Un lustro in «Stile Libero»

È possibile contemperare tradizione letteraria e mondo dei media? La partita appare complicata. Eppure è da ormai cinque anni che la sta giocando «Stile Libero», la serie einaudiana curata da Cesari e Repetti. L’intento è quello di associare al libro il basso e il marginale: il cabaret, il fumetto, la cyberscrittura; di far convergere nell’editoria il cinema, la musica, le performance televisive, il genere noir. Elementi di chiarezza progettuale non mancano, e alcuni risultati di vendita sembrerebbero confortare i promotori. Davvero il problema è aggiornare la forma romanzo, fuggendo però l’appiattimento sui linguaggi postumanisti.
 
Torino, maggio 1996. Al Salone del Libro, «Stile Libero» presenta i primi titoli: Fuori tutti del trio Antonelli, Delogu e De Luca, un volume di fotografie e testi dedicati ai luoghi dell’adolescenza; l’antologia Battuti & Beati. I Beat raccontati dai Beat, ovvero Kerouac, Dylan, Ginsberg, Burroughs, Ferlinghetti; quindi un romanzo epistolare costituito di 6 megabyte di e-mail, Norman e Monique. La storia segreta di un amore nato nel cyberspazio) infine Vincenzo Cerami con il fortunato manuale Consigli a un giovane scrittore (sottotitolo: Narrativa, cinema, teatro, radio).
Cinque anni sono passati da allora. Disseminata tra i Tascabili Einaudi, la creatura di Severino Cesari e Paolo Repetti ha suscitato polemiche giornalistiche e qualche risentimento da parte dei letterati più tradizionalisti, ottenendo tuttavia lusinghieri successi di pubblico. Le cifre che ci vengono fornite dalla casa torinese fanno meditare: spiccano i comici nostrani, seguiti a distanza da cantautori, drammaturghi e da una nuova leva di romanzieri.
200.000 copie hanno ottenuto Benigni di E l’alluce fu e La smorfia di Arena, Decaro e Troisi. A 130.000 si è attestato lo psicologo Paolo Crepet con Non siamo capaci di ascoltarli. 100.000 copie hanno raggiunto De André, Guccini, Marco Paolini di Vajont. Ma sopra le centomila vi è anche il romanzo storico Q di Luther Blissett, mentre tra le 50.000 e le 80.000 si collocano i gialli e i noir di Carlo Lucarelli, tra le 35.000 e le 40.000 Niccolò Ammaniti di Io non ho paura; 30.000 Simona Vinci con Dei bambini non si sa niente. Queste le punte di venduto, su un totale di 150 titoli prodotti (tirature medie iniziali di 10.000 copie, massimo 30.000, poi ristampe).
Caratteristica saliente di un progetto installato nel cuore della nostra editoria libraria pare insomma la multimedialità strategica. Ben prima del 1996, su una tale linea si muovevano del resto le pagine culturali del «manifesto» curate da Cesari, con la collaborazione di futuri supporter di «Stile Libero» come Giulia D’Agnolo Vallan per le nuove tendenze del cinema americano, Emanuele Bevilacqua e Alberto Piccinini per la cultura mediatica e giovanile. Dalla romana Theoria, in qualità di direttore editoriale, proviene Repetti; e con lui una rete di consulenti trentenni dalle competenze assai composite: specialisti del mondo delle discoteche come Pierfrancesco Pacoda e Fabio De Luca (ex Dj di Radio 2); talent scout discografici come Carlo Antonelli; un fisico come Andrea Aparo, praticante di Internet della primissima ora, già manager Fiat; un incursore informatico, Giuseppe Salza. Quindi redattori come Claudio Ceciarelli e Paolo Collo; romanzieri affermati del calibro di Cerami e Marco Lodoli, o sul punto di affermarsi come Carlo Lucarelli.
Vale la pena di osservare che «Stile Libero» prende il via a pochi mesi di distanza dall’affrancamento di Baldini & Castoldi dal marchio einaudiano. E che è stata la Baldini, nei primi anni Novanta, a inaugurare la vogue editoriale dei comici televisivi, introducendo un primo elemento di trasversalità culturale, volto all’acquisizione di nuovi e differenti lettori al mondo del libro. Al cospetto della casa di Alessandro Dalai, «Stile Libero» compie tuttavia un passo ulteriore. La copertura dei linguaggi espressivi diventa sistematica. Si va dal fumetto (Andrea Pazienza, Magnus, Topolino noir, Mattotti e Piersanti di Stigmate), alla musica: oltre a De André e Guccini, Ivano Fossati, Lennon, le compilazioni Beat & Be bop e Hip hop italiano, ma anche Musica Coelestis del giovane compositore e direttore d’orchestra Carlo Boccadoro. Da personaggi del piccolo schermo come Siusi Blady e Patrizio Roversi, a colossi della cinematografia internazionale come Wim Wenders di Buena Vista Social Club e Pedro Almodóvar di Tutto su mia madre. E mentre si fa strada la narrativa del cosiddetto cyberspazio: Brolli di Cuori elettrici (Sterling, Gibson, Rucker); dall’altro lato, alla luce di un principio di convergenza tra i media, evidente è il desiderio di revitalizzare linguaggi istituzionali come quello teatrale, con la sua esposizione diretta di corpi e voci. Vuoi attingendo alle risorse Einaudi: Dario Fo e Eduardo De Filippo; vuoi puntando su nomi come Roberto De Simone o su emergenti quali Paolini e Moni Ovadia.
