La libreria targata Fnac. Intervista a Giuseppe Allegri

Il mondo della libreria è in grande fermento: i librai si sono resi conto che vendere solo libri ormai non basta più. Oggi, infatti, i potenziali clienti cercano in un unico luogo un’offerta diversificata di articoli commerciali affini tra loro (oltre ai libri, dischi, cd rom, videocassette, DVD, informatica, elettronica, biglietteria). La Fnac di Milano e di Genova (ma altre se ne stanno aprendo sul territorio nazionale) offrono appunto tale varietà di prodotti, a cui si aggiungono la caffetteria, le azioni culturali (mostre, concerti, incontri con artisti e scrittori) e gli eventi multidisciplinari che abbinano la letteratura alla musica o alle nuove tecnologie.
 
Giuseppe Allegri è stato il responsabile del primo punto vendita aperto a Milano dalla Fnac, società di cui è attualmente il Direttore Acquisti Libri per l’Italia. In passato ha lavorato dieci anni per le librerie Rizzoli e ha diretto la libreria Cavour di Milano.
 
Da molti anni lei lavora nel mondo della libreria. Quali sono stati i cambiamenti che più hanno segnato questa attività nell’ultimo decennio?
La novità maggiore è stata certamente il cambiamento d’atteggiamento dei librai, i quali si sono resi conto che vendere solamente libri ormai non basta più. Ma se costoro sono cambiati è anche perché è cambiato l’atteggiamento dei consumatori. Oggi i clienti cercano spazi più «conviviali» e un’offerta più varia di articoli commerciali affini tra loro. Ecco perché abbiamo visto entrare in libreria la cartoleria più o meno specializzata, i dischi, le videocassette e così via. Alcune librerie hanno anche proposto l’edicola, pur di rendere più dinamico un luogo che fino a qualche anno fa era freddo e spesso polveroso. Non a caso per molto tempo la libreria è stata un luogo riservato agli addetti ai lavori e assoluta mente repulsivo per la maggior parte del pubblico. Per fortuna, negli ultimi anni la situazione ha iniziato a evolvere: oggi il grande pubblico teme meno le librerie, ma le vuole diverse. Insomma, il pubblico è cambiato, e con esso le librerie.
 
Era inevitabile tale cambiamento?
Direi di sì. Infatti, o i librai vogliono allargare il mercato del libro e quindi si adeguano agli atteggiamenti dei consumatori oppure rimangono legati al loro modus operandi tradizionale, accettando però di rivolgersi esclusivamente a una nicchia limitata di lettori abituali. Gli operatori che hanno cercato di dinamizzare la libreria, proponendo nuovi prodotti, aprendo una caffetteria e organizzando eventi di vario genere, sono quelli che oggi hanno le maggiori possibilità di sopravvivere in un mercato che stenta a crescere. Certo, in passato alcuni di questi tentativi sono falliti, forse perché prematuri o perché male organizzati, ma oggi questa sembra essere la strada obbligata attraverso cui raggiungere un nuovo pubblico. Questa evoluzione è quindi necessaria ed essenziale, anche perché, nonostante tutto, la libreria resta ancora il canale privilegiato della vendita di libri.
 
Perché dice «nonostante tutto» ?
Perché negli ultimi dieci anni abbiamo assistito alla nascita e allo sviluppo del canale della grande distribuzione, un nuovo canale, certo importante ma che resta ancora molto lontano dai risultati della libreria.
 
