Alte le quotazioni dell’informatica umanistica

Che cos’è l’informatica umanistica? È solo un aggiornato settore di discipline già note, o una disciplina del tutto nuova, che gode di uno statuto indipendente, richiede competenze specifiche, propone modelli conoscitivi utili per ambiti scientifici diversi? Su queste domande si è sviluppato negli ultimi tempi un vasto dibattito, che coinvolge studiosi di letteratura, di filosofia, di storia. Se ne possono indicare i temi di fondo, dando conto delle diverse posizioni e presentando alcune iniziative già sviluppate, dentro e fuori il mondo universitario.
 
L’«informatica umanistica» sembra godere di un momento favorevole: guardata a volte con simpatia e a volte con fastidio, considerata, fino a ora, solo da poche università come un possibile ambito di investimenti, adesso compare addirittura nel titolo di un corso di laurea specialistica: «Informatica per le discipline umanistiche».
Se alcune facoltà umanistiche sono già al lavoro per inserire nei programmi futuri questa classe di biennio (ad esempio Roma «La Sapienza», Siena, Firenze, Trieste), tutte devono comunque fornire nelle classi di laurea triennale (secondo l’indicazione sempre presente nelle declaratorie ministeriali degli obiettivi) una prima competenza informatica: chiunque, insomma, dopo la laurea, deve sapere come si accende un computer e come si utilizza un programma di scrittura. Peccato che non ci sia alcuna indicazione per interventi più consapevoli, per quanto di base, anche in rapporto alle principali discipline umanistiche studiate. Alcuni insegnamenti di informatica applicata alle discipline umanistiche sono stati comunque attivati, mentre rari sono i corsi triennali specificamente dedicati all’informatica umanistica nelle classi di lettere, di filosofia, di storia: tra questi un corso della classe di Lettere dell’università di Pisa (corso di laurea in «Informatica Umanistica»), che «mira a formare laureati che possiedano una solida cultura di base in campo letterario, linguistico, filologico, storico, geografico e artistico e, al tempo stesso, un’autonoma capacità operativa nel trattamento informatico di lingue, testi, immagini e in generale contenuti culturali». Sono, per altro, in gran parte, gli stessi obiettivi del corso della classe di Lettere che all’Università degli studi di Parma si chiama «Scienze della comunicazione scritta e ipertestuale», che tuttavia, seguendo una linea le cui origini possono comunque essere ricondotte alle iniziali riflessioni di informatica umanistica, sposta l’accento sugli aspetti comunicazionali dei testi e sulla loro trasmissione con supporto digitale. Altre università (ad esempio Ferrara, Genova) stanno invece percorrendo la strada dei master inaugurata nel 1999 dall’università degli studi di Milano con un «Master in Metodologie dell’informatica e della comunicazione per le scienze umanistiche», promosso dalla Facoltà di Lettere e Filosofia, in collaborazione con i Dipartimenti di Filosofia e di Scienze dell’informazione.
Nuove possibilità si stanno dunque offrendo, ma il passaggio dalle intenzioni alla realizzazione dei programmi non è facile, sia perché spesso non ci sono nemmeno le aule attrezzate necessarie, sia perché, anche quando esiste la disponibilità a incrementare il numero dei computer, la dotazione è in molti casi estranea (con le dovute eccezioni, naturalmente) a ogni sorta di programmazione, didattica e non. Come trasmettere, in questo quadro, anche solo quelle (prime) competenze informatiche che gli obiettivi indicati per le classi di laurea triennali nei settori umanistici (im)pongono con una ripetizione addirittura un po’ ossessiva?
Prima o poi, comunque, si arriverà ad avere le strutture necessarie sia nelle facoltà umanistiche, sia nelle scuole secondarie non tecniche, e, in attesa di queste possibili, future e fortunate circostanze, si può, o addirittura «si deve», avanzare fin d’ora alcune riflessioni scaturite dai più recenti dibattiti.
La prima riguarda lo status (e lo statuto) della disciplina: l’«informatica umanistica» viene ormai sempre più spesso considerata un’area disciplinare indipendente, per cui alcuni studiosi hanno addirittura proposto la costituzione di un settore scientifico-disciplinare autonomo, da denominare «Metodologie umanistiche multimediali». Tra i sostenitori del progetto si può segnalare qui, per il suo indubbio prestigio in questo ambito, Tito Orlandi, direttore del CISADU, Centro interdipartimentale di servizi per l’automazione nelle discipline umanistiche, dell’università di Roma «La Sapienza», alla cui pagina web sono disponibili numerosi saggi per la discussione (http://rmcisadu.let.uniromal.it/~orlandi).
