Località turistiche: riviere fluorescenti e montagne nere

La narrativa degli anni Novanta disegna una geografia colorita delle località turistiche nazionali. Vi spiccano le due riviere centrosettentrionali, versiliana e romagnola, che configurano un paesaggio emblematico, tutto cemento, bar, discoteche e luci artificiali: sfondi ideali per rappresentare spaccati significativi di storia recente o condizioni generazionali riconoscibili. Le località montane, tutt’altro che contrapposte alla costa ma spesso inglobate nella megalopoli che da essa si diparte, si segnalano, invece, per un legame forte con la letteratura di genere, gialla o «noir» in particolare.
 
Pur affidandosi, talvolta, a prospettive ironiche o al registro variegato di scritture visionarie o trasgressive, la narrativa degli anni Novanta delinea una geografia non del tutto inedita, almeno alle apparenze, delle località turistiche nazionali. Più che novità sorprendenti sembra di dedurne conferme rassicuranti: il turismo letterario di fine millennio, se di turismo vero e proprio si tratta, non smentisce le abitudini vacanziere nazionali. Frequenta, anzi, i luoghi deputati del turismo di massa, già noti, peraltro, all’immaginario letterario o cinematografico del secondo Novecento. Nessuna vocazione naturista, scarsa propensione per itinerari ecologici o alternativi. Campeggiano invece le due riviere più battute, quella versiliana e quella adriatico-romagnola, a segnare una dominanza netta dell’Italia centro-settentrionale. Si ha quasi l’impressione che le località più attrezzate a ospitare e a intrattenere il turismo di massa risultino anche i luoghi più intriganti, atti a sollecitare l’ affabulaziome narrativa. Le località marittime spiccano sugli scenari montani e soprattutto si configurano come luoghi più riconoscibili, estranei a escursioni dell’immaginario e, invece, carichi per il lettore di una referenzialità pregnante. Viareggio, Forte dei Marmi, Rimini, Riccione appaiono i luoghi deputati a rappresentare brandelli più o meno consistenti di storia recente o a emblematizzare condizioni generazionali. Lungo le fasce costiere dell’Italia centro-settentrionale giovani e postgiovani trovano un’ambientazione significativa per le loro storie, individuando luoghi familiari in cui esse risultino profondamente radicate. E l’ambientazione, lungi dal raffigurare ameni scenari naturali, ostenta, invece, i segni percepibili di una modernità avanzata ma anche accolta senza rimpianti: non c’è spazio, ad esempio, nei romanzi di Pier Vittorio Tondelli, di Sandra Veronesi, di Isabella Santacroce per scorci paesaggistici e abbandoni contemplativi, anzi, proprio lungo le coste l’urbanesimo più o meno selvaggio celebra i suoi trionfi. Spiaggia e mare si intravedono di rado perché a prevalere è un paesaggio tutto cemento e luci artificiali, fatto di alberghi, ristoranti, bar e discoteche ma anche di negozi e supermarket: un omaggio, finalmente immune da remare moralistiche, al terziario che avanza.
Il dominio dell’artificialità determina, persino, una percezione distorta dello stesso paesaggio naturale, i cui rari scorci o risultano omologati all’ambiente urbanizzato prevalente o si rivelano effetto ingannevole di suggestione.
