Dalla nicchia al mainstream: dieci anni di «Strade blu»

«Strade blu»: non solo Saviano. Storia breve e istruttiva di una collana nata per contendere agli altri marchi un esiguo (ma strategico) mannello di lettori anticonformisti, e giunta a intercettare il gusto attivistico e problematico dei più. Fondamentale il transito dalla narrativa alla saggistica. Tra intuizioni economiche e ricerca di talenti, un esempio di come aggiornare l’idea di Libro per tutti del vecchio Arnoldo, senza scontarne i rischi formulistici e l’età veneranda.
 
Promossa da Gian Arturo Ferrari e Massimo Turchetta sul finire del 1998, «Strade blu» è un collana di novità in brossura che oltre a un cospicuo successo di pubblico documenta alcuni aspetti di strategia editoriale da non sottovalutare. Nasce intanto in un contesto fluido, se non malsicuro, quando l’onda lunga dei supereconomici e degli ormai prossimi collaterali sembra dividere drasticamente il mondo del libro tra prodotti di costo basso o bassissimo, quasi sempre attinti dal catalogo, e hard cover di stagione. In secondo luogo l’iniziativa poggia su un presupposto di tenore bensì aziendalistico, ma nient’affatto scontato: con l’aprirsi degli anni novanta, la casa di Segrate avvia una ristrutturazione intesa a privilegiare la propria autonomia (e la propria leadership autorevole), piuttosto che a bilanciare l’offerta tenendo conto del gruppo nel suo insieme. A ogni editrice affiliata questa sembra la parola d’ordine –, deve corrispondere una compiuta panoplia di autori e di collezioni che le siano consone, senza parzialismi o settorialità sinergiche.
Entro un margine tanto ampio di operatività indipendente, i mondadoriani mostrano di muoversi lungo una doppia direttrice. Da un lato approntano una ricerca di mercato, che mentre illumina la lacuna competitiva di cui soffre il marchio nel segmento dei volumi a prezzo medio, o da trade market, pure ne assicura l’efficacia commerciale sul breve e più lungo periodo. Al tempo stesso, però, guardano con palese interesse a quegli spunti di letterarietà spregiudicata, americaneggiante e di genere destinati a ristrutturare in modo non periferico o passeggero i gusti del neolettore contemporaneo: dalla proposta latamente pulp di «Stile libero», al nuovo dinamismo dei «Canguri» feltrinelliani, sino a talune intuizioni di Guanda, che nei «Narratori della Fenice» inserisce irrequieti anglosassoni come Roddy Doyle e Irvine Welsh. E insomma all’incrocio di marketing e scouting, calcolo economico e rassegna delle formule romanzesche più promettenti che una serie come «Strade blu» prende forma, ribadendo qualora ve ne fosse bisogno la versatilità attenta dei nipotini di Arnoldo, ma insieme assumendo i rischi di un’impresa non perfettamente in linea con le consuete attitudini per l’intrattenimento medio.
Dopo un breve concertare, la direzione di collana viene assegnata a Edoardo Brugnatelli, classe 1956, attivo nel gruppo di Segrate già dal 1990, dapprima come jr. editor di Comunità, quindi responsabile insieme a Marco Vigevani per la saggistica. E non si può dire che il progetto di cui questi si fa interprete manchi di lucidità coerente. Stabilita una distribuzione in libreria, la stessa della coeva «Sis», e affidato a Mac II il compito di vagliare singoli titoli per i luoghi di largo smercio, il catalogo si inaugura nel segno di una radicalità eslege tesa a smentire il commercialismo egemone della casa madre. «Strade blu», recitano le didascalie pubblicitarie, è concepita per «quel numero crescente di lettori curiosi e spericolati, desiderosi di avventure, in perenne fuga dalle autostrade dell’ovvio». E sì una serie «di qualità», che ambisce a un crisma di durevolezza istituzionale, ma offre autori «capaci di dare espressione ai sogni ribelli, di tradurre in letteratura la vertigine della vita, di esplorare gli angoli più nascosti delle mille periferie della metropoli, di raccontare la storia senza trascurarne le speranze, i terrori, le sorprese, le follie».
Colpisce certamente il paludamento retorico del fraseggio, volto a catturare l’attenzione di un acquirente giovane, non estraneo alla cultura del romanzo e però in attesa di una scossa salutare, che sappia risarcirlo delle tante esperienze abitudinarie. A risultarne è in ogni caso una forte carica di vitalismo trasgressivo, ansioso di distinguersi, ed espresso d’altronde con chiarezza programmatica dal titolo trascelto: le strade blu – così spiega un romanzo del mezzo sioux William Least Heat-Moon – sono nello stradario americano i sentieri occulti, poco battuti, e valgono qui da metafora per prodotti letterari di margine, convintamente estranei alle consuete categorie di gusto. Tra metropoli e periferie, terrori e follie, un genere sembra profilarsi più di altri, e molto a ridosso di quanto propongono gli editori concorrenti, ovverossia il noir, il thriller sanguinoso nelle sue plurime declinazioni.