Inserito tra i raggruppamenti delle Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche, il nuovo settore dovrebbe avere, come campi paradigmatici di competenza, i «Fondamenti dell’informatica umanistica», le «Analisi multimediali negli studi linguistici», «Analisi multimediali negli studi archeologici», «Analisi multimediali negli studi filologici», «Analisi multimediali negli studi filosofici», «Analisi multimediali negli studi storico-artistici», «Analisi multimediali negli studi letterari», «Analisi multimediali negli studi storici», «Analisi multimediali negli studi musicologici». Nella proposta di una possibile declaratoria si aggiunge che il settore «comprende gli studi relativi alle innovazioni metodologiche prodotte dall’utilizzazione dei sistemi multimediali nell’ambito delle discipline umanistiche, soprattutto per quanto riguarda la rappresentazione dei dati, la formalizzazione delle diverse fasi del lavoro di ricerca e le tecniche di diffusione dei risultati».
Criticando l’esclusione della filosofia e delle riflessioni metodologiche nelle attuali tabelle della classe «Informatica per le discipline umanistiche», un gruppo di docenti di filosofia coordinati da Massimo Parodi, dell’università degli Studi di Milano, ha ipotizzato, in un documento del maggio 2001 (disponibile all’indirizzo http://rmcisadu.let.uniromal.it/~orlandi/parodi/nuovo.pdf), l’istituzione di una classe di laurea specialistica intitolata «Teoria, critica e applicazione dell’informatica umanistica».
Lo si ricorda qui per dare un quadro del dibattito in corso, che coinvolge le ragioni stesse dell’informatica umanistica, come si rileva con evidenza dai messaggi raccolti nella lista Idulist (http://linux.lettere.unige.it/pipermail/idulist/2001-April/subject.html), che permettono di individuare due linee, diverse e ugualmente legittime, sulle quali, naturalmente, si possono condurre, anche in Italia, quelle discussioni e quegli approfondimenti già avviati da tempo in molte istituzioni culturali e universitarie straniere (in queste pagine ci si può limitare a ricordare i risultati di un gruppo di lavoro europeo, raccolti in Computing in Humanities Education. A European Perspective, edited by Koenraad de Smedt, Hazel Gardiner, Espen Ore, Tito Orlandi, Harold Short, Jacques Souillot, William Vaughan; pubblicato nel 1999 da The University of Bergen, è leggibile anche all’indirizzo: http://www.hd.uib.no/AcoHum/book/).
Se da un lato c’è dunque l’idea dell’informatica umanistica come momento importante di approfondimento nello studio delle singole discipline, dall’altro cresce l’idea di una disciplina autonoma, i cui punti caratterizzanti sono così riassunti nel documento di Parodi sopra ricordato: «fondamenti teorici dell’informatica e loro rapporto con la più generale riflessione di carattere logico, conoscitivo ed epistemologico della cultura occidentale»; «rapporti tra discipline informatiche e saperi umanistici; contributi metodologici delle discipline umanistiche nei campi del linguaggio, dell’uso delle immagini, della storia e logica dell’archiviazione e delle indicizzazioni, della categorizzazione e della tassonomia»; «forme di rappresentazione della conoscenza, modelli di dati e formalismi adeguati ai diversi settori della ricerca umanistica, al fine di costruire competenze propriamente informatico-umanistiche, ad esempio nei campi della rappresentazione del testo (concetto di “documento digitale”, caratteristiche della scrittura ipertestuale, ecc.) o delle architetture per biblioteche digitali»; «analisi critica delle implicazioni culturali e filosofiche connesse alla diffusione su larga scala dei nuovi mezzi di espressione e di comunicazione».
A favore della piena autonomia disciplinare dell’informatica umanistica si schiera uno degli studiosi più attivi nel dibattito degli ultimi anni, Dino Buzzetti, dell’università di Bologna, che, in un lungo scritto alla lista Idulist, rivendica all’informatica umanistica il compito di essere «la disciplina che riflette sulle forme di rappresentazione della conoscenza più adeguate alle singole discipline umanistiche, sui modelli di dati che se ne ricavano, e sull’implementazione dei formalismi che si possono applicare a tali modelli di dati» (intervento in Idulist, http://linux.lettere.unige.it/pi- permail/idulist/2001 Aprii/000013 .html).
Anche Gino Roncaglia, storico della filosofia medievale e impegnato da tempo nella riflessione sui «nuovi media» (con fortunati libri scritti in collaborazione con Marco Calvo, Fabio Ciotti, Marco A. Zela: l’ultimo è Frontiere di rete. Internet 2000: cosa c’è di nuovo, ma si può ricordare anche, scritto con Fabio Ciotti, Il mondo digitale. Introduzione ai nuovi media), propone di ripensare, e di strutturare disciplinarmente, i «Fondamenti e metodi dell’informatica umanistica», a partire dal riconoscimento dell’esistenza di «un armamentario teorico che faccia parte della nostra formazione umanistica a monte della differenziazione disciplinare e dei problemi delle singole discipline, e che sia direttamente influenzato dalla rivoluzione informatica» (intervento in Idulist, 19 aprile 2001, http://linux.lettere.unige.it/pipermail/idulist/2001-April/000011.html).