Parlare di grande distribuzione significa parlare di sconti. Qual è la sua posizione?
Personalmente, non amo gli sconti. In un mercato tutto sommato asfittico come il nostro, non credo che lo sconto sia lo strumento giusto per cambiare radicalmente la situazione. Gli sconti possono risolvere il problema nel breve periodo. Il nostro mercato è tenuto in vita da pochi lettori forti, di conseguenza gli sconti avvantaggiano soprattutto coloro che i libri già li comprano, mentre non spingono all’acquisto chi non ha l’abitudine di entrare in libreria. La recente legge sugli sconti, quindi, a mio avviso non allarga il mercato. Per altro, non protegge nemmeno le piccole librerie, visto che, permettendo uno sconto del 15%, di fatto lascia quasi immutata la situazione passata. La grande distribuzione, che prima faceva uno sconto medio del 20%, adesso lo fa del 15%, continuando a vendere gli stessi libri di prima e continuando a minacciare le piccole librerie. Se veramente si voleva proteggere queste ultime, sarebbe stato meglio fare una legge più restrittiva. Così, mi sembra un’occasione sprecata. Inoltre, con la scusa della nuova normativa, gli editori più importanti potrebbero essere tentati di aumentare il prezzo dei libri, in previsione di un’ipotetica flessione delle vendite imputata alla limitazione degli sconti. La legge, quindi, potrebbe anche avere un effetto perverso per le tasche dei consumatori, che già rischiano di pagare le spese del passaggio all’euro. Non a caso il loro giudizio su questa normativa non è particolarmente positivo.
 
La Fnac quale politica di sconti adotta?
Più che di politica di sconti preferirei parlare di posizione consumerista della nostra azienda. La nostra politica di prezzi tende a tutelare il consumatore, al quale vogliamo assicurare il prezzo minimo garantito, vale a dire il miglior prezzo sul mercato per un dato prodotto. Ovviamente questo tipo di impegno commerciale dà esiti diversi in mercati diversi. In un mercato del libro calmierato (come lo è diventato il nostro dopo l’applicazione della nuova legge), se ciò significa fare lo sconto, noi lo facciamo. D’altronde, il mercato italiano del libro è particolarmente difficile ed è in preda a importanti trasformazioni che richiedono da parte delle aziende e delle istituzioni una grande flessibilità e adattabilità. Staremo quindi a vedere cosa succederà durante l’anno di applicazione della legge, anche se, come già detto, non credo che essa contribuirà ad allargare il mercato. Per ottenere un simile risultato sarebbe piuttosto utile una lunga opera di promozione della lettura.
 
La promozione della lettura è auspicata da tutti, ma nella pratica poi si fa molto poco. Secondo lei, cosa si dovrebbe fare?
Innanzitutto sarebbe necessaria una vasta e prolungata campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, in cui la lettura dovrebbe essere presentata come un’attività positiva, utile e gratificante, un’attività culturalmente non sostituibile da altre attività. Anche i programmi scolastici dovrebbero porsi più concretamente il problema di come avvicinare gli studenti alla lettura. Si tratta di iniziative che potrebbero essere avviate abbastanza facilmente. Purtroppo, nonostante tante dichiarazioni altisonanti, finora in Italia è mancata la volontà di attuare una seria politica di promozione del libro e della lettura. Si è preferito privilegiare le facilitazioni per gli editori a discapito degli investimenti utili ad allargare il pubblico e a sviluppare il mercato. La responsabilità non è solo del mondo politico, ma anche dei più importanti operatori del settore, i quali hanno preferito privilegiare i propri interessi immediati piuttosto che gli investimenti a lunga scadenza.
 
La filosofia consumerista della Fnac riesce a raggiungere un pubblico più largo di quello tradizionale?
Se non altro ci prova. Il nostro è un modello multiprodotto che propone libri, dischi, DVD, videocassette, informatica, elettronica e biglietteria. A questi prodotti si aggiungono poi la caffetteria e le azioni culturali, vale a dire le mostre, i concerti, gli incontri con artisti e scrittori, nonché gli eventi multidisciplinari che abbinano la letteratura con la musica o le nuove tecnologie. Noi vorremmo che il negozio Fnac non fosse solo un centro commerciale, ma anche un centro di convivialità. Per questo, i nostri negozi si propongono come spazi piacevoli da vivere, nei quali il cliente trova una quantità di prodotti diversi, tutti consultabili e disponibili senza alcuna limitazione e senza che alcun commesso spinga all’acquisto. Per questo, ad esempio, abbiamo creato alcune zone dove è possibile leggere i libri presenti in libreria. La nostra proposta, fortemente rivolta al consumatore, poggia anche su un’articolata politica di servizi, come ad esempio la prenotazione dei libri non disponibili in libreria, che noi c’impegniamo a procurare anche quando sono pubblicati da piccolissimi editori.
 