Così alla protagonista di Fluo, opera prima di Isabella Santacroce ambientata a Riccione, il sole appare «di plastica» e il rumore del mare suona «pieno di storie gonfiabili». E per Ennio Miraglia, l’antieroe protagonista di Venite venite B-52 di Sandra Veronesi, il fascino iniziale suscitato dal paesaggio viareggino si rivela un’illusione ottica, quasi l’immagine artefatta di un comune dépliant turistico: « .. .lui era perso nella contemplazione, tramortito da quel Tirreno così acceso, da quel vento così profumato, da quel golfo – il Golfo di Viareggio – di cui, chissà perché, nessuno cantava mai le bellezze [ ]. In realtà quel fenomeno non si sarebbe verificato mai più, nei venticinque anni successivi, mai più si sarebbe vista la Capraia a Viareggio, da un terrazzo di Città Giardino, e molto di rado anche le altre isole, e naturalmente Viareggio non aveva alcun golfo, né faceva parte di alcun arcipelago, ma aveva un orizzonte marino piatto e spoglio, spesso anche affumicato dalla foschia… ». Certo la rappresentazione delle megalopoli costiere lungo il Tirreno o l’Adriatico richiama inevitabilmente alla memoria un precedente letterario significativo oltre che recente, che si colloca appena a ridosso dei testi finora citati: difficile non pensare alla Rimini di Tondelli, raffigurata come un vero e proprio castello postmoderno dei destini incrociati, labirinto artificiale di cemento, plastica o cartone in cui ogni personaggio ricerca se stesso o qualcun altro. Crocevia quasi californiano di arterie stradali che ne disegnano la topografia di megalopoli tentacolare, estesa senza soluzione di continuità lungo la costa e protesa verso l’interno sino alle propaggini appenniniche, luogo in cui si concentrano trame losche e speculazioni, la Rimini di Tondelli si configura come la negazione del locus amoenus tradizionale, anzi l’emblema di una modernità matura, persino prossima alla conflagrazione apocalittica. Sulla stessa lunghezza d’onda la Riccione di Fluo di Isabella Santacroce ne recupera il ruolo di bengodi del turismo di massa, esasperandone i tratti consumistici, ma si configura anche in un orizzonte più ristretto, persino più provinciale. Negozi, bar, discoteche e, soprattutto, supermarket, si collocano entro una topografia circoscritta, tra il lungomare e la centrale via Ceccarini, luogo di shopping per eccellenza. D’altra parte Fluo è prevalentemente un romanzo di interni, costruito attraverso la giustapposizione di scene, in cui domina la presa diretta, secondo i moduli della scrittura diaristica.
Sembra quasi che la scelta di rappresentare spazi circoscritti coincida con il ripudio di una costruzione narrativa articolata e complessa in favore di una successione di episodi scenici ambientati in bar, discoteche, locali notturni e soprattutto nell’appartamento di amici, dove la protagonista diciottenne, in rotta con la madre, è andata a vivere. E, se si considera che Fluo è anche un romanzo «notturno», che identifica nella notte il tempo «giovanile» per eccellenza contrapposto al ritmo diurno del quieto vivere adulto, se ne ricava l’impressione di un’atmosfera claustrofobica e allucinata: uno spazio chiuso pervaso dalle tenebre della notte su cui risaltano i colori fluorescenti degli abiti e dei maquillage della protagonista e delle sue amiche, procaci e trasgressive sì ma anche incapaci di accedere a veri e propri luoghi di evasione. ·
Anche Viareggio e le altre località della costa versiliana raffigurate nei romanzi di Veronesi non sono per i protagonisti vere e proprie località di villeggiatura: possono se mai risultare le mete di un girovagare bizzarro «alla ricerca del tempo perduto», che corrisponde, per l’io narrante di Per dove parte questo treno allegro, alla rassegna desolata dei luoghi rappresentativi del proprio fallimento (la casa di famiglia confiscata al padre in bancarotta, la spiaggia viareggina frequentata dall’ex-fidanzata) oppure costituire luoghi elettivi di permanenza come è per l’Ennio Miraglia di Venite venite B-52, fuggiasco dalla realtà angusta della provincia lombarda. Vero è che la Viareggio di Veronesi appare meno schiacciata sulla contemporaneità della Riccione di Fluo ma dotata di uno spessore più rilevato, che la erige a spaccato di storia recente: dagli albori della speculazione edilizia agli illeciti finanziari più attuali sino all’avvento dell’era delle telecomunicazioni.
