Torino, dalla Fiera al Salone

Diverso da tutti gli altri appuntamenti il Salone del libro di Torino rimane unico: un evento che deve la sua forza alla città che lo ospita, al radicamento in un bacino d’utenza proveniente da tre regioni – Piemonte, Lombardia, Liguria – che hanno una forte motivazione nella ricerca di iniziative che promuovano quanto ruota attorno al libro, e a un consolidato successo di pubblico. Trasformatosi da Salone-Salotto in «Fondazione per il libro, la musica e le attività culturali» tende oggi a fornire un pubblico servizio e a programmare una serie di attività aperte tutto l’anno e volte a incentivare la lettura tra i giovani.
 
Uno spettro si aggira per il mondo dell’editoria. E annuncia da anni la fine del Salone del libro di Torino. Il fantasma svanisce ogni volta in un’alba di maggio, quando, puntuali, riaprono le porte del Lingotto, l’ex fabbrica Fiat di via Nizza che da più di dieci anni (quest’anno il Salone ne compie 15) ospita la manifestazione più importante dedicata al libro e alla lettura in Italia. Ne hanno invocato il cambiamento, la trasformazione, lo spostamento in un’altra città. Tuttavia, amato e odiato, il Salone del Libro, ribattezzato Fiera per questione di copyright (il logo Salone del Libro è tuttora del patron Guido Accornero, ideatore dell’evento), ha sempre e comunque in questi anni passato l’esame del pubblico e delle vendite superando le fosche previsioni di débâcle e le laceranti polemiche di una fiera mercato nazionale zeppa di convegni ma troppo generalista, dove non ci sono sconti e dove tutto costa: il biglietto, il parcheggio…
Diverso da Bologna (la Fiera del libro per ragazzi ha un taglio prettamente internazionale, di scambio di diritti tra gli editori); dai saloncini nati da tante sue costole (Beigioioso con tascabili e piccola editoria, Galassia Gutenberg mai definitivamente decollata al Sud); differente soprattutto dall’altra manifestazione fenomeno nata in questi anni, il Festivalletteratura di Mantova che ha sostituito nel cuore di molti addetti ai lavori il gusto dei primi Saloni, l’appuntamento di Torino, ingigantito ma anche depotenziato nella sua forza mediatica, resta comunque unico. Un evento che deve la sua forza proprio alla città che lo ospita, al radicamento in un territorio che accoglie un bacino d’utenza proveniente da tre regioni Lombardia, Piemonte, Liguria indicate nelle statistiche come quelle con un pubblico di alta vocazione e forte motivazione nella ricerca di iniziative che promuovano tutto quanto ruota intorno al libro. Un successo di pubblico superiore persino a quello della Fiera simbolo della città: il Salone dell’auto. E che deve fa riflettere soprattutto chi in questi anni di crisi editoriale, anche con buone ragioni, ne ha invocato il trasferimento in altra sede.
Dopo le peripezie dell’ultima gestione Accornero, il Salone si è trasformato in «Fondazione per il libro, la musica e le attività culturali», organismo che vede come soci la Regione, la Provincia, il Comune e alla cui presidenza si alternano, ogni anno, il presidente della Regione, della Provincia e il sindaco della città, il cui incarico parte da gennaio 2002 (mentre si parla anche di nuovi soci tra cui l’AIE, Associazione Italiana Editori). Una svolta editoriale oltre che societaria quella del Salone che inizia, nel 1997-1998, con il passaggio di testimone da Beniamino Placido a Bea Marin, chiamata a dare forza alla virata della manifestazione dopo anni di Saloni-Spettacolo, e portata a compimento da Ernesto Ferrerò, direttore a partire dal 1999. Fino ad allora il Salone aveva avuto un’escalation nazionalpopolare, con convegni che avevano come protagonisti personaggi il più delle volte extra-letterari (comici, politici) ma capaci di richiamare un pubblico di non-lettori abituali alla ricerca sui banchi dei libri anche della maglietta di Che Guevara o dell’ultima tendenza new age (tutti fenomeni registrati puntualmente dalle cronache degli inviati, importantissimi amplificatori di un evento culturale che non ha avuto paragoni come copertura sui giornali in questi anni).
Nel 1998 i primi segni della sua metamorfosi. Da Salone-Salotto, evento multimediale televisivo con megaconvegni sui megatemi con ospiti del mondo dello spettacolo che calamitavano l’attenzione delle folle stipate nell’auditorium, a Fiera che ritornava nell’argine della centralità del libro. Una priorità realizzabile ancora oggi, per Ernesto Ferrerò, solo mantenendo nello stesso tempo la centralità di Torino, scartando quindi definitivamente l’ipotesi di un Salone itinerante oppure di un trasferimento a Milano, dove, se mai nascerà, potrebbe svolgersi invece un evento legato al mercato multimediale. «Sarebbe come voler spostare la Buchmesse da Francoforte a Monaco», dice il direttore. «Che senso ha? La Fiera non può essere spostata e non può diventare itinerante, non basta il nostro know how, anche se noi siamo pronti a collaborare con chiunque voglia aprirsi a nuove iniziative di questo tipo. Per poter sviluppare un Salone altrove c’è bisogno di un’organizzazione permanente sul campo». (Ricordiamo il budget fisso dichiarato dall’organizzazione del Salone per impiantare tutta la struttura: il costo è di circa 5 miliardi di lire, spese a cui è ovviamente impossibile far fronte con il prezzo del biglietto mentre fondamentale resta il contributo di fondazioni bancarie come la Crt e la Banca San Paolo.)