Quanto rappresenta il fatturato del libro in un negozio Fnac?
Nei negozi francesi i libri rappresentano il 20% del fatturato. Il mercato italiano è però solo un terzo di quello francese, di conseguenza la nostra percentuale sarà probabilmente inferiore. In ogni caso la Fnac di Milano, che ha una superficie di 3.600 m2 (20% dei quali consacrati ai libri), quando sarà a regime diventerà una delle più importanti librerie italiane, anche se la sua collocazione geografica non è ideale.
 
L’interazione tra il libro e gli altri prodotti è molto marcata?
Sì certo, ed è verificabile tutti i giorni. Sono molti i clienti che, entrati nel negozio per cercare un video o un disco, passano poi per la libreria dove magari comprano libri che non avevano previsto di acquistare. Il pubblico che frequenta il reparto libreria è soprattutto un pubblico interessato ai libri, ma certo non mancano coloro che vi giungono solo per curiosare, senza alcun progetto preciso di acquisto. Va detto però che per molti clienti la compresenza nello stesso negozio di prodotti diversi è ancora una novità.
 
Il negozio di Milano è stato aperto nell’ottobre del 2000 e quello di Genova nel maggio 2001. Quali saranno le prossime tappe?
Nei primi mesi del 2002 apriremo il negozio di Torino. Sarà poi la volta di quello di Verona in autunno, seguito da quelli di Napoli e Padova nel 2003. Si tratterà di negozi che saranno più piccoli di quello di Milano, ma più grandi di quello di Genova, avranno cioè una superficie tra i 2.000 e 2.500 m2. La joint venture con il gruppo Coin prevede una prima serie di sei negozi fino al 2003. In seguito ce ne saranno altri. Ad esempio stiamo cercando spazi adeguati a Roma e in altre città. Insomma, il progetto della Fnac in Italia è un progetto ambizioso, un progetto a cui l’azienda stava pensando da anni, ma senza riuscire a trovare il partner adeguato. Forse perché la strategia che sta alla base dei negozi Fnac non è facilmente condivisibile dagli altri gruppi commerciali. Ad esempio, la volontà di essere a tutti i costi indipendenti dai marchi non è sempre accolta favorevolmente dagli operatori del settore. Questa difesa dell’indipendenza per noi vale nel settore dell’informatica e dell’elettronica, ma anche in ambito editoriale, tanto che abbiamo del tutto abbandonato la suddivisione per editori all’interno del negozio. Noi non abbiamo alcun marchio editoriale di riferimento, non favoriamo nessuno né spingiamo in maniera particolare un editore in quanto tale. La nostra attenzione è sempre rivolta ai singoli libri. In questa prospettiva, che privilegia un commercio tematico e non di marca, il plus per il cliente è la selezione dei prodotti proposti dalla Fnac. Date queste premesse, non è stato facile trovare un gruppo che sposasse la nostra strategia. E evidente, ad esempio, che non avremmo potuto allearci con Mondadori o Rizzoli.
 
Non è che in passato la Fnac considerava il mercato italiano non ancora abbastanza maturo?
Assolutamente no. E stata solo una questione di partnership e di spazi, perché nelle città italiane è difficile trovare gli spazi di cui abbiamo bisogno, vale a dire spazi molto grandi e molto centrali.
 