Nella primavera del 1999, il lancio avviene con due titoli stranieri: Guy Van der Haeghe, La storia di Shorty (ambientato nel West degli anni venti) e Martyn Bedford, La ragazza Houdini (inchiesta sulla vita di una ragazza morta misteriosamente). Le rese sono altissime, e la collana rischia di naufragare in partenza. Non sembrano bastare taluni accorgimenti grafici e di prodotto (brossura, colore giallo delle copertine così da stabilire un aggancio promozionale con la «Piccola Biblioteca Oscar»): i librai nel loro complesso si mostrano scettici, dedicano scarsa cura alla proposta. Due altri autori intervengono tuttavia a risollevare le sorti dell’impresa: l’americano Chuk Palahniuk con Survivor e il russo Viktor Pelevin di Omon Ra, romanzo pseudostorico ed esoterico (vendite medie comunque attorno alle 3.000 copie, solo con Soffocare Palahniuk raggiungerà quota 25.000). Seguono giovani scrittori come Thomas Brussig e Dave Eggers (L’opera struggente di un formidabile genio raggiunge le 13.000 copie), l’umorista statunitense David Sedaris; cui si aggiungono nomi per così dire ricollocati: Pinketts, Santacroce, Brizzi, Genna, Gibson, insieme a un nutrito contingente di esordienti quali Mancassola, Desiati, Romagnoli, Tura, Cardaci, Davoglio, Carelli. Accanto al noir si fa strada l’horror e la fantascienza nelle sue ibridazioni più recenti. Quindi, come già per «Stile libero», la collana si indirizza al multimediale, aggredendo il mercato giovanile su un terreno che parrebbe più idoneo: nel 2000 esce l’album fotografico di Buena Vista Social Club (desunto dall’omonimo film di Wenders), e ancora testi di cantautori come Lou Reed, Paul McCartney, Nick Cave, Bjork, il fumetto Mater Terribilis di Valerio Evangelisti.
La vera svolta, per una raccolta che di qui a poco verrà misurandosi con i grandi numeri, avviene tuttavia durante il 2003 nel segno della saggistica. Affiancato da uno specialista del settore come Francesco Anzelmo, è allora che Brugnatelli manda in stampa Stupid White Men e Ma come hai ridotto questo paese di Michael Moore, l’uno con un esito di oltre 80.000 copie vendute, l’altro attestato sulle 50.000. Gli faranno presto da corona David Grossman di La guerra che non si può vincere (sul conflitto israelo-palestinese); Ignacio Ramonet, Il mondo che non vogliamo’, Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi con Serial killer, sino a una folta rappresentanza di giornalisti-scrittori, per lo più provenienti dalla fucina di «Repubblica», come Concita De Gregorio (Una madre lo sa, Malamore, Mia sorella la vita)’, Giovanni Maria Bellu, (I fantasmi di Portopalo)’, Emanuela Audisio bambini infiniti, Putti i cerchi del mondo, Il ventre diMaradona)’, Federico Rampini (Il secolo cinese, 100.000 copie vendute; La speranza indiana), Mario Calabresi (Spingendo la notte più in là’, La fortuna non esiste). Poi è l’anno fatidico, il 2006, quando esce Gomorra di Saviano: libro di lenta affermazione, ma infine capace di attrarre le simpatie di due milioni di lettori, solo calcolando la platea nazionale.
Oggi il catalogo di «Strade blu» annovera 297 titoli, prevalentemente di narrativa (187 contro 110), e in maggior misura stranieri (169 contro 128). Va tuttavia rilevato che all’interno dei titoli italiani la saggistica supera sia pur di poco la narrativa (65 contro 63), costituendo forse il traino più efficace e duraturo della collana. In forza di reportage, inchieste socio-politiche, economiche e antropologico-criminali si è passati dalle 10-12 proposte annue nelle stagioni di esordio, ai 40-50 titoli mediamente editi lungo il triennio 2006-2009. Nel loro insieme, sono questi gli indici di un successo che bilica senz’altro tra pamphlet giornalistici e romanzi cosmopoliti di genere, ma appare molto diverso da quanto si prospettava in origine. Il giovanilismo più o meno trasgressivo tale sembra il pensiero ultimo di Brugnatelli e Anzelmo – può condurre come massimo risultato a egemonizzare un settore, una nicchia sia pure strategica per il futuro. Altre e più riccamente articolate sono le procedure editoriali che portano in testa alle graduatorie di vendita. Dai sentieri di margine, avventurosi o incogniti si è così approdati al mainstream, alle strade maestre di un mercato in costante ristrutturazione. Certamente ha avuto peso nella vicenda che stiamo esaminando l’espandersi di una trattatistica leggibile e impegnata, seducente, problematica: vale a dire la vera novità su cui mostrano di convergere marchi generalisti e parauniversitari, piccole imprese di qualità e segmenti di case editrici volte al consumo allargato. Altrettanto chiaro, però, è il finale allineamento di «Strade blu» a una tradizione mondadoriana che, varcate le incerte sponde degli anni novanta, torna a ribadire l’immagine costitutiva e solidamente egemone del libro per tutti.