Nelle considerazioni qui sopra riportate, l’informatica umanistica si propone quindi come la disciplina che studia, anche, o soprattutto, a livello teorico, i modelli della formalizzazione dei testi e della loro rappresentazione su supporto digitale («facendo evidentemente riferimento a una concezione assai ampia di testualità, non limitata alla scrittura», come precisa ancora Roncaglia).
Sul versante di chi invita a prestare una più specifica attenzione alle questioni poste dall’informatica alle singole discipline, si possono citare invece le parole dello storico Andrea Zorzi: «la soluzione dei percorsi disciplinari tradizionali, corroborati da una solida formazione informatica applicata (che potrebbe anche configurarsi come un curriculum specifico) mi sembra migliore, sia in teoria, sia in pratica» (intervento in Idulist, 16 Aprile 2001, http://li- nux.lettere.unige.it/pipermail/idulist/2001-April/000009.html).
Zorzi ricorda i risultati positivi del Corso di perfezionamento in «Storia e informatica» dell’Università di Firenze, operante dal 1998, aggiungendo che sono stati attivati «stage con aziende, enti e istituti di conservazione, che hanno consentito un reale inserimento professionale di quasi tutti i “perfezionati” nel mondo del lavoro».
Del resto anche limitando la riflessione al solo e più tradizionale versante delle applicazioni informatiche alle specifiche discipline, gli spunti per un approfondimento del dibattito non sono pochi. La contaminazione delle conoscenze e delle metodologie tradizionali con le innovazioni introdotte dalle applicazioni informatiche apre nuovi orizzonti (epistemologici e metodologici) con i quali anche gli specialisti «non informatizzati» dovrebbero fare i conti, se è vero, come ha scritto in più occasioni Raul Mordenti a proposito della filologia ma le sue parole possono essere applicate alle altre discipline che «l’informatica non tanto risolve, o aiuta a risolvere, i vecchi problemi, quanto determina un campo di problemi completamente nuovo» (Textus Vs Textes. La filologia e l’informatica, in La bella e la bestia. Letteratura e informatica, collana «A tre voci. Seminari dell’istituto di Filologia Moderna dell’Università degli studi di Parma», p. 40). Non dovrebbero essere gli studiosi dei singoli settori, in primo luogo, a misurarsi con queste parole? E tuttavia raramente si instaura un confronto, tanto più se il dibattito avviene fuori dell’ambito disciplinare. Fare i conti con le singole discipline, tuttavia, potrebbe spingere a ritrovare le ragioni per mantenere o abbandonare strade da tempo intraprese: nell’ambito della critica letteraria, ad esempio, Giuseppe Savoca, nel ripensare i temi della lessicografia e del metodo concordanziale anche in rapporto all’uso dei computer, non manca di sottolineare l’apporto del «critico» in quanto lettore dotato di una propria personale capacità interpretativa, che gli spogli lessicali facilitati dalla nuove tecnologie completano e sviluppano ma non sostituiscono (si veda a questo proposito Giuseppe Savoca, Lessicografia letteraria e metodo concordanziale, edito da Olschki).
Il dibattito sui temi sopra toccati è naturalmente aperto e in continuo movimento, e la riflessione sulle due linee indicate si arricchisce grazie a convegni e a seminari, a incontri formali e informali, a esperienze concrete come l’organizzazione di biblioteche digitali che permettano l’accesso a testi informatizzati della letteratura o dei documenti del passato.
Anche se non esiste ancora un’iniziativa simile a «Gallica» – la grande biblioteca multimediale in rete promossa dalla Bibliotheque nationale de France (http://www.gallica.bnf.fr), che mette a disposizione 80.000 testi digitalizzati appartenenti a un arco cronologico compreso tra il Medioevo e gli inizi del Novecento, dei quali propone spesso la rappresentazione in formato immagine (con la possibilità, dunque, di poter consultare anche i paratesti e favorire la storia bibliografica delle varie edizioni) – alcuni importanti archivi in rete incominciano a offrire, anche in Italia, numerosi classici di letteratura italiana (che vanno ad aggiungersi alle pubblicazioni in cd rom, come l’ormai affermata Letteratura italiana Zanichelli o i titoli della Lexis sulla lirica italiana, su Petrarca, su Leopardi, ecc.).