In Francia, le librerie Fnac si propongono come delle grandi librerie generaliste, al cui interno coesistono tante librerie specializzate. La Fnac in Italia adotta lo stesso criterio?
Certo, è un criterio adottato in tutti i negozi Fnac. A Milano all’ingresso della libreria c’è un’area generalista da cui si accede ai diversi settori specifici della narrativa, delle scienze umane, dei libri per bambini, delle guide di viaggio ecc.
All’inizio, il nostro assortimento era molto generico e generalista, perché, non avendo dati pregressi, aspettavamo di vedere quali fossero le richieste dei clienti. In seguito, ci siamo resi conto che alcuni settori dovevano essere sviluppati, ad esempio quello dei fumetti o quello dei libri stranieri in lingua originale, inglesi soprattutto ma anche di altre lingue. Un settore che invece ha dato risultati più deludenti rispetto alle aspettative è quello dei libri di economia e gestione, e ciò è probabilmente dovuto alla collocazione della libreria e al tipo particolare di pubblico che per ora la frequenta. In ogni caso, cerchiamo sempre di presentare la più ampia offerta in tutti i settori, prestando particolare attenzione all’editoria di solito meno reperibile. Penso a quegli editori di fascia medio-piccola ad esempio Newton Compton o Minimum Fax che fanno fatica a essere presenti nelle librerie di dimensioni minori della nostra.
 
Come lavorano i vostri librai?
Servizio al cliente significa innanzitutto avere librai molto competenti, che conoscono bene i libri negli scaffali e sono capaci di orientare e informare chi entra in libreria, ma senza voler vendere a tutti i costi. In un mercato pieno di novità, questa competenza non è facile né scontata, richiede quindi uno sforzo di formazione significativo. I nostri librai sono propositivi senza essere assillanti, organizzano percorsi tematici e segnalano in ogni reparto i libri che più sono loro piaciuti, proponendo così autori particolarmente interessanti, indipendentemente dalle logiche editoriali.
 
Alcuni addetti ai lavori ritengono però che il libraio che consiglia il cliente è una figura ormai obsoleta. Il bravo libraio è colui che sa gestire bene la sua libreria. Lei cosa ne pensa?
Secondo me, i due aspetti possono e devono convivere. E vero che la gestione della libreria moderna implica soprattutto la gestione dello stock e degli acquisti. Ma è anche vero che, se un libraio giudica buono un libro e decide di tenerlo in stock, deve poi saperlo vendere. Il libraio deve sempre proporre il miglior catalogo possibile ai suoi clienti, ma poi gestire lo stock non basta, occorre valorizzarlo. E comunque non è vero che oggi i clienti non hanno più bisogno dei consigli del libraio. Certo, i soliti lettori forti sono quasi due milioni coloro che leggono più di dieci libri all’anno dispongono ormai di molti canali d’informazione all’esterno della libreria e quindi sono più informati di una volta. Il grande pubblico dei lettori occasionali ha però ancora molto bisogno dei librai, i quali naturalmente devono saper avanzare consigli appropriati. Il pubblico apprezza i consigli del libraio perché li sente più indipendenti dalle case editrici di quanto non lo siano le recensioni della stampa o i consigli della televisione. Proprio perché il libraio è percepito come una garanzia di qualità e indipendenza, i suoi consigli continuano ad assolvere una funzione essenziale per molti lettori. A questo proposito, abbiamo constatato che le richieste riguardano sempre meno le case editrici e sempre più spesso temi e autori. E per questo che come ho già detto nelle nostre librerie abbiamo abbandonato la ripartizione per case editrici. Quando si organizza una libreria con questo criterio si favoriscono esclusivamente i lettori forti, che sono i soli a conoscere le case editrici, a sapersi orientarsi tra le diverse sigle. Ma il 90% dei clienti non conosce gli editori, tranne naturalmente le solite quattro o cinque case editrici molto connotate o molto famose. Organizzando il negozio, il libraio deve soprattutto pensare a costoro.
 
