Le riviste: il paradosso di chi scrive senza leggere

Tre i livelli tematici dei periodici di poesia: testate che si occupano “accademicamente” di critica e di poeti ormai canonizzati, riviste che ospitano le nuove leve e periodici consacrati agli esordienti tout court; senza poi dimenticare l’esplosione di siti su Internet.
Fa eccezione «Poesia» edita da Crocetti e ormai giunta al quattordicesimo anno di vita: unica rivista realmente attestata presso il pubblico non specialistico, divulgativa, capace di offrire una visuale panoramica sui modi dell’espressione poetica contemporanea.
 
Circoscrivere l’area delle riviste di poesia tra i periodici di «letteratura», «arti» o «cultura» è di per sé un’impresa. E affidarsi a un criterio meramente quantitativo, considerando cioè solo quelle che dedicano il maggior numero delle loro pagine ai testi poetici o alla loro analisi, significa comunque affrontare una seconda questione: il numero di testate elencatali è enorme. Il criterio più produttivo per sbozzare un quadro sembra perciò quello di raggrupparle secondo i diversi atteggiamenti che assumono nei confronti del tema, prendendo a rapido esempio le riviste più significative.
La quantità di testate esistenti, però, introduce un paradosso da non ignorare. Basta improvvisare un calcolo anche rozzo per rendersi conto che, moltiplicando un numero stimato di circa 400 riviste di poesia per un venduto medio forse di 200 copie, otteniamo un pubblico di ben 80.000 lettori. Eppure, ci si lamenta che in Italia si legge poco, e che la poesia non venda è un refrain ormai stucchevole. In realtà, guardando la questione dal punto di vista dei libri, bisogna considerare il numero limitato di collane (e di titoli annui per collana) di poesia e ricordare che un best seller, in questo settore, supera ben difficilmente le 2.000 copie (esclusi gli eccentrici «Miti poesia» di Mondadori, ovviamente): una stima a occhio ci porta perciò a un venduto annuale di libri di poesia intorno alle 30.000 unità. Cifre molto approssimative, chiaro, ma che se anche fossero sovra o sotto stimate rendono conto di una sproporzione evidente.
Dunque, cosa accade? Una spiegazione sembra venire proprio dalla promessa divisione in gruppi delle riviste. A fronte, infatti, di una ventina di periodici confezionati da operatori noti (docenti e ricercatori universitari, poeti stessi, curatori d’antologie, critici), la gran parte delle riviste è realizzata da appassionati o piccoli circoli culturali e dedicata agli esordienti. Risultato? Quel pubblico di 80.000 consumatori di poesia coincide in buona misura con gli aspiranti autori, che comprano le «loro» riviste per riconoscersi in una koiné culturale, per seguire il percorso di ambizioni e sogni personali o, più semplicemente, per verificare se sono stati pubblicati, e ne incoraggiano l’acquisto presso conoscenti, familiari, amici che possano ammirarne la «canonizzazione» in poeti, in qualche modo, laureati. In altre parole, si tratta di un pubblico misto di lettori non abituali di poesia e di aspiranti poeti che si autocomprano e si autoleggono e non acquistano (né, presumibilmente, leggono, al di là delle antologizzazioni scolastiche) i libri di poesia. Una forma di autoctonia culturale, insomma, che non ha giudiziose ricadute sui circuiti ufficiali dell’editoria e che dà ragione a uno degli stereotipi più diffusi delle lettere italiane, da sempre misurato dalle redazioni delle case editrici: ci sono più persone con un manoscritto inedito nel cassetto che lettori. Ma veniamo più da vicino all’analisi delle riviste. Di diversa periodicità, che