Una doppia scommessa è quella tentata da «Stile Libero», e come tutte le scommesse doppie, non va esente da critiche ambivalenti. Per un verso il rilancio di un concetto di letterarietà indiscussa, magari coltivata nelle scuole di creative writings sparse per la penisola (oltre a Cerami, Carver di Il mestiere di scrivere, Vargas Llosa di Lettere a un aspirante romanziere), e ancora con narratori di buona stoffa come Tobias Wolff di Proprio quella notte, le lettere di Flannery O’Connor Sola a presidiare la fortezza, l’israeliano Englander, esordiente con Per alleviare insopportabili impulsi. Per altro verso, l’inserimento del libro entro nuovi orizzonti espressivi e ricettivi. La videocassetta, il cd che sempre più frequentemente Cesari e Repetti vengono associando ai loro titoli documentano di un pubblico che se non è post-gutenberghiano, si destreggia comunque lungo una pluralità di percorsi culturali, e senza gerarchie precostituite o problemi di minorità rispetto alle abitudini dei padri. Il caso della Smorfia è in questo senso interessante. Non si tratta di una mera riproposizione di filmati dal circuito televisivo al canale editoriale: i canovacci su cui si basavano i comici napoletani hanno assunto ora compiutezza testuale, le gags frammentate e disperse da una lunga pratica mediatica sono state ricomposte avendo di mira un concetto di Opera (inevitabilmente costituita ex-novo) e la sua stabilizzazione duratura. Lo si voglia o no, un criterio umanistico guida talune di queste proposte. Perché, beninteso, non è che manchino in «Stile Libero» concessioni alla stagione televisiva. Di Albertino e del suo Lenissimo! si sarebbe potuto fare a meno, così come della scipitissima Agenda di Mr. Bean. Tuttavia esplicita è la voglia di fare catalogo, promuovendo titoli dotati di valore aggiunto, che cercano di prescindere da un dato di occasionalità spettacolare. Siamo nella riproducibilità tecnica più piena come vorrebbe Benjamin -, ma applicata a zone culturali in precedenza escluse dalla valutazione artistica.
Se è questo il significato fondamentale dell’iniziativa, va anche messo in conto un forte elemento giovanilistico, che si esprime in una letterarietà di genere, rigidamente orientata. «Stile Libero» è la serie editoriale che più ha dato evidenza in questi anni a un modernismo nostrano, non creandolo, ma certo conferendogli uno spessore istituzionale. Qualunque sia l’opinione prevalente, i così chiamati pulp non sono frutto di sconsiderate campagne giornalistiche o delle spinte assidue degli uffici stampa. Venivano dal basso, dai margini della scrittura nazionale; e di sicuro un’antologia come Gioventù cannibale, sempre a cura di Brolli, ha contribuito a dargli stabilità nel sistema. Nel bene e nel male, «Stile Libero» è ancora profondamente segnata da quella stagione. Larga parte delle proposte di narrativa italiana lo testimoniano: da Ammaniti di Branchie a Simona Vinci, da Nove di Superwoobinda e Puerto Piata Market a Elena Stancanelli di Benzina, a De Cataldo di Peneri assassini. L’oralità, l’asintattismo, la sessualità esplicita, il montaggio incalzante che promanano da tante di queste opere caratterizzano anche proposte di diverso tenore: Q dei blissettiani, con l’intento di costruire un romanzo storico tutto in soggettiva, e gli svariati titoli (finora poco convincenti) di un prosatore comico come Paolo Nori: Bassotuba non c è, Spinoza, Diavoli.