Alcuni sostengono che di front e all’aumento costante di novità e agli invii d’ufficio degli editori, il libraio rischia di diventare una specie di edicolante passivo tutto preso dalla gestione dei pacchi e senza più il tempo di promuovere i libri. È davvero cosi?
In gran parte è vero. E spero che in futuro gli editori selezionino meglio la loro produzione, come per altro alcuni di loro stanno già facendo. Rispetto all’inizio degli anni Novanta, infatti, mi sembra che oggi ci sia maggiore selezione. Naturalmente, anche noi librai dobbiamo contribuire al rafforzamento di questa tendenza, resistendo di più alla pressione delle case editrici. Non è assolutamente detto che il libraio debba accettare passivamente ogni proposta dell’editore, anche perché, quando il lettore è scontento, protesta in libreria, non dall’editore. Il libraio deve sempre poter scegliere i titoli su cui puntare, di versificando l’offerta e diversificandosi nell’offerta, in funzione della sua clientela specifica.
 
Ma è possibile fare questo discorso con le grandi case editrici?
Con gli editori di maggior peso occorre trovare un compromesso, e naturalmente ciò sarebbe più facile se il mercato fosse più ampio e dinamico. In Francia, le librerie Fnac lo fanno, perché operano in un mercato che lo consente. In Italia, il libraio ha ancora bisogno di cavalcare la tigre: se un titolo va bene e se viene molto mediatizzato, egli non può certo ignorarlo. Tutti i librai vorrebbero operare scelte molto significative e culturalmente orientate, ma nella realtà poi debbono fare i conti col mercato. Ciò però non significa che si debbano accettare passivamente tutte le indicazioni degli editori, si può raggiungere un compromesso.
 
Fino a oggi però i rapporti di forza tra editori e librerie sono stati tutti a vantaggio dei primi, tanto è vero che i librai accusano gli editori di finanziarsi sulla libreria…
Effettivamente è stato spesso così, specie per le librerie piccole e medie. Diverso è il discorso per le grandi catene, che non credo si lascino imporre tanto facilmente le scelte degli editori. Senza dimenticare, inoltre, che in Italia le grandi catene di librerie appartengono spesso a un gruppo editoriale o a un editore, il che evidentemente rende la situazione un poco diversa.
 
Le vostre politiche nei confronti dei grandi e dei piccoli editori sono diverse?
Come ho detto prima, la Fnac non fa mai una politica nei confronti degli editori, ma solo nei confronti di titoli. Non valorizziamo mai una casa editrice in quanto tale ma solo i titoli in cui crediamo.
 
E sul piano commerciale?
Cerchiamo di ottenere da tutti gli editori le migliori condizioni sul mercato.
 
Può fare degli esempi?
Preferirei di no.
 
I vostri acquisti di libri sono e saranno centralizzati?
L’acquisto è centralizzato solo per prodotti di un certo tipo, giacché preferiamo che l’acquisto vero e proprio rimanga sempre nelle mani dei librai. Deve essere il responsabile della narrativa a scegliere l’assortimento del suo reparto; per noi infatti è importante che egli sia direttamente coinvolto nell’acquisto dei titoli che dovrà poi vendere. Solo alcuni libri con dati di venduto abbastanza regolari sono acquistati direttamente dall’ufficio centrale, proprio per evitare le rotture di stock. In pratica, cerchiamo di creare una sinergia tra i nostri librai e l’ufficio centrale acquisti. In questo modo, vogliamo beneficiare degli strumenti della grande distribuzione, senza però penalizzare l’iniziativa e la responsabilità dei singoli librai. Il libraio infatti è maggiormente motivato quando cerca di vendere un libro scelto da lui. È chiaro invece che per un libro calato dall’alto non dimostrerà la stessa motivazione.
 