Al di là degli scenari geografici differenti e della diversa atmosfera generazionale, emerge comunque nei romanzi citati una prospettiva comune, una sorta di affinità elettiva che unisce i diversi personaggi: il punto di vista non è mai quello del turista autentico. Anzi la spensieratezza vacanziera vera e propria è oggetto di una rappresentazione straniata, spesso affidata al registro del controcanto ironico o della deformazione grottesca. li protagonista di Per dove parte questo treno allegro ripensa con ironia malinconica alle proprie abitudini turistiche del passato e l’io narrante di Fluo ritrae con una punta di sarcasmo sprezzante la carrellata grottesca dell’umanità da spiaggia: «Sotto la mia finestra scenette balneari sfilano come carri mascherati. Il solito sonoro vacanziero di inizio estate riempie l’aria ancora fresca. Flash di pubblicità Mulino Bianco corrono davanti ai miei occhi e forse vorrei infilarmici dentro lasciando annegare il mio corpo in tutto quel verde così esageratamente rassicurante». Nelle abitudini e nei luoghi deputati del turismo di massa i nostri personaggi riconoscono comportamenti e ambienti familiari ma distanti: si atteggiano piuttosto nel ruolo di «turisti per caso», di autoctoni marginali e trasgressivi, di avventurieri trapiantati. Li accomuna un senso di inappartenenza e di estraneità, urta sorta di inettitudine postmoderna che li rende incapaci di integrarsi nel mondo sfavillante del turismo di massa, distanti, forse anche trasgressivi ma, nella sostanza, fragili e perdenti. Le località turistiche si configurano così come i luoghi di una socialità frustrata e di un’affettività fallimentare, che coinvolge i rapporti sentimentali e parentali. Spesso figli di coppie fallite, .di padri o madri abbandonate («Mio. padre ha mollato mia madre per una lolita puttana» si legge nelle prime pagine di Fluo), i protagonisti dei romanzi di Veronesi o di Isabella Santacroce dimostrano difficoltà relazionali che li avviano a un destino di solitudine. Ne risente la dimensione dell’eros, capace di manifestarsi unicamente nella esibizione narcisistica del proprio corpo, come è per l’eroina di Santacroce, o nell’onanismo parossistico dell’Ennio Miraglia di Veronesi. Anche nella narrativa più marcatamente riconducibile ai moduli del racconto sentimentale le località marittime, lungi dal rappresentare lo scenario favorevole all’esplicarsi dell’intrigo amoroso, si trasformano facilmente in luogo di frustrazione deludente e, in definitiva, di solitudine ribadita. Così il’ racconto di Claudio Piersanti, L’amore degli adulti, compreso nell’omonima raccolta, è ambientato in una località imprecisata dell’Adriatico centrale «davanti ad una raffineria puzzolente». Anche in questo caso spiagge attrezzate, ristoranti caratteristici nell’entroterra, alberghi e chioschi ripropongono, sia pure in una dimensione più quietamente provinciale, i tratti marcatamente urbanizzati del paesaggio costiero più settentrionale. Eppure in questo contesto l’io narrante, figura paradossale di «turista per caso», che di mestiere fa l’operatore turistico ed è abituato a ben altri itinerari, si sforza di costruire con una giovane compositrice una relazione stabile e appagante. L’esito infelice del tentativo finisce con l’aggravarne la condizione di solitudine: «È davvero strano, quello che mi succede: ora che amo sono solo come non mi son mai sentito».
Certo l’atmosfera comune suggerita dai romanzi di «riviera» non adombra le differenze tra le diverse opzioni narrative. Non si tratta soltanto della distanza generazionale percepibile tra gli autori e tra i loro personaggi. Le tecniche narrative e i registri di scrittura differenti definiscono mondi paralleli ma distanti. I romanzi di Veronesi propongono un punto di vista articolato e complesso, sia che risulti affidato a un io narrante sospeso, tra ironia e pathos malinconico, sia che chiami in causa, più ambiziosamente, un narratore onnisciente ambiguo e sornione, che domina i personaggi e. .strizza l’occhio al lettore sollecitandone e poi frustrandone le attese. .