Il nuovo corso si è comunque sviluppato a partire dalla continuità con la gestione Accornero che, pur avendo cavalcato il trend Salone-Salotto, ha sempre incentivato l’idea di una Fiera under 16.
«Penso alla creazione di libri che galleggiano, che non si strappano, non scoloriscono, che vadano bene per i giovanissimi» dichiarava nel 1998, ultimo anno lustrini e paillettes con l’esercito di vip a rendere glamour convegni come quello di «Liberal» (con Claudio Baglioni). Un’idea, quella della Fiera delle scuole e degli insegnanti che è oggi il modello di una struttura incalzata e rimpiazzata sul piano dell’offerta di incontro con gli autori dall’exploit del Festival di Mantova, che ha intercettato un’esigenza mai soddisfatta sotto il tetto del Lingotto. Fiera del Libro che deve fornire oggi essenzialmente un pubblico servizio, diventare un polo di ricezione e di programmazione di una serie di iniziative per incentivare la lettura tra i giovani, a partire da una sempre più forte collaborazione con le istituzioni e con il Ministero della Pubblica Istruzione. Ecco quindi la motivazione dell’apertura tutto l’anno, non lavorando solo nei cinque giorni di maggio ma continuando a progettare con i vari Enti, le Regioni, le Province, i Comuni, le scuole con progetti come «Novecento e cento», «La biblioteca del paesaggio», i cui risultati vengono poi presentati al Salone. Lo snodo, per la nuova direzione editoriale, è stato quello di cercare di lavorare non solo sulla scuola ma sulla prescuola, appoggiando iniziative strategiche come «Nati per leggere», che coinvolge l’Associazione Italiana Biblioteche e si propone di promuovere la lettura presso i bambini con l’insegnamento e l’ascolto della lettura ad alta voce.
Questa è una Fiera troppo seria, secondo qualche critico, che avrebbe portato nei giorni della sua apertura come mostra mercato a un allontanamento del pubblico, che ormai affolla gli stand in massa solo durante il week end (negli altri giorni la parte del leone la fanno le tantissime scolaresche e gli insegnanti impegnati nei laboratori allestiti nei vari spazi dedicati ai ragazzi e ai bambini). La realtà, tuttavia, è che la crisi dell’editoria di questi anni non si è mai riflessa in modo vistoso sul Salone del Libro, anche se, dopo il record del 1998, con il superamento dei 200.000 visitatori, le stime ufficiali si sono assestate sulle 190.000 presenze accertate e documentabili. Infatti, nonostante le lamentele per l’eccessivo costo degli spazi da parte degli espositori con meno risorse, il volume di vendita dei libri, registrato da tutti gli editori, è sempre stato in costante aumento. Con un incremento del 20% anche nel 2001, nonostante la mancanza del colosso Mondadori, presente solo con uno stand di vendita di libri in rete.
Nella formula attuale, il Salone ha almeno due anime: quella professionale, che lo vede come momento centrale di incontro, informazione, aggiornamento, dibattito per tutte le categorie che ruotano intorno al libro, lavorando con gli agenti letterari dopo l’apertura al paese straniero ospite. E quella da grande supermercato, la «più grande libreria d’Italia», dove il lettore comune viene volentieri, riuscendo a vedere, in uno spazio di 45.000 m2, tutta una parte di produzione che non entrerebbe mai in una libreria italiana, che misura in media 90 m2. Non è un caso che continuino a essere i piccoli editori e le regioni i più affezionati protagonisti di una manifestazione che almeno virtualmente non si ferma mai, anche sul piano delle vendite. Proprio per allargare quest’offerta tutto l’anno, la segreteria organizzativa ha aperto un sito che offre agli editori aderenti al Salone del libro una libreria virtuale dove si possono vendere e commercializzare libri 365 giorni su 365. Due anime che crescono parallele al corollario di manifestazioni e di incontri che continuano comunque a interessare almeno un visitatore su tre: un pubblico, a quanto pare, più selettivo rispetto al passato (l’anno scorso per Mario Luzi sono arrivate più di 300 persone). In tutto circa 260 eventi, tra quelli organizzati dalle case editrici e quelli che invece ruotano attorno a un tema specifico, che continuano a essere concentrati nei cinque giorni di maggio (nel 2002 il tema doveva essere il tempo, visto in tutte le sue implicazioni, scientifiche, filosofiche, sociologiche, politiche, mentre invece, dopo gli atti di terrorismo in America, riguarderà il concetto di scontro-incontro tra le varie culture).
Punta in alto, la Fiera. Accusata per anni di provincialismo, sta cercando di ottenere a livello ministeriale il riconoscimento della qualifica di internazionalità. Nuove strategie di assestamento «le peripezie sono finite», dice rassicurante Ferrerò che sembrano sempre più tese ad affrancarla da una dipendenza diretta dall’editoria nazionale, cercando strade che non rendano pericolose per la riuscita della manifestazione defezioni anche importanti. Rinunce che hanno avuto sui quotidiani un’eco negativa e possono alla lunga avere ripercussioni per l’immagine del Salone come Grande e Completa Libreria Supermarket, che comunque continua ancora a essere quella che attira i visitatori paganti.