Ma è vero che la Fnac può chiedere agli editori sconti e condizioni economiche particolari, impossibili da ottenere per le librerie più piccole?
È una domanda per il momento molto prematura, visto che in Italia, con solo due negozi, abbiamo poco da imporre agli editori. Non siamo quindi noi che chiediamo agli editori sovrasconti particolari. Per quanto riguarda la Francia, oltre alla legge Lang che limita gli sconti ai clienti al 5%, vige anche un accordo tra editori e librai che vieta le trattative sull’invio di novità. Le trattative alla fine riguardano solo lo stock e le modalità di lavorazione del catalogo, il quale peraltro è quello che finanziariamente pesa di più per l’editore. E chiaro quindi che le case editrici si avvantaggiano se riescono a farlo muovere in libreria. Da qui le trattative con i librai per incentivarli.
 
Qual è il rapporto novità/catalogo nelle vostre vendite?
Per il momento, le novità rappresentano all’incirca il 40% del nostro venduto, ma è una percentuale che probabilmente crescerà nei prossimi mesi, stabilizzandosi alla fine attorno al 50%. Tuttavia, noi vorremmo caratterizzarci come una libreria di catalogo, cercando quindi di lavorare molto i titoli in stock, anche se naturalmente non si riesce sempre a farli muovere tutti. Nell’assortimento di una libreria, infatti, figurano sempre alcuni libri che non si riesce a vendere, ma la cui presenza facilita la vendita di altri titoli. E così in tutte le griglie di assortimento.
 
Secondo alcuni esperti del settore sono le novità che fanno vendere il catalogo. E cosi anche per voi?
A questo proposito non abbiamo ancora dati precisi, ma è certo che il cliente entrato per comprare una novità può scoprire opere di catalogo che non aveva previsto di comprare. Ancora una volta è il lavoro del libraio a essere determinante. Una libreria non può mettere in evidenza solo le novità, deve fare sempre proposte di catalogo.
 
Secondo lei come potrebbero essere migliorati i rapporti tra editori e librerie?
Un problema da risolvere è quello del non sufficiente adeguamento dei nostri editori agli standard informatici utilizzati in tutto il mondo. Da questo punto di vista, il mercato italiano è ancora in ritardo, giacché il sistema di catalogazione esistente non viene sempre rispettato e risulta zeppo di errori. Un altro problema riguarda la scarsa capacità degli editori di comunicare le loro politiche editoriali, i libri in uscita, le date e i prezzi esatti. Tra il momento in cui noi prenotiamo i libri e la loro pubblicazione effettiva, quasi il 50% dei prezzi cambia, e talvolta in maniera significativa. Le politiche di acquisto dei librai rischiano di rivelarsi del tutto inadeguate, visto che un libro prenotato a 49.000 lire, ma poi messo in vendita a 69.000 lire, non avrà certo la stessa potenzialità di vendita. Questa incertezza sui prezzi rende molto difficili le previsioni e i programmi dei librai. Analoghe osservazioni si potrebbero fare per le politiche commerciali degli editori, che variano improvvisamente in base ai risultati di fatturato da loro conseguiti, oppure per i calendari di pubblicazione che vengono poco rispettati. Non è infrequente che un libraio, dopo aver puntato su alcuni titoli per fare fatturato in certi mesi dell’anno, scopra che questi non arriveranno in libreria perché la casa editrice ha deciso di rimandarne la pubblicazione. Insomma, tutto ciò denota una mancanza di rigore, che sicuramente non aiuta il lavoro dei librai ed è tipica di un mercato asfittico, dove si fronteggia sempre l’emergenza, senza mai riuscire a pianificare regole, scelte e strategie.
 
