Bonaccia in terza pagina

Pochi gli argomenti forti e capaci di suscitare contributi davvero significativi; scarsa, se non addirittura scomparsa, la volontà di dialogare tra testate diverse o all’interno dello stesso giornale. La terza pagina appare come una selezione di eventi e di temi più o meno nuovi: dal ripensamento intorno alla nostra storia ottonovecentesca alla discussione sulle condizioni di salute della letteratura nazionale, dal «tradimento» della critica al dibattito su Pasolini, dall’interesse per la lingua italiana a quello sempre più marcato per il pianeta editoriale.

1. La letteratura fra storia, scienza e politica della cultura
La guerra contro l’Iraq, una perdurante crisi economica generale, la sanguinosa instabilità in Medio Oriente, il moltiplicarsi di gravi episodi di terrorismo, la repressione del dissenso studentesco in Iran, la Sars, la grande mobilitazione pacifista che ha colorato i balconi di tutte le città italiane: anche questo è stato un anno scandito da fatti storico-politici di assoluta rilevanza, ma rispetto all’anno scorso le pagine culturali hanno dato un riflesso molto più debole degli eventi, la spinta del contesto non le ha influenzate come era accaduto nel 2001-2002. L’impressione di lettura è quella di una forte uniformità, di un certo appiattimento conformistico. C’è aria di bonaccia: troppo pochi gli argomenti forti, capaci di suscitare contributi significativi, ormai quasi scomparsa la volontà di confrontarsi, sia nella forma più compiuta del dialogo fra testate diverse, sia all’interno dello stesso giornale. Ecco perché il regesto dei dibattiti (compilato questa volta spogliando «Corriere della Sera», «la Repubblica», «l’Unità», «l’Avvenire» e il supplemento «Alias» del «manifesto») è sempre meno un censimento di discussioni e sempre più un inventario dei principali argomenti trattati.
Sembra prevalere insomma un approccio cronachistico, la semplice registrazione di ciò che accade, con poche scelte autonome, decise, di temi e tendenze da problematizzare in profondità. L’iniziativa delle terze pagine consiste soprattutto in un lavoro di selezione di eventi (libri in uscita, tournées di scrittori, premi, convegni, fiere del libro e festival non solo letterari, lutti e anniversari), trascurando forse troppo l’individuazione di processi e dinamiche culturali meno evidenti e scontate, ad esempio tramite il genere troppo poco sfruttato dell’inchiesta. Come per bilanciare la piatta registrazione dei fatti, sul piano della comunicazione risalta di più il consueto ricorso a procedimenti di personalizzazione. Così i titoli e la struttura degli articoli puntano volentieri a mettere in primo piano un’individualità: scrittore, politico, religioso, scienziato assunto come protagonista di un discorso che muove da un libro, da una ricorrenza o da un fatto di cronaca.
Di fronte al declino di un vero dialogo culturale sulla carta stampata, resta da vedere se la rete possa offrire un’alternativa, ad esempio con i blog, siti individuali o di gruppo dove singoli interventi su svariati argomenti sono spesso occasione di botta e risposta anche prolungati e articolati (fra i più vivaci www.nazioneindiana.com, dove intervengono fra gli altri Dario Voltolini, Carla Benedetti, Raoul Montanari, Tiziano Scarpa).
Quest’anno rispetto alla letteratura e all’editoria hanno avuto particolare rilevanza tre filoni di interesse che tendono a ridimensionarne progressivamente lo spazio: la storia, la scienza, la «politica della cultura». Recensioni e ragionamenti sulla storia ottonovecentesca sono ormai un ingrediente abituale delle terze pagine, anche se forse con una minore percentuale di presenza rispetto all’anno scorso. I temi sono quasi canonici: ripensamenti delle vicende risorgimentali, riletture revisionistiche dell’esperienza fascista, della Resistenