Le scienze e la vita quotidiana

Nella scuola italiana uno strumento indispensabile per insegnanti e studenti rimane pur sempre il manuale. E allora la scelta dei contenuti, l’approccio metodologico e didattico, il linguaggio adottato dovrebbero tenere conto sia degli obiettivi dell’insegnamento in relazione al tipo di scuola cui il testo si riferisce sia del livello di sviluppo cognitivo raggiunto dagli allievi cui il testo è destinato.
 
Eppure ancora oggi capita che si realizzino testi molto simili per tipi diversi di scuole o che le informazioni in essi contenute (è il caso dei manuali di chimica) siano troppo teoriche e troppo poco pratiche.
Forse bisognerebbe prendere spunto dall’inglese Salters’ Approach.
Il libro di testo continua a svolgere, nella scuola italiana, un ruolo molto importante sia a causa del vincolo normativo che ne impone l’adozione obbligatoria, sia perché molti docenti gli sono ancorati come insieme di nozioni confezionate e immediatamente utilizzabili.
Anche se recentemente sono in atto tentativi per affiancare al testo altri sussidi didattici (ipertesti, multimediali, uso di Internet, ecc.), il libro resta ancora il principale «dispensatore di cultura», in questo caso di cultura scientifica e in particolare chimica, perché chi scrive è un chimico che si occupa anche di didattica della chimica a livello di scuola secondaria superiore.
Una caratteristica tipica del nostro paese è l’elevatissimo numero di testi disponibili, talvolta di contenuto non molto omogeneo. Un’indagine campione sulle adozioni, svolta nell’anno scolastico 1985-1986, nell’ambito del Progetto Strategico «Tecnologie e Innovazioni Didattiche» del CNR, ha messo in luce che esistevano sul mercato ben 118 testi di chimica, 119 testi di biologia e 77 testi di geografia fisica e geologia. E ogni anno vengono pubblicati più testi di quanti ne escano dalla circolazione. Ciò è ovviamente da collegare all’aspetto economico del problema: allargandosi il mercato sono aumentati gli interessi delle case editrici e, se pure in misura più modesta, le prospettive finanziarie di coloro che scrivono testi. Un’espansione poco controllata aumenta la quantità dei testi ma rischia di andare a scapito della qualità.
Alla domanda: Chi dovrebbe essere il principale fruitore del libro di testo?, la risposta dovrebbe essere una sola: l’allievo. Di conseguenza la scelta dei contenuti, l’approccio metodologico e didattico alla loro trattazione e il linguaggio utilizzato nella loro esposizione dovrebbero tener conto degli obiettivi dell’insegnamento in relazione al tipo di scuola cui il testo si riferisce e del livello di sviluppo cognitivo raggiunto dagli allievi cui il testo è destinato.
Purtroppo l’esame dei numerosissimi testi oggi in commercio mostra che queste aspettative sono ancora, in generale, largamente disattese.
La situazione dovrebbe migliorare con l’entrata in vigore del decreto 7/12/1999 n. 547, che detta norme e avvertenze tecniche per la compilazione del libro di testo da utilizzare nella scuola dell’obbligo. Fra le norme più importanti ricordiamo:
– Il libro di testo deve sviluppare i contenuti fondamentali delle singole discipline con attenzione a renderne comprensibili i nessi interni e i collegamenti indispensabili con altre discipline; deve inoltre recare l’indicazione delle fonti alle quali è possibile attingere per ulteriori approfondimenti.
– In rapporto alla diversificazione di percorsi didattici […], si renderà necessario l’uso di strumenti facilmente componibili e integrabili […].
– Il libro nel suo complesso deve essere presentato con indicazioni che ne chiariscano l’impostazione, le scansioni, la metodologia e i collegamenti con altri strumenti didattici.
– Il linguaggio impiegato dovrà essere coerente con l’età e le competenze a essa corrispondenti. Sarà opportuno corredare il libro o ciascuna sezione di un glossario che dia il significato delle parole di uso meno frequente utilizzate nel testo.
– Nel libro di testo o in ciascuna delle sezioni che lo compongono devono essere riportati i prerequisiti necessari agli alunni per la fruizione del materiale didattico ivi contenuto e l’indicazione degli obiettivi di apprendimento perseguiti dal testo nonché i criteri per la verifica del sapere e del saper fare correlati ai suddetti obiettivi. Ovviamente questo decreto è strettamente correlato alla riforma dei cicli scolastici. Purtroppo non sappiamo cosa intenderà fare il nuovo governo riguardo al futuro della riforma, ci auguriamo che le disposizioni contenute nel summenzionato decreto restino in vigore. Molte case editrici stanno stipulando convenzioni con le agenzie (in particolare con i Centri Interdipartimentali per le Ricerche Educative ormai operanti in quasi tutte le università) preposte a stabilire se i libri di testo meritano l’attestato di conformità alle norme contenute nel decreto.
Ancor oggi gli autori di libri di testo realizzano usualmente, per lo stesso editore, testi molto simili per diversi tipi di scuole. A volte si è in presenza di una vera e propria «costellazione» di opere, che si differenziano l’una dall’altra in modo marginale. Queste «famiglie» sono generate, di solito, con un meccanismo comune: l’autore costruisce l’opera di maggior estensione che in generale corrisponde al testo per i licei. Da questa, mediante operazione di tagli e/o di qualche aggiunta, ricava i libri «specificamente» destinati alle altre scuole. Non cambia quindi né il livello di trattazione dei contenuti, né l’approccio metodologico, né il linguaggio.
Gli insegnanti, che devono «mediare» fra gli allievi e il testo, potrebbero calibrare le loro scelte e il loro intervento didattico tenendo conto dei fattori di cui si è detto. Purtroppo, per quanto riguarda l’insegnamento scientifico nei licei (e in molte altre scuole) le varie scienze sono accorpate in un’unica materia, che nel caso dei licei è Scienze naturali, chimica, geografia e microbiologia, insegnata da laureati nelle più disparate discipline scientifiche. Inoltre, gli insegnanti sono in generale privi di una preparazione pedagogica e didattica. L’istituzione, da due anni a questa parte, delle Scuole di Specializzazione per l’insegnamento Secondario (con esame finale abilitante) dovrebbe far superare questi problemi. Tornando alla scelta del libro di testo va anche detto che ben difficilmente un singolo insegnante può, per ragioni di tempo, esaminare dettagliatamente più di due o tre libri, per cui la scelta di quello da adottare viene generalmente effettuata su un ristretto numero di possibilità.
E poi importante ricordare che Inda gin e sulle adozioni, già citata, ha mostrato che alcune case editrici hanno proposto e continuano a proporre versioni tradotte e/o adattate di testi di chimica di origine americana. Tali libri sono una percentuale non irrilevante di quelli effettivamente adottati. Questi testi, scritti per gli allievi americani delle High Schools, in cui l’insegnamento della chimica è impartito a 16/17 anni di età e non è obbligatorio, vengono adottati dagli insegnanti italiani indifferentemente sia in scuole dove il corso di chimica di base è previsto al primo anno (allievi di 14 anni), sia in scuole che sviluppano il corso al secondo anno (allievi di 15 anni), sia nei licei classico e scientifico in cui la chimica è generalmente insegnata al terzo/quarto anno (allievi di 16/17 anni).
Quale organizzazione dei contenuti e quale approccio didattico-metodologico vengono privilegiati nei testi scolastici di chimica? I risultati di una prima indagine sistematica sono stati pubblicati nel 1986. Le aree di contenuti individuate furono: a) richiami di matematica e fisica; b) argomenti di chimica «classica», formalismo chimico e concetto di mole; c) struttura atomica, sistema periodico e proprietà degli elementi, legame chimico e geometria molecolare; d) stato gassoso, liquido e solido (comprese le nozioni di mineralogia quando presenti); e) equilibrio, cinetica, elettrochimica; f) chimica inorganica descrittiva; g) chimica organica, nozioni di chimica biologica; h) argomenti socio-economico-ambientali: chimica e salute, chimica e alimentazione, chimica e disinquinamento, risorse energetiche, ecc.
Vi sono notevoli differenze nei pesi dati ai diversi argomenti. Si può dire che la maggior parte dei testi esaminati sono nettamente orientati «ai principi», sulla falsariga di un corso universitario, privilegiando argomenti di tipo chimico-fisico, quali quelli delle aree c), d), e). Alcuni testi si muovono principalmente nel solco «classico», cioè danno spazio ai contenuti compresi nelle aree b), f), g). Infine, pochi testi presentano un certo equilibrio fra i due modi di affrontare la chimica di base, dove per chimica di base si intende quell’insieme di conoscenze di chimica che dovrebbero far parte del bagaglio culturale di tutti i cittadini.