varia dal mensile (molto raro, almeno per lo sforzo economico e organizzativo-redazionale che implica) al semestrale, propongono una differente composizione di saggistica, recensione di libri e pubblicazione di testi; questi ultimi, a loro volta, sono assemblati in percentuali diverse tra antologizzazioni e inediti di poeti «già pubblicati» e inediti di aspiranti autori. E se questo diverso missaggio di materiali potrebbe a ragione costituirsi come criterio di divisione in gruppi delle riviste, sembra comunque preferibile un taglio differente, che però andrà spesso a braccetto con questo. L’idea è che esistano almeno tre livelli «tematici» dei periodici di poesia: in primo luogo, le testate che si occupano «accademicamente» di critica, che trattano di poeti ormai canonizzati e raccolgono gli interventi di una cerchia di critici riconosciuti e scrittori; in secondo luogo, le riviste che, pur in qualche modo apparentate nell’approccio alle precedenti, si occupano delle nuove leve (sempre, comunque, autori pubblicati, o in via di pubblicazione, o con una voce abbastanza definita da poter essere riconosciuti come pubblicabili); in terzo luogo, i periodici consacrati agli esordienti tout court\ infine, contiguo a questa fascia, il fenomeno Internet, sempre più dirompente, che ha decisamente cambiato le carte in tavola quando si tratta di aspiranti autori. Muovendoci dall’inizio alla fine di questa sistematizzazione, muta in genere la proporzione d’assemblaggio dei diversi materiali. Semplificando: gli interventi critici decrescono dal massimo al minimo e la presenza di testi di autori esordienti cresce dal tasso minimo fino a riempire l’intera rivista. I testi di autori noti e le recensioni di libri, invece, fluttuano, pur restando di massima più numerosi nelle prime due categorie e meno, se non assenti del tutto, nell’ultima.
In tutto ciò, un discorso a parte merita «Poesia», edita da Crocetti. Mensile, giunta ormai al quattordicesimo anno di vita, distribuita in edicola, vanta una tiratura di 20.000 copie: una continuità e una visibilità che la rendono pressoché l’unica rivista di poesia realmente attestata presso il pubblico non specialistico. Il segreto della sua sfida e del suo successo stanno nell’atteggiamento che essa assume nei confronti della materia. Divulgativa, scritta in un linguaggio semplice o quantomeno non da «iniziati», senza però rinunciare a utilizzare strumenti critici elaborati, offre una visuale panoramica sui modi dell’espressione poetica contemporanea. La copertina è dedicata a un autore quasi sempre vivente e quasi sempre straniero, ormai canonizzato nel suo Paese ma spesso poco noto da noi, presentato all’interno della rivista da un saggio che inquadra il lavoro di una vita, seguito da una nutrita antologizzazione di versi. E proprio qui sta uno dei meriti della testata: nel sapiente dosaggio dei due tipi di materiali, in maniera che nessuno dei due prevarichi l’altro, ma si completino a vicenda. La modalità di presentazione-antologizzazione si ripete poi all’interno di ciascun numero per i poeti italiani che abbiano appena pubblicato o siano in procinto di pubblicare una raccolta di versi, fino a spingersi alle ultime generazioni, che trovano spazio in diversi modi nella struttura del mensile. Solo per essi il peso della parte antologica diventa preponderante. Con il contorno di autori storici italiani e stranieri, oltre alle rubriche che segnalano nuovi libri teorici o poetici, ciascun numero assume profondità prospettica; messi in serie, un fascicolo dopo l’altro, sfiorano invece lo spirito di un’enciclopedia.
