Dove ambienti le tue storie?

Spazio e tempo modellano l’esistenza dell’uomo, la sua cultura, i suoi modi di esprimersi, ma rispetto al tempo lo spazio sembra un concetto più direttamente legato all’esperienza percettiva dell’individuo.
Per il lettore costituisce infatti una strada maestra di appropriazione immaginaria dell’opera, mentre per lo scrittore lo spazio è spesso l’asse privilegiato dell’elaborazione fantastica.
La rappresentazione artistica dello spazio ha subito una radicale trasformazione in epoca moderna: voltata la pagina dell’anno Duemila, studiare i luoghi della contemporaneità letteraria consente di porre in evidenza un aspetto testuale particolarmente qualificante, valorizzando una categoria critica troppo trascurata.
 
In Italia i rapporti fra geografia e letteratura di solito sono indagati pressoché esclusivamente in chiave storica, e cioè da una prospettiva tanto suggestiva quanto parziale.
Per usare un’immagine di Franco Moretti, secondo questa impostazione tradizionale «lo spazio ospita la storia letteraria, ma non la plasma». Alla base del suo Atlante del romanzo europeo ecco allora un’«idea molto semplice»: l’idea «che la geografia sia un aspetto .decisivo dello sviluppo e dell’invenzione letteraria: una forza attiva, concreta, che lascia le sue tracce sui testi, sugli intrecci, sui sistemi di aspettative». La possibilità di analizzare il rapporto funzionale fra morfologia del testo e spazio geografico costituisce dunque un diverso approccio al tema, naturalmente in chiave non più storiografica ma propriamente ermeneutica. li fatto è che, a ben vedere, la debolezza della tradizione critica relativa il rapporto fra spazio e letteratura riguarda anche l’indagine metodologica e la riflessione teorica sull’argomento. Certo, lo spazio è un concetto narratologico consolidato, ma proprio perciò colpisce la povertà della bibliografia specifica. A maggior ragione paragonandola ai numerosissimi studi relativi alla categoria che più strettamente si intreccia con lo spazio: lo stesso Bachtin ci tiene a precisare che «il principio guida del cronotopo letterario è il tempo».
La dimensione spaziale permea di sé l’esistenza dell’uomo, la sua cultura, i suoi modi di esprimersi. Nell’articolo Spazio e linguaggio Gérard Genette ha osservato come esista «tra le categorie del linguaggio e quelle dell’estensione una specie di affinità, la quale fa sì che in ogni tempo gli uomini abbiano attinto dal vocabolario spaziale termini destinati alle più diverse applicazioni: così, ad esempio, quasi tutte le preposizioni, prima di essere trasposte nell’universo temporale e morale, hanno designato dei rapporti spaziali»; insomma «tutto il nostro linguaggio è intessuto di spazio». Ma anche la retorica – tecnica principe di amplificazione applicata quotidianamente da tutti noi parlanti- ha un fondamento «topico».
Rispetto al tempo, che è una categoria «trasparente», lo spazio sembrerebbe un concetto «opaco» più direttamente legato all’esperienza percettiva, astrazione e generalizzazione di luoghi specifici. La maggiore implicazione del soggetto empirico nei confronti della geografia è confermata dal diverso rapporto che l’individuo instaura con gli strumenti di misurazione del tempo e dello spazio: per leggere l’orologio non occorre alcuna prospettiva particolare, mentre consultare una carta geografica significa anzitutto collocare se stessi nello spazio, adottando un punto di vista privilegiato in base al quale calcolare distanze e direzioni. Non a caso l’idea di spazio ha una vocazione figurativa e immaginativa più forte del concetto di tempo: come il sogno, la memoria mostra implicazioni molto più topografiche che temporali. Anche sul piano della rappresentazione letteraria lo spazio sembrerebbe avere una ricaduta tematica più significativa di quella del tempo, categoria soprattutto pertinente alle modalità del narrare. Anche se, naturalmente, molti aspetti formali dell’opera possono rinviare a una dimensione geografica: è ad esempio il caso della presenza di inflessioni dialettali nella lingua del testo.