L’io narrante di Piersanti corregge con una vena. ironica appena percepibile l’effusività dello scavo intimista. La narrazione in . prima persona della Santacroce di Fluo, come anche dei romanzi . successivi si ispira invece a una sorta di voyeurismo visionario che sovraccarica la varietà dei registri espressivi utilizzati, dal linguaggio massmediatico o consumistico al gergo giovanile, di un metaforismo esasperato e immaginifico. Ne consegue l’effetto di una sorta di barocchismo postmoderno, insieme cupo e sfavillante.
Al registro di una scrittura visionaria è riconducibile lo stile di un altro romanzo «costiero»: I mulatti di Aurelio Picca. È di scena, questa volta, il paesaggio inedito della costa tirrenica meridionale, tra il basso Lazio e la Campania, itinerario lungo il quale si compie il percorso del narratore in compagnia di Mara, una fanciulla un po’ folle, sulle orme di un viaggio compiuto con alcuni amici qualche anno prima. Così racconto di viaggio e scavo nella memoria si sovrappongono; a disegnare il percorso di un’educazione sentimentale fallita e di una formazione irrisolta. Vi fa da sfondo, tuttavia, un paesaggio difforme dagli scenari delle megalopoli rivierasche più settentrionali, anzi caratterizzato da marcati elementi di discontinuità: immagini di infrastrutture turistiche attrezzate, spiagge, alberghi, discoteche, come la Stella del Sud «la discoteca da diecimila ballerini, perla del Meridione», si alternano a scorci di natura ancora incontaminati e selvaggi. A rendere tali effetti di contrasto si presta lo stile espressionistico di Picca, che combina fantasia onirica con impennate di aggressività espressiva e di crudo realismo. Ne risulta plasmata una sorta di scenario allucinato e spettrale, pervaso da un’atmosfera funerea: «Correvamo verso una città calpestata. Una città di montarozzi di formiche che si assestava, alla meglio, dove la bomba di vuoto era esplosa. Questo era il golfo di Policastro?» Insomma, da Nord a Sud gli scrittori di “ riviera” e di “pianura” si affidano al punto di vista di un narratore straniato sì, ma anche estraneo a nostalgie premoderne o evasioni naturiste. Per lui il turismo marittimo è la dimensione di una modernità lacerante e contraddittoria, con cui, tuttavia, val la pena di misurarsi.
Al confronto le ambientazioni montane o lacustri configurano un panorama più frammentato, che si presta meno facilmente a chiavi di lettura univoche. Più evidente a tratti la stilizzazione letteraria che relega lo scenario montano alla funzione tradizionale di locus amoenus, magari evocato a suggerire per contrasto l’imcombere di atmosfere ambigue e inquietanti. Così è per lo scenario delle montagne svizzere evocato in Cioccolata di Hanselmann di Rosetta Loy. E se in questo caso si tratta di un romanzo storico che evoca 1’ atmosfera del turismo montano degli anni Trenta, il riferimento alla Svizzera non è un episodio di sconfinamento isolato: la Svizzera è la vera «frontiera » della narrativa degli anni Novanta. Non si tratta della Svizzera verde delle montagne incantate, ma della Svizzera delle banche e dei supermercati di confine, emblema di un consumismo gratificante e ordinato (quello descritto da Aldo Nove in Puerto Plata market) e luogo di intrighi finanziari e di macchinazioni criminali. Anche, crocevia di valichi autostradali che conducono in Italia personaggi loschi e misteriosi. Ed ecco il dato emergente: il legame significativo che si stabilisce tra l’ambientazione montana o lacustre e la letteratura di genere, il giallo in particolare. Laghi e monti diventano lo scenario naturale su cui si addensano misteri e intrighi criminali. Proprio per tale ragione le località evocate sono sì riconducibili a coordinate geografiche individuabili ma spesso non identificate con precisione.