Diverso il discorso per quelle che abbiamo chiamato riviste «accademiche». Qui, le pagine sono occupate da testi di riflessione critica e l’antologizzazione è pressoché nulla: stralci di poesia vengono inseriti, spesso, soltanto nel corpo del discorso. Autori e redattori hanno radici accademiche o curriculum critici di tutto rispetto e, se non bastasse, altri nomi dello stesso spessore appaiono nel colophon come «comitato di redazione» o «di consulenza», a garanzia della serietà della testata. I saggi utilizzano un linguaggio specialistico non mediato e riportano in coda un ricco apparato di note e bibliografia. In questo settore, si possono citare «Testuale» (semestrale, Anterem edizioni), particolarmente attento alla poesia degli ultimi trent’anni anche se non tralascia, almeno a titolo di sfondo, di andare più indietro. Gli interventi, che si succedono senza soluzione di continuità, sono in genere rivolti ad approfondire singoli problemi di poeticità. Qualche esempio di saggio? Fuori luogo. Radice ed erranza in Milo De Angelis, Giampiero Neri, Ida Travi, o II senso delle figure in «Latitudine» di Guido Oldani. Più articolata al suo interno appare invece «Semicerchio» (semestrale, Le lettere), che si propone come «Rivista di poesia comparata». Qui, oltre allo spazio per interventi critici mirati, si ritagliano una piccola visibilità anche alcuni testi e, soprattutto, è prevista una vasta sezione di «Recensioni». In essa, oltre ai volumi di poesia, si dà spazio a un ampio e utile regesto di riviste italiane e straniere, indicando di cosa trattano nell’ultimo numero disponibile. La sezione riservata ai testi cresce ancor più, infine, all’interno di «La clessidra» (semestrale, Joker), tanto da collocarli in apertura di rivista, privi di qualsiasi mediazione critica, seguiti dalle immancabili sezioni di interventi e recensioni.
Seguendo il filo della scansione in gruppi, meno netta di quanto forzatamente lasci credere la schematizzazione, arriviamo alle riviste che scelgono di puntare più decisamente verso la generazione più giovane assumendo, di solito, un tono critico meno paludato, pur restando in una mise stilistica che permetta di riconoscere i suoi autori come saggisti «affidabili». Prima fra tutte va ricordata «Atelier» (trimestrale, Edizioni Atelier), che già dal nome si propone come laboratorio per cercare nuove vie poetiche perché, secondo gli intenti e con Fortini, «chi non sceglie una tradizione si limita a seguirla». Al suo interno non manca perciò mai una sezione dedicata a un poeta cruciale del nostro Novecento, sia esso Quasimodo, Jahier, Bertolucci o Gatto, affiancata da un’altra sezione di «Saggi» che meno distesamente affronta altri autori del nostro canone. Tutto ciò costituisce la necessaria quinta per presentare le «Voci» nuove, di cui si danno stralci di raccolte poetiche introdotte da una breve scheda critica. Per finire, in «Letture» troviamo le recensioni dei nuovi libri di poesia. In fatto di stile, la rivista sceglie un linguaggio ancora di chiara derivazione accademica, anche se dà spazio a un periodare più aperto e, almeno lessicalmente, prova a scendere verso il non-specialistico. Cosa che riesce ancor meglio, nei brevi spazi dedicati al suo interno alla critica, a «ClanDestino» (trimestrale, La nuova agape). Discorso simile vale per due testate che danno ospitalità anche alla narrativa: «Galleria» (quadrimestrale, Salvatore Sciascia editore) e «Idra» (semestrale, Marcos y Marcos) che scelgono di ridurre al minimo la parte di recensione-saggistica.
Chiudendo la traiettoria si giunge quindi alle riviste che si occupano di esordienti tout court. Il settore, amplissimo, presenta diverse tendenze: c’è chi pratica stratagemmi come quello di affiancare poeti canonizzati a perfetti sconosciuti, contrabbandandoli come affini, chi introduce le poesie degli esordienti con un roboante soffietto critico che ammicca alla saggistica «alta», chi, infine, pubblica unicamente i testi, senza interventi di contorno. Anche gli intenti coprono ogni sfumatura, dai genuini tentativi di proporsi come luogo franco contro l’immobilità del mercato, siano essi ingenui o sostenuti da una certa capacità di discriminare il meglio di un fare poetico spesso non rifinito, alle più ciniche operazioni costruite sulle spalle di chi sogna di sentirsi autore. In questo settore, non vale