A mio parere entrambi questi modi non sono efficaci per invogliare gli allievi alla chimica. Nel primo caso, l’esigenza di inquadrare il complesso dei fenomeni chimici nell’ambito di una teoria razionalizzatrice fa sì che gli aspetti pratici della chimica siano trascurati. Nell’altro è eccessivo lo spazio dato a nomenclatura, formule, sintesi di intere classi di composti, che gli allievi difficilmente collegano alla loro realtà.
Accanto a presenze ridondanti si notano purtroppo assenze preoccupanti. Mi riferisco in particolare agli aspetti positivi della chimica nel quotidiano e nel sociale: saponi e detersivi, medicinali, materie plastiche, nuovi materiali per l’elettronica, fibre sintetiche, ecc. Anche i testi che episodicamente affrontano questi temi tendono sorprendentemente a enfatizzare solo i lati negativi (inquinamento, pesticidi, additivi, ecc.). Viene spesso dimenticato quanto la ricerca e l’industria nel settore chimico abbiano migliorato la qualità della nostra vita. Tali scelte rischiano di rafforzare l’immagine negativa che della chimica forniscono i mezzi di comunicazione.
Per quanto riguarda l’approccio metodologico-didattico, la ricerca menzionata ha mostrato che la modalità di gran lunga prevalente è quella di tipo descrittivo-teorico, con riferimenti scarsi o inesistenti ai fatti sperimentali. Pochi testi sono accompagnati da un manuale di esperimenti di laboratorio. Questi risultati sono un’ulteriore conferma della tendenza a privilegiare gli aspetti teorici, prevalente da quasi quarant’anni nei testi di chimica italiani, qualsiasi sia l’età degli allievi e la scuola che frequentano.
Le cose non sono state molto modificate dal tempo dell’indagine menzionata, anche se c’è stato un cambiamento nell’organizzazione del testo che ora ha generalmente un impianto modulare con i moduli che si sviluppano in unità didattiche. I contenuti e l’approccio metodologico e didattico sono tuttavia generalmente gli stessi.
Ciò che accomuna praticamente tutti i testi è il fatto che, qualsiasi siano l’organizzazione dei contenuti e l’approccio metodologico prevalente, la preoccupazione principale degli autori è di rispettare sempre e comunque la struttura «dottrinale» della disciplina (ciò è vero anche per le altre scienze). Gli autori (e gli insegnanti) ritengono quindi che il rispetto dell’evoluzione dei contenuti e la coerenza interna della disciplina (così come si è andata precisando in un percorso lungo più di due secoli) sia condizione necessaria a garantire l’efficacia dell’insegnamento, cioè sia il modo migliore per trasferire la conoscenza scientifica agli allievi quali che siano la loro età, la loro esperienza e il loro insieme di abilità e capacità. (Questo è l’atteggiamento evidente, ma vi è anche quello nascosto e cioè il desiderio, più o meno in consapevole, e in parte legittimo o legittimato dal nostro paradigma accademico, di mostrare all’esterno colleghi, editori, ambiente accademico, ecc. quanto sono bravi, capaci cioè di produrre un’opera la più scientificamente completa. Ne deriva che, più o meno nascostamente, la maggior parte degli autori scrive per sé e per i colleghi piuttosto che per gli allievi.) E fuor di dubbio che questo sia il modo corretto di procedere a livello secondario avanzato e a livello terziario, ma non è detto che sia altrettanto corretto (oltre che efficace) a livello introduttivo o di formazione generale culturale.
La nostra società è pervasa dai risultati della scienza tradotti nelle innumerevoli applicazioni tecnologiche di cui l’individuo ha percezione praticamente dalla nascita. Non dovrebbe quindi sembrare scandalosa l’idea di precisare agli adolescenti i concetti e i modelli esplicativi della scienza partendo dagli oggetti della vita di tutti i giorni. Bisogna tener conto che la maggioranza di questi studenti diventeranno avvocati, letterati, commercialisti, giornalisti, impiegati, ecc., mentre solo una minoranza proseguirà studi di tipo scientifico.