A titolo d’esempio occorrerà ricordare almeno due grandi centri «pionieri» degli archivi digitali, ormai consolidati e sviluppati: il CRILet, Centro Ricerche Informatica e Letteratura (http://cri- let.let.uniromal.it), e il CIBIT, Centro Interuniversitario Biblioteca Italiana Telematica (http://cibit.humnet.unipi.it). La specificità del CRILet (diventato, nel 2001, una Sezione di ricerca del Dipartimento di studi linguistici e letterari dell’università di Roma «La Sapienza», di cui si è a lungo occupato Giuseppe Gigliozzi prematuramente scomparso lo scorso anno) è ormai da tempo l’attenzione prestata agli aspetti teorici e pratici della codifica dei testi (in particolare di SGML, Standard Generalized Markup Language), necessaria per l’allestimento di archivi capaci di offrire le più varie possibilità di ricerca, grazie alla flessibilità dell’impostazione e alla facilità di intervenire sulle codifiche con modifiche appropriate. Dalle riflessioni sviluppate dai ricercatori del CRILet è nato il progetto «TIL (Testi Italiani in Linea)», finanziato dal MURST, che ha già messo in rete oltre 400 testi della letteratura italiana codificati in SGML (http://til.let.uniromal.it).
Il CIBIT, da parte sua, costituito dalle università di L’Aquila, Catania, Ferrara, Genova, Messina, Napoli, Padova, Pavia, Piemonte Orientale, Pisa, Roma «La Sapienza», Torino, Trento, Venezia e Stoccolma, sta realizzando (con un contributo del MURST) una grande Biblioteca Italiana Telematica (http://cibit.humnet.- unipi.it/home_index.htm), e mette già a disposizione oltre un migliaio di testi, con possibilità di varie interrogazioni (linguistiche, metriche, ecc.) secondo il programma di ricerca DBT (Data Base Testuale), nato all’interno del Centro di Linguistica Computazionale del CNR di Pisa.
L’approfondimento delle problematiche dell’informatica umanistica si va tuttavia estendendo anche ad aspetti più tecnici: ad esempio la funzionalità di nuovi linguaggi o di software particolari. Si può ricordare, a questo proposito, il confronto su XML e Conoscenza, organizzato a Crema, nei giorni 29 e 30 giugno 2001, da alcuni esponenti del Dipartimento informatico dell’università degli Studi di Milano e da studiosi di discipline umanistiche. Nella seconda giornata, dedicata al tema: XML per le Applicazioni Umanistiche, erano previste relazioni su singole discipline (ad esempio Esperienze di trattamento di informazioni storiche e archeologiche usando XML, di Franco Niccolucci, dell’università di Firenze, o Prospettive per XML e filologia, di Simone Albonico, dell’università di Pavia), e una tavola rotonda intitolata Ricerca informatica e ricerca umanistica: XML come punto di convergenza?.
Resta da dire velocemente qualcosa che meriterebbe invece uno spazio più ampio, prendendo in esame altre possibilità di con creta utilizzazione dell’informatica da parte della comunità degli studiosi. A ricordare cosa sia possibile fare sono utili almeno due esempi di rivista digitale, scelti, nel contesto italiano, in ambito storico e filosofico (in rete sono del tutto assenti riviste accademiche di critica letteraria, e si ha spesso l’impressione che gli italianisti siano più restii dei loro colleghi a servirsi della potenzialità a disposizione). Il primo esempio è «Reti Medievali. Iniziative on-line per gli studi medievistici» (www.retimedievali.it) che presenta in rete un’ampia biblioteca di saggi (ma anche una riflessione sul nuovo mezzo, con un articolo di Andrea Zorzi intitolato «Reti medievali»: an initiative of new communication of historical knowledge), e informazioni ampie su manifestazioni, convegni, incontri, offrendosi come un punto di riferimento per la comunità degli studiosi di storia del Medioevo. Il secondo è «De Musica. Annuario in divenire del Seminario Permanente di Filosofia della Musica», promosso nel 1993 da Giovanni Piana, all’interno del Dipartimento di Filosofia dell’università degli Studi di Milano, e ora coordinato da Carlo Serra (http://users.unimi.it/~gpiana/demus.htm). Raccolti anno dopo anno, vi si trovano ampi saggi specialistici, liberamente utilizzabili.
Quelli citati sono solo due esempi, e, anche se potrebbero rappresentare i primi elementi di un elenco, anche lungo, delle diverse (e a volte poco note) risorse che la rete offre per le diverse discipline, si ricordano qui, esclusivamente, per testimoniare come stia crescendo nel concreto l’utilizzo delle tecnologie digitali, e della rete Internet in particolare, anche a fianco, e oltre, le riflessioni teoriche sulle innovazioni metodologiche, scientifiche, didattiche introdotte nel campo degli studi umanistici.