snocciolare troppi nomi: visto il panorama, qualsiasi esemplificazione sembrerebbe ingiusta o, in altri casi, derisoria. L’unica eccezione va fatta per «Ellin Selae» (bimestrale, Ellin Selae), che si distingue senz’altro per la lunga militanza (è nata nel 1991), la vivacità e l’enorme sforzo di visibilità. Al suo interno, oltre ai testi poetici, trova spazio anche la narrativa. In entrambi i casi, il materiale pubblicato sembra genuinamente indicativo del livello medio degli aspiranti autori: a punte anche apprezzabili, pur se spesso segnate da una chiara necessità di ripensamento e rielaborazione, corrispondono pesanti cadute. La cosa si fa anche più evidente nel settore della poesia, dove la carenza di cognizioni basilari di metrica o ritmo, fondamentali anche quando si sceglie il verso libero, dà a volte vita a liriche imbarazzanti. «Ellin Selae», che opera comunque una coscienziosa selezione del materiale, ha peraltro, il merito di riservare una rubrica, «Il vaso di Pandora», a giudizi e critiche sul materiale ricevuto, pubblicato e non, espressi da «lettori volontari» (la testata diventa perciò anche laboratorio di scrittura critica, oltre che creativa). Ancor più efficace la sezione «Erato vs. Calliope» dove il dialogo tra l’unica voce critica e gli aspiranti poeti diventa più serrato. E se qui il giudizio è sempre articolato con intelligenza, spesso è anche duro, senza mezzi termini, pur non cedendo mai all’esercizio compiaciuto della stroncatura, in modo da porsi come termine di raffronto per una crescita. Ciò che colpisce è che, spesso, la cosa non è affatto ben accetta. E il risentimento dei recensiti per l’offesa recata alla loro opera incompresa diventa un secondo utile paradigma per capire il popolo degli esordienti. Non per niente, la voglia di apparire che li anima è proprio il punto su cui fanno leva altre riviste, fino a giungere a pubblicare, accanto al testo, la foto del poeta.
Non diversa la situazione di Internet, con l’aggravante che lo strumento si presta alla deriva acritica più assoluta. Oltre alla proliferazione, già sin dagli inizi, di «pagine personali» per presentare la propria opera, si stanno diffondendo a macchia d’olio i siti che raccolgono opere d’esordienti: una crescita che negli ultimi mesi è diventata esponenziale e che meriterebbe un’analisi a parte, da compiersi però quando il quadro si sarà stabilizzato. Per intanto, qui, basti rilevare che la corsa è a raccogliere il numero più alto possibile di scritti, senza effettuare una benché minima sfrondatura critica, neanche quando lo si vuol lasciar credere. Ciononostante, e paradossalmente, molti siti si propongono come «canale» tra lo sconosciuto di talento e una editoria che non è più in grado di selezionare le nuove voci. Tra gli altri, per rendersi conto dello stato dell’arte, si vedano «Il club dei poeti» (www.clubpoeti.it), «Bibliotopo» (http://members.xoom.it/bibliotopo) o «La vetrina» (o «Il rifugio», il nome non è costante) dei poeti (http://rifugio.freeweb.supereva.it/schede/vetrina.htm?), ma si ritrova anche ad altri indirizzi-specchio), che raccoglie schede di autori rimandando, per le opere, alle loro pagine personali.
Una semplice campionatura dei testi che si moltiplicano su Internet e sulle riviste cartacee per esordienti, mostrando come si comporti la base nel fare poesia oggi, basta a chiudere il cerchio del ragionamento. In essi, infatti, prevale una visione del poetare come sfogo intimistico: i versi sono il miglior veicolo per restituire ansie, preoccupazioni o dolori del proprio animo. E riescono a farlo grazie alla scelta, nelle forme, di un ungarettismo d’accatto, pretesto insensato e acritico per un andare a capo capriccioso e, pretenziosamente, evocativo. Se la poesia è intesa in questo modo, leggere diventa inutile: perché dovrei interessarmi più di tanto agli sfoghi altrui? E cosa ne potrei imparare, in un eventuale tentativo di confrontare o migliorare la mia arte poetica? Lavorare su se stessi, sulla propria visione di sé, arroccati nella propria solitudine, è senz’altro il comportamento preferibile. Spiegazione che rischia di apparire semplicistica, certo, ma è sufficiente a motivare in gran parte perché, a fronte di un mercato editoriale contratto, la versificazione mantenga un grande ascendente presso gli autori senza produrne altrettanto presso i lettori.