Cesari e Repetti si sforzano di introdurre nella tradizione colta, per tanti versi sfiatata o tarda, il basso e il marginale: il cabaret, il fumetto, il noir, e quest’ultimo addirittura in posizione egemone. Ciò che in Italia abbiamo chiamato pulp infatuati da Tarantino più che dalle fanzines d’oltreoceano si può tradurre benissimo noir. Non a caso, «Noir» è la sottoserie inaugurata da Luigi Bernardi e Lucarelli, che annovera titoli come Bad Boy di Jim Thompson, Cercando Sam di Patrick Raynal, Acidi accidentali di Nicholas Blincoe, Appuntamenti in nero di Woolrich. Anche qui una constatazione è d’obbligo. Non si può non vedere quanto l’emergere del noir nei piani alti del sistema letterario debba all’universo televisivo e dei giornali. Anni di cronaca nera la più efferata, sparata in prima evidenza dopo sprazzi di papismo e miracolismi da Medioevo, hanno alimentato una sensibilità ansiosa, disposta a smemorarsi in una lettura che fa della violenza, del cinismo, del sadismo l’unica possibile catarsi. Sta in ciò l’ambiguità culturale e letteraria del fenomeno. Il noir sembra garantire un principio di contemporaneità, più che mai necessario a un costume romanzesco come quello italiano, che, se si escludono smammolamene esistenziali e metanarrativi, non sa riconoscersi se non sul tronco primo-romantico del romanzo storico. Ma d’altra parte questa contemporaneità è abitata da molti fantasmi (da esorcizzare) e da poche donne e uomini a tutto tondo con cui entrare in rapporto eticamente proficuo: sembra esaurirsi in una discesa nel disordine e nell’istintualità selvaggia. E fatta insomma per provocare, sostituisce la suspense con lo choc. Mira al cortocircuito tra civiltà visiva e tradizione del romanzo, mettendo in causa un gusto piccolo e medio borghese benpensante, che resta tuttavia il vero motore di successi editoriali estesissimi, da Eco alla Tamaro a Camilleri.
Il problema è davvero mediatizzare il romanzo: o meglio assecondare questo processo senza appiattirsi sui linguaggi postumanisti, altrimenti la partita risulta persa in partenza. Se sfidata sul suo stesso terreno, la civiltà musicale o cinematografico-televisiva avrà sempre una presa maggiore di quella esercitata dalla parola scritta. Non di meno, chi non vede di buon occhio il ridursi della narrativa letteraria in un porto di quiete, zona separata che risarcisce dai clangori della strada, non può non raccogliere la sfida dei media vecchi e nuovi. Su questo gli ideatori di «Stile Libero» sembrano avere idee molto chiare. Il rapporto che intrattengono con la casa madre è stretto: partecipano alle discussioni del comitato editoriale e ad esso rendono conto. Ne sortisce un’area di contatto, o di mutua consulenza, a cui la casa di via Biancamano a sua volta non resta insensibile. Basti pensare a un’operazione spregiudicata come Nelle Galassie oggi come oggi di Montanari, Nove e Scarpa: raccolta di testi suscitati da brani musicali celebri (di Lou Reed, Kraftwerk, Police, Bowie, Cure, Talking Heads), inserita nella collana bianca di «Poesia», a gomito con Tessa e Valéry, Saffo e Rilke.
D’altronde questo è il punto che più ha destato scalpore: «Stile Libero» è una serie fondamentalmente da libreria, non da edicola; la grande distribuzione, Mac II, trasceglie volta a volta titoli da portare nei supermarket, come fa con tutti gli editori di questo paese, ma non ne adotta la produzione nel suo insieme. Si possono trovare ombre e luci nelle proposte di «Stile Libero». Non serve nascondere però la progettualità meditata che la sorregge: che è quella di rilanciare l’editoria, nei suoi costituenti umanistici e letterari, al di là di una barriera generazionale che rischia di essere funesta. Come a dire al nuovo o potenziale lettore: guarda, la cultura in cui vivi è al crocevia di molti linguaggi; noi ti offriamo la possibilità di renderne duratura una parte grazie all’ausilio della vecchia tradizione umanista, che così in qualche modo sopravvive nel cuore di una civiltà che costantemente tende a trascenderla. Ecco. Difficile dire quanto ci sia di aggressivo e quanto di difensivo in una tale proposta. Non va mai valutato «Stile Libero» come iniziativa a sé, ma come parte di Einaudi. Sarà da vedere, tra dieci, vent’anni, quanti e quali di questi titoli si confonderanno stabilmente nel vasto e glorioso catalogo dello «Struzzo». Certo è una biblioteca diversa, quella presupposta da Cesari e Repetti. Non è posizionata accanto al camino, né si affaccia su un tinello dotato di pianoforte a mezza coda; sta sopra un apparecchio TV con videoregistratore o lettore DVD; chi ne usufruisce tiene a portata di mano un apparecchio hi-fi e un computer connesso in rete. Ma è in fondo la situazione di ciascuno di noi, non solo dei nostri figli e nipoti (quando leggono): meglio riconoscerlo, vagliare sempre caso per caso, e guardare avanti.