Questa idea ha in effetti informato in certa misura gli estensori dei programmi di scienze per la scuola media laddove, nei suggerimenti metodologici, si legge che: «L’osservazione diretta di fatti, fenomeni e ambienti, considerati nel loro insieme e progressivamente analizzati nei particolari […], porterà all’individuazione di problemi». E successivamente: «si ribadisce […] l’efficacia di un contatto diretto con la natura e con l’ambiente umano, compiendo ricerche su ecosistemi facilmente raggiungibili e sugli aspetti delle trasformazioni che l’uomo ha operato sull’ambiente».
Anche nei successivi programmi, per quanto riguarda la chimica, si raccomanda di fare riferimento: «a sostanze […], a trasformazioni di particolare importanza nella vita quotidiana».
Queste indicazioni sono state generalmente disattese dagli autori dei testi di scienze per la scuola media, che conservano una impostazione «dottrinale» delle diverse discipline.
E ovvio che l’introduzione e la precisazione dei concetti e dei modelli scientifici a partire dall’esame degli oggetti di tutti i giorni è un’operazione tutt’altro che banale. Essa, oltre alla parziale rinuncia all’impostazione «dottrinale», si presta indubbiamente al rischio della volgarizzazione e dell’approssimatività. Pertanto, un libro di testo che volesse seguire questo approccio non può scaturire altro che da un progetto fondato su solide basi, frutto del lavoro di un’équipe di persone competenti piuttosto che da un singolo e che sia stato adeguatamente sperimentato.
Queste sono ad esempio, le caratteristiche del progetto inglese per la chimica chiamato The Salters’ Approach, sviluppato da un ampio gruppo di docenti universitari e di insegnanti di scuola secondaria. Un totale di più di 30 persone. Il progetto Salters’ presenta un approccio completamente nuovo per insegnare e imparare la chimica a livello di età 13-16 (classi corrispondenti al nostro ultimo anno di scuola media e al biennio secondario superiore). Il progetto, sperimentato a partire dal 1989, ha dato ottimi risultati rispetto al sistema tradizionale di organizzare i concetti chimici. Nel progetto Salters’ ogni argomento si basa su aspetti della vita di tutti i giorni e i concetti chimici e le interpretazioni dei fenomeni scaturiscono naturalmente dallo studio di queste situazioni quotidiane.
L’intero corso (G. Hill et al., Introducing Chemistry. The Salters’ Approach\ si articola in 16 unità, così distribuite: 3° anno (età 13-14): Metalli. Bevande. Calore. Vestiario. Alimenti; 4° anno (età 14-15): Materie plastiche. Materiali da costruzione. Lavorazione degli alimenti. Aumento delle risorse alimentari. Cura dell’igiene. Minerali. Trasporto di prodotti chimici; 5° anno (età 1516): Combustione e legame. Energia oggi e domani. Energia elettrica e suo uso. Prevenzione e lotta alle malattie.
Posso assicurare i molti insegnanti, probabilmente inorriditi di fronte a questo tipo di contenuti e alla loro organizzazione, che nei libri del Salters’ vi sono tutti i concetti di base della chimica dei libri «tradizionali», ma il modo di introdurli, che parte da situazioni quotidiane o dalle nostre necessità, risulta molto più piacevole per gli allievi e conduce a un apprendimento efficace e duraturo.
Naturalmente sono consapevole che non è possibile trasferire le esperienze di paesi con organizzazioni e strutture scolastiche diverse da quelle del nostro, tuttavia, dato che i problemi di fondo sono gli stessi, non sarebbe possibile produrre un progetto italiano (e relativo libro/i di testo) con gli stessi principi informatori del Salters’. Questa sfida potrebbe essere raccolta dalla Divisione di Didattica della Società Chimica Italiana, che comprende docenti universitari e insegnanti di scuole medie e superiori particolarmente impegnati nella ricerca educativa per l’insegnamento della chimica.
Va comunque riconosciuto che nessun nuovo progetto, nessun nuovo testo potrà dare buoni frutti se coloro che saranno chiamati a sperimentarlo e a utilizzarlo non saranno consapevoli e convinti della necessità del cambiamento.