Come osserva Proust, «i luoghi che abbiamo conosciuto non appartengono solo al mondo dello spazio, nel quale li situiamo per maggiore facilità. Essi sono solamente uno spicchio sottile fra le impressioni contigue che costituivano la nostra vita d’allora; il ricordo di una certa immagine non è se non il rimpianto di un certo minuto; e le case, le strade, i viali sono fuggitivi, ahimè, come gli anni»: quando Marcel si reca al Bois de Boulogne per riassaporare il gusto dell’infanzia, si rende conto di quanto lo spazio sia un’entità malleabile. Tutto è cambiato, al posto delle carrozze ecco sfrecciare le automobili, e le donne non vestono più come un tempo. Lo spazio tende insomma a espandersi, a compromettersi con altri aspetti capitali del racconto (a partire dal personaggio), qualificandosi come contesto ricchissimo di implicazioni fantastiche, una situazione complessa che coagula molteplici motivi non solo narrativi, estranei a una dimensione propriamente geografica.
Tali implicazioni «topiche» sono un segno di quanto la dimensione spaziale sia basilare, nel racconto come nella vita: in effetti, la rappresentazione dello spazio ha una forte valenza antropologica, e costituisce perciò una strada maestra di appropriazione immaginaria e percettiva dell’opera letteraria da parte del lettore, un luogo fondamentale di identificazione del testo. E, per chi scrive, lo spazio rappresenta spesso un asse privilegiato dell’elaborazione fantastica, un catalizzatore dell’invenzione che evoca atmosfere, ambienti, situazioni narrative, significati simbolici. Non per niente, d’altronde, moltissimi scrittori italiani moderni esordiscono qualificando la loro prima opera in senso spiccatamente geografico (da Ossi di seppia ai Ventitré giorni della città di Alba, al Dio di Roserio), mentre tanti altri rimangono ossessivamente ancorati a specifiche geografie personali -la Lombardia di Gadda, Anna Maria Ortese e Napoli, Sciascia e la Sicilia. «Come ambiente naturale quello che non si può respingere o nascondere è il paesaggio natale e familiare; San Remo continua a saltar fuori nei miei libri, nei più vari scorci e prospettive, soprattutto vista dall’alto, ed è soprattutto presente in molte delle Città invisibili», ammette Calvino. Perciò – aggiunge – «ogni indagine non può che partire da quel nucleo da cui si sviluppano l’immaginazione, la psicologia, il linguaggio».
Se gli assi semantici fondamentali della dimensione spaziale sono gli stessi ieri come oggi (le opposizioni cardinali dentro/fuori, aperto/chiuso, alto/basso, pubblico/privato valgono per il romanzo cavalleresco come per quello contemporaneo, fermo restando naturalmente il mutamento radicale dei significati), il paradigma realistico della rappresentazione dello spazio che si impone con il romanzo realistico ottocentesco comporta alcune importanti novità morfologiche. La descrizione, sede deputata della raffigurazione spaziale, assume infatti un’importanza maggiore e una nuova e stringente funzionalità rappresentativa. A differenza delle pause esornative tradizionali – discendenti dell’ekfrasis – programmaticamente slegate dal corpo del discorso principale, le moderne descrizioni costituiscono un collegamento decisivo con la dimensione dell’extraletterario, e anche perciò conferiscono concretezza al dettato. Si viene insomma a consolidare e articolare in modo nuovo quella polarità tra fiction e non-fiction che attraversa sia la narrativa di romanzo, sia il genere in cui la dimensione spaziale ha una rilevanza assolutamente peculiare, la letteratura di viaggio. Se all’inizio del XIX secolo la Reiseliteratur tende ad accentuare le componenti narrative, soprattutto in direzione «umoristica» (la moda del viaggio sentimentale di ispirazione sterniana), il romanzo modifica gli ingredienti fondamentali delle sue componenti extranarrative. Invece dei tradizionali significati morali, allegorici e didascalici ecco imporsi contenuti propriamente storici e paesaggistici, ben altrimenti connotati in senso immaginativo. Ma l’antagonistica alleanza fra viaggio e racconto è confermata anche in seguito. Proprio in virtù della sua vocazione «geografica», all’inizio del Novecento un inedito genere sancisce la nuova alleanza fra giornali e letteratura: al «vecchio» feuilleton ecco sostituirsi il moderno reportage.