Per alcuni librai il problema delle rese è particolarmente grave, se non altro perché denota un grande spreco, visto che il 2025% delle copie di un libro viaggiano avanti e indietro dalle librerie per nulla…
Di nuovo, occorre parlare delle politiche di acquisto delle librerie, giacché i librai devono saper scegliere e selezionare i libri che tengono sui banconi. Va riconosciuto però che le analisi previsionali in libreria sono sempre molto problematiche, poiché, a differenza di altre merceologie, le previsioni si fanno sempre su prodotti nuovi, per i quali non c’è alcuna esperienza precedente. Si lavora senza garanzie e sicurezze.
Ma a maggior ragione il libraio deve imparare a comprare. Anche gli editori, peraltro, si sono ormai resi conto che non serve forzare i librai ad accettare controvoglia i loro libri. Oggi essi spingono meno e sfruttano meno alcuni marchingegni commerciali volti a forzare la mano al libraio, come ad esempio l’aumento del distribuito attraverso le copie gratuite, che però diventano tali solo nel caso che siano effettivamente vendute (perché altrimenti vengono riaddebitate nel conteggio delle rese). Questi sistemi potevano funzionare fino a quando si gestivano 10-12.000 novità all’anno. Oggi le novità sono più di 30.000, occorre quindi cambiare metodi. In effetti, alcuni editori, consci del problema, hanno iniziato a lavorare in questa direzione, calibrando le novità ed evitando di spingere inutilmente i librai all’acquisto. Non a caso le loro rese sono progressivamente calate.
 
Alcuni piccoli editori chiedono più spazio per i libri a rotazione lenta. Nella Fnac trovano un interlocutore attento?
Certo. Come ho già detto, noi ci rivolgiamo a tutti gli editori senza pregiudizi, ma in particolare ci siamo schierati dalla parte di quei piccoli editori che in Italia non hanno una libreria per vendere i loro libri. Noi li sosteniamo, cerchiamo di promuovere i loro titoli e proviamo a dare loro una possibilità. Naturalmente, se un libro proprio non si vende, non possiamo tenerlo a oltranza, giacché non possiamo accollarci noi le scelte sbagliate degli editori. Che poi non è detto si tratti sempre di scelte sbagliate. Talvolta sono solo scelte inadeguate al mercato in una data fase, giacché quegli stessi libri che non si vendono in un dato momento, qualche anno più tardi possono trovare un loro pubblico. Si pensi al caso di John Fante, che all’inizio degli anni Novanta era stato proposto da Leonardo senza successo, mentre qualche anno dopo, grazie alla Marcos y Marcos, riuscì a sfondare.
 
A chi dice che i libri non si possono vendere come saponette, lei cosa risponde?
Che non si può generalizzare, perché indubbiamente ci sono alcuni libri che si vendono come saponette, anche perché hanno la forza per essere venduti in questo modo. Sono i best seller o comunque libri che hanno raggiunto un tale successo che non hanno più bisogno dell’apporto specifico del libraio. E il caso in questo momento di Camilleri, i cui libri si vendono da soli. Per tutti gli altri titoli, invece, è ancora necessario per quanto possi bile un accompagnamento personalizzato del libraio. Si tratta evidentemente di libri che non si possono vendere come saponette.
 
Perché la Fnac fa tanta paura?
In realtà si è parlato molto di noi, prima ancora di vedere come effettivamente ci saremmo comportati, dimenticando oltretutto che i mercati sono diversi gli uni dagli altri e la situazione italiana è molto lontana da quella francese. Il nostro atteggiamento qui non ricalca in tutto quello francese, sebbene la filosofia di fondo sia la stessa. Ma ciò che soprattutto fa paura è proprio la novità di tale filosofia, specie in un mercato molto conservatore come il nostro. Per alcuni osservatori, infatti, il nostro concetto di libreria è una novità dirompente.
 
Ma le piccole librerie devono temervi?
Noi non minacciamo nessuno e non abbiamo alcuna volontà di affondare le piccole librerie. Da un punto di vista generale, la nostra presenza può essere anche benefica, perché, se si stimola il mercato, tutti i librai ne possono trarre profitto. In Portogallo, dopo il nostro arrivo, il mercato del libro è cresciuto del 7%, senza danneggiare i piccoli librai. Speriamo che sia così anche in Italia.