quella dell’agente letterario e dell’agenzia – che fungesse da mediatore tra le parti.
«Io avevo idea – scriveva Erich Linder – che lo scrittore anche in Italia, soprattutto in Italia, aveva bisogno di uno che ne curasse gli interessi: e che questo bisogno si sarebbe accentuato con gli anni. Tuttavia riconoscevo che per il momento non c’era nulla da fare. Parlo degli anni attorno al 1950. Poi le cose cambiarono: cominciò l’espansione economica, anche in Italia nacque qualcosa che assomigliava all’industria editoriale. Allora furono gli scrittori che si rivolsero a me perché li difendessi».
L’agenzia letteraria si occupa di seguire l’autore nelle varie fasi della realizzazione dell’opera, dal manoscritto al volume, rappresentando gli interessi del proprio assistito nei confronti dell’editore. Nate in ambiente anglossassone (prima negli Stati Uniti, poi in Gran Bretagna, dove le prime agenzie comparvero intorno alla metà del XIX secolo) le agenzie letterarie hanno faticato a imporsi nell’Europa continentale, a causa di un’industria editoriale che ha impiegato per svilupparsi circa un secolo in più rispetto alla sua omologa anglofona: ancora alla fine degli anni Sessanta del Novecento Linder ricordava che «In Francia l’agente che tutela gli interessi dello scrittore non esiste. I contratti sono onerosissimi per l’autore. (…) In Germania la situazione è più complessa. Non ci sono agenti e i contratti sono da osservare col massimo rispetto».

Come lavora un’agenzia letteraria?

Il lavoro dell’agenzia letteraria è complesso e stratificato: lo stesso Linder, commentando il proprio lavoro, sosteneva che la mansione dell’agente è quella di occuparsi di tutti i possibili rapporti tra autore ed editore all’infuori di quelli letterari. In generale, l’agenzia letteraria svolge per conto dell’autore la ricerca dell’editore – ossia individua, tra tutte le case editrici, quelle che per caratteristiche meglio si conformano all’opera letteraria che si vuole pubblicare; una volta trovato l’editore, l’agenzia segue le fasi contrattuali, la promozione, la tutela dei diritti (nazionali ed eventualmente esteri), i pagamenti, l’invio dei rendiconti sulle vendite. Rientrano nelle trattative tra agente ed editore anche discussioni sulla copertina, l’impaginazione, la collana, la veste, la durata del contratto.
Generalmente, l’agenzia percepisce una percentuale, quantificabile in circa il 10%, sui ricavi dalle vendite del libro; vi sono però casi in cui gli editori versano dei compensi direttamente nelle casse delle agenzie: ciò accade quando una casa editrice coopta un agente per lavori di scouting o per servizi di traduzione, editing, ricerche bibliografiche, progettazione di libri, impostazione delle strategie di marketing o ufficio stampa.
Le agenzie letterarie offrono anche servizi di consulenza per autori editi o inediti: si tratta di consulenze altamente professionali che, oltre a segnalare le eventuali debolezze stilistiche o strutturali dell’opera, si premurano di fornire un orientamento nel mondo editoriale per indirizzare l’autore verso l’editore che meglio di altri può valorizzarne il testo.

La nascita delle agenzie

I primi agenti letterari europei appaiono in Inghilterra negli anni Quaranta del XIX secolo, sulla scorta di un’esperienza che, negli Stati Uniti, è in voga da circa vent’anni. Bisognerà tuttavia attendere ancora tre decenni perché si possa parlare di agenzie letterarie nel senso moderno e contemporaneo del termine: è l’inglese A.P. Watt il primo agente che, aprendo un’agenzia nel 1875, stabilisce per primo le regole basilari del mestiere, tra cui le percentuali percepite sulle vendite. L’idea di Watt è che l’agenzia sia arbitro del valore letterario e, allo stesso tempo, delle tendenze dell’epoca in cui opera: la professione di agente si pone da subito come ago della bilancia nei rapporti tra scrittori e case editrici, orientando le scelte degli uni come delle altre. Alla fine dell’Ottocento le agenzie letterarie britanniche sono ormai delle realtà in grado di valutare la vendibilità dei manoscritti e controllare la vendita di diritti di pubblicazioni seriali e delle traduzioni. Gli editori inglesi, come gli autori, diventano sostanzialmente clienti delle agenzie – le uniche realtà che, in qualche modo, godono di una visione globale sul mondo delle lettere: per loro natura, infatti, detengono una sorta di magistero su tutto ciò che ruota attorno all’oggetto libro, dal valore artistico ed estetico a quello economico, passando per le spinose questioni legate ai diritti e ai compensi.

La mediazione editoriale e l’iniziale diffidenza degli editori

L’industria editoriale anglosassone conosce intorno agli anni Ottanta del XIX uno sviluppo eccezionale: by-passato lo stadio artigianale, l’editoria è ormai in grado di concentrarsi su produzioni di larga scala. La figura di un mediatore editoriale, pertanto, si rivela a poco a poco sempre più necessaria: come si può, altrimenti, mettere in comunicazione lo scrittore con l’industriale? In un sistema industrializzato, inoltre, bisogna attuare un passaggio tra la contrattazione tradizionale fra l’autore e l’artigiano a una forma più professionale, che sia vincolata a formule legali efficaci. In questo spazio vuoto si inseriscono gli agenti e le agenzie, la cui vita, tuttavia, per i primi decenni non è affatto semplice: gli editori vedono in loro dei «parassiti» che, lavorando con cognizione di causa sugli aspetti anche economici del libro, mettono gli autori in condizione di far valere maggiormente la loro voce nelle contrattazioni.
L’ostracismo editoriale nei confronti delle agenzie vale anche per il caso italiano, almeno stando a quanto dichiara Linder in risposta a una domanda sui suoi inizi:
«All’inizio mi detestavano, come un industriale può detestare un sindacalista che semina la ribellione fra degli operai prima rassegnati e distratti. Ma oggi i nostri rapporti sono migliorati. L’editore oggi tende a mandare l’autore dall’agente; per evitare equivoci, malintesi, recriminazioni e piagnistei preferisce ch’egli si faccia rappresentare da un professionista»
Probabilmente, uno dei motivi per cui, con il tempo, gli editori arrivarono ad accettare la figura del mediatore è legato al fatto che questi è in grado di far fronte alle richieste degli autori – che in questo modo non ricadono più direttamente sulla casa editrice. Di fatto, a poco a poco la presenza dell’agente diventa un elemento imprescindibile nel rapporto tra autore ed editore, introducendo anche elementi di flessibilità nella contrattazione. È ormai molto raro che un autore accetti di sottoscrivere un contratto standard con una casa editrice. Generalmente, sulla base di questo contratto, l’agenzia discute delle modifiche – legate agli anticipi, alle percentuali sulle vendite, ai diritti e al marketing – che siano il più possibile mirate al tipo di libro e alle esigenze personali dell’autore e siano, allo stesso tempo, conformi alla strategia commerciale che si intende intraprendere.
La mediazione editoriale garantita dalle agenzie letterarie svolge ormai un ruolo chiave nella filiera editoriale.