Come si sa, il modello narrativo tradizionale consegnato dal XIX secolo al Novecento subirà non pochi attacchi, a partire dal rivoluzionario aggiornamento estetico e percettivo determinato dalle avanguardie storiche. Per quanto riguarda la concezione artistica dello spazio, basta solo accennare alla rivoluzione cubista e alla perentorietà con cui il cinema valorizza visivamente i propri scenari rappresentativi, memorabili sfondi che assumono nuova e inusitata evidenza. Il punto è che nel xx secolo le categorie di spazio e di tempo – veri assi cartesiani del racconto – subiscono una trasformazione epistemologica radicale: la geometria euclidea perde definitivamente il suo primato millenario e il concetto di tempo si modifica in modo addirittura sconcertante. Nella letteratura narrativa ecco allora imporsi una relativistica moltiplicazione del punto di vista e una decisa frammentazione dello sguardo: a scapito di una visione contestuale e d’insieme, a imporsi sono prospettive consapevolmente parziali.
Nell’ambito della narrativa moderna, disposta su molteplici livelli (dal romanzo sperimentale all’intrattenimento di genere), la rappresentazione dello spazio si dimostra uno degli aspetti sintomatici dell’accessibilità del testo. Se un intento cordialmente comunicativo implica infatti cospicue rappresentazioni figurative dello spazio, gli esperimenti narrativi propendono piuttosto all’astrazione geometrica e concettuale. Durante il Novecento si affiancano (e si intrecciano) due tendenze narrative dominanti, una linea realista tendenzialmente referenziale, in cui la geografia mantiene una presenza decisiva e qualificante, e una tradizione in cui lo spazio torna ad avere un significato astratto. Un valore non più morale ma conoscitivo ed esistenziale, come nelle fascinose stilizzazioni labirintiche di Borges e nelle geografie simboliche di Kafka. Caso interessante di compresenza di istanze realistiche e di concettualizzazione dello spazio, il nouveau roman: qui la problematizzazione dei processi percettivi conduce infatti a una rappresentazione dell’oggetto non più verosimile, ma omologa.
Analizzare i romanzi contemporanei osservando gli spazi tematizzati sembra tanto più opportuno oggi, epoca di trionfo della virtualità, di globalizzazione dell’economia, dell’informazione e dell’immaginario, epoca in cui la rete tende ad abolire le distanze geografiche e le diversità di linguaggio.
A interessare, dunque, è la geografia posta in essere dalla recente narrativa italiana – ecco le sedi della socialità e gli spazi dell’intimità contemporanea, e poi la metropoli, la provincia e la campagna, i luoghi dell’immaginario e dell’«esotico». Ma conta pure la ricaduta delle nuove frontiere concettuali e pragmatiche sul piano dei paradigmi rappresentativi e dell’immaginario letterario, tanto più in un paese in fondo tradizionalista come l’Italia. Un paese in cui i valori dell’appartenenza e del radicamento territoriale sembrerebbero imprescindibili, a giudicare dalle recenti statistiche che censiscono un numero eccezionale di proprietari di prime case. Ma anche un paese in cui la tradizione letteraria ha sempre funzionato come straordinaria forza di conservazione. Come fattore insostituibile di contrapposizione al nuovo che ha favorito la realizzazione di memorabili formazioni letterarie di compromesso fra passato e futuro.