Così è per il lago prealpino sulle cui rive e montagne circostanti è ambientato il romanzo di Raoul Montanari La perfezione, storia di un giovane, sconvolto dal ricordo di un incidente automobilistico che lo ha sfigurato, che riceve la misteriosa consegna di uccidere un assassino, un olandese appassionato di pesca in vacanza in una delle vallate prealpine circostanti il lago. L’appuntamento con la morte ha per scenario un paesaggio lacustre colto anche nei suoi aspetti di folklore turistico, tra sagre e feste di piazza, ma pervaso di un’atmosfera lugubre, spesso simbolicamente suggerita dall’immagine del lago «cupo». E uno scenario di maniera, che esercita però una suggestione efficace quando è raffigurato dallo sguardo di chi osserva da un interno, la tipica «finestra sul cortile». Lo sguardo alterna prospettive di personaggi maschili e femminili in cui si esprime un eros irrisolto e inquieto che solo la morte conduce alla «perfezione». il nesso tra l’ambientazione montana e la narrativa gialla non si esaurisce nella predilezione per paesaggi montani più o meno ameni, più o meno inquietanti, ma spicca anche per la valorizzazione di nuovi itinerari, disegnando una geografia, finora poco frequentata, dell’Italia del mistero. È la dorsale appenninica a rappresentare, in tal senso, la scoperta originale e singolare della narrativa recente. A valorizzarla contribuiscono sicuramente fattori estrinseci, come la provenienza emiliana o toscana di alcuni autori e la loro conseguente familiarità con l’entroterra tosco-emiliano, ma soprattutto fattori intrinseci e, in particolare, il rapporto di contiguità geografica con le fasce costiere nonché con i centri urbani dell’entroterra.
La dorsale appenninica vive in un rapporto di complementarità con le coste attigue, anzi è il luogo dove si tessono le fila delle macchinazioni che conturbano l’ambiente apparentemente spensierato delle riviere. Già in Rimini di Tondelli sono i conventi e le abbazie situate nel cuore dell’Appennino tosco-emiliano i luoghi di riferimento-per la soluzione- della trama gialla del romanzo. E il romanzo noir di Luigi Guicciardi, modenese, La calda estate del commissario Cataldo è· ambientato in una località turistica immaginaria dell’appennino emiliano, tra Modena e Vignola: lo scénario descritto con scarse concessioni agli abbandoni paesaggistici; anzi caratterizzato da una ambientazione prevalentemente urbana, tutta seconde case e villette a schiera. Prende corpo proprio nella recente letteratura giallistica l’immagine della megalopoli emiliana, «una cosa grande che va da Parma fino a Cattolica, un pezzo di regione spiaccicato lungo la via Emilia, dove la gente vive a Modena, lavora a Bologna e la sera va a ballare a Rimini. Questa è la strana metropoli di duemila chilometri quadrati e due milioni di abitanti, che si allarga a macchia d’olio tra il mare e gli Appennini e non ha un vero centro ma una periferia diffusa che si chiama Ferrara, Imola, Ravenna o la Riviera» (Carlo Lucarelli, Almost Blue). Alla megalopoli emiliana, luogo noir per eccellenza, fa da pendant, sull’altro versante, l’entroterra toscano, tra le Alpi Apuane e la valle del Serchio: uno scenario dai tratti aspri e selvaggi in netto contrasto con la fisionomia inurbata della costa. Eppure proprio della riviera versiliana tale entroterra costituisce il cuore oscuro e primitivo, rifugio di sbandati come gli affiliati della banda bizzarra dei complici di Ennio Miraglia o covo di anarchici come nel romanzo Fughe da fermo di Edoardo Nesi. Del resto poche decine di chilometri separano tali località dai centri costieri principali, Viareggio o Forte dei Marmi, luoghi raggiungibili peraltro·in autostrada_ dai capoluoghi toscani. Ecco che nell’Italia centro-settentrionale, dal. Tirreno all’Adriatico, si delinea il tracciato di un coast. to coast tutto nostrano, lungo il quale si muovono turisti stanziati, vacanzieri del fine settimana, trenta-quarantenni in fuga dai propri fallimenti, giovani senza voglia di crescere. Nel complesso il vagabondaggio di una provincia sommersa, che, in procinto di-essere assorbita dalle megalopoli costiere, si sforza di acquisire, tra riviere sfavillanti ed entroterra cupo e misterioso, una identità nuova.