Nato il 27 ottobre 1891 a Colle Sannita, in provincia di Benevento, Francesco Flora condusse i suoi primi studi tra Benevento e Roma, dove conseguì la laurea in Diritto. Dopo la morte prematura del padre, nel 1912, a soli 21 anni divenne di fatto il punto di riferimento della sua numerosa famiglia (Francesco era il terzo di otto fratelli). Si avvicinò alle lettere – come egli stesso ammette nell’autoritratto pubblicato da “Letterature Moderne” nel 1960 – «per trasporto e con metodo in gran parte autodidattico» ed esordì con un articolo che apparve su “La luce del pensiero” nel 1912. Nel 1923 entrò nella redazione de “La Critica” diretta da Benedetto Croce, del quale fu fedele discepolo, e, l’anno dopo, ne divenne editore responsabile, incarico che conservò fino al 1944. La prima opera importante Dal Romanticismo al Futurismo venne pubblicata nel ’21 a Piacenza presso Porta e riedita nel ’25 a Milano da Mondadori. Dello stesso anno è anche Immortalità, opera in versi pubblicata dapprima in forma di manoscritto a Piacenza e poi a Milano da Mondadori nella collana “I poeti dello specchio” con il titolo di Canti spirituali. Nel 1926 uscì a Napoli, presso Ricciardi, D’Annunzio, e l’anno seguente a Milano, presso Athena, vide la luce il saggio dedicato a Croce. Di poco posteriore è la prima esperienza narrativa, Città terrena, edita da Campitelli nello stesso 1927.
Nel 1930, costretto a lasciare Napoli dallo squadrismo partenopeo a causa della sua ferma opposizione al regime, si stabilì a Milano, in via Fratelli Bronzetti. Di animo aperto e liberale, egli accoglieva nella sua casa un gran numero di parenti e amici, che spesso si rivolgevano a lui per trovare aiuto e consigli di ogni genere, sicuri di essere sempre esauditi. Dal 1940 si trasferì stabilmente in casa di Francesco la sorella Clelia che, legata al letterato da un profondo affetto, rimarrà con lui sino alla fine, affiancandolo nel suo lavoro e persino rispondendo per lui ad alcune delle numerosissime lettere che gli venivano quotidianamente recapitate.
Nei primi anni a Milano lezioni private e tesi di laurea furono le uniche occupazioni che gli permisero di guadagnarsi da vivere. Sono noti, del resto, la coerenza e il coraggio con i quali il Flora condannò sempre qualsiasi asservimento dell’intellettuale al potere, come traspare dalle parole dell’articolo Dignità della cultura apparso sul “Corriere della Sera” del 26 agosto 1943 e dal ritratto delineato da Giorgio Cabibbe in un saggio pubblicato su “Il Ponte” del 1963:

«Soprattutto ai giovani, che non lo sanno, bisogna dire ciò che il Flora ha rappresentato nel ventennio, il valore che ha avuto il suo comportamento nel confortare alla resistenza coloro che non si piegarono. Bisogna dire il coraggio con cui egli volle assumere la responsabilità giuridica della “Critica”, quando bastava l’arbitrio di un funzionario per essere processati; il coraggio con cui affrontò la penuria economica, l’isolamento, le vessazioni reiterate, le cortine lente ma implacabili, con cui la dittatura cercava a poco a poco di soffocare l’esistenza degli uomini di lettere e di studio che gli negavano la loro adesione. Quel coraggio egli attinse alle virtù native del temperamento: gli veniva dall’ossequio ai grandi principî, dalla fedeltà ai supremi ideali che danno un contenuto al pensiero e all’azione. Non per nulla il suo rifiuto al fascismo era stato istintivo e inflessibile, sistematico e totale, di antichissima data: al movimento e al partito innanzi che al regime. Esso moveva, prima che da convinzioni ideologiche e politiche, da inesorate consapevolezze morali: dal concetto della dignità dello scrittore, della verità ch’egli deve confessare, se non vuole venir meno alla propria missione».

Dopo non molto tempo iniziò per il Flora un periodo più disteso e diverse case editrici milanesi gli aprirono le porte: Ceschina pubblicò Mida il nuovo satiro e Mondadori gli offerse la direzione, che mantenne fino al 1960, della neonata collana dei “Classici italiani”, che con le sue edizioni avrebbe segnato importanti svolte nell’editoria e nella critica letteraria. Nel 1931 uscirono I miti della parola presso Vecchi e C. di Trani; seguì Civiltà del Novecento, pubblicato da Laterza. Iniziò poi a collaborare con Ugo Ojetti ai “Classici” Rizzoli e Gino Scarpa gli diede la possibilità di scrivere sull’ “Ambrosiano”, dove, con lo pseudonimo di Astolfo e poi di A.B.C., pubblicò gli scritti che avrebbero costituito, insieme ad altri precedentemente composti, La poesia ermetica, edito da Laterza nel 1936.
Per neutralizzare la sua opposizione, nel 1938 gli vennero offerti, in cambio della sua adesione al Partito Nazionale Fascista, una cattedra universitaria e un seggio all’Accademia d’Italia, proposta che rifiutò con decisione.
Nel frattempo aveva avviato anche una collaborazione con l’editore Tallone, per il quale curò le Poesie di Ugo Foscolo (uscite nel ’38), Il giorno di Parini (1939), La Divina Commedia (1939-1941), I Triumphi di Petrarca (1941), le Rime di Dante (1942).
Tra il 1940 e il 1941 uscì dalle officine Mondadori la monumentale Storia della letteratura italiana in tre volumi, che, più volte riveduta e ristampata, dalla sesta edizione assunse la sua veste definitiva in cinque volumi. Nel ’43 avviò a Milano la nuova serie del “Saggiatore”, «rivista di varia umanità», che presto affidò a Carlo Cordiè per fuggire a Napoli a causa della sopravvenuta occupazione tedesca. Nello stesso anno fondò a Napoli “Aretusa” e nel 1946 diede avvio a “La Rassegna d’Italia”, edita da Gentile a Milano, che diresse per due anni. Divenne il primo Direttore Generale delle Relazioni Culturali con l’Estero per nomina del Consiglio dei Ministri, ma lasciò presto l’incarico non avendo ricevuto i fondi che gli erano stati promessi. Rifiutata poi una cattedra per chiara fama, si sottopose a regolare concorso e nel 1949 divenne titolare della cattedra di Letteratura Italiana all’università Bocconi di Milano. Nel 1952 passò all’Università di Bologna, dove si trasferì insieme alla sorella Clelia e alla nipote Luisa.
Nel 1950, chiamato in America Latina, svolse corsi universitari e fece un giro di conferenze in Argentina, Brasile, Uruguay, Cile, Perù, attività che fu definita una «crociata di italianità».
Nel 1952 apparve a Pisa presso Nistri-Lischi Scrittori italiani contemporanei, primo volume della collana dei “Saggi di varia umanità” da lui diretta. Nello stesso anno presso Mondadori uscì, per la collana “Biblioteca Moderna”, il Leonardo e nel 1953 venne pubblicato a Bologna, presso Cappelli, per il quale dirigeva la rivista “Letterature Moderne”, Orfismo della parola.
Nel 1962, su invito del rettore dell’Università di Concepcion, partecipò alla VII Escuela international de Verano, dove ebbe le prime avvisaglie del male che lo avrebbe condotto a morte. Si spense il 17 settembre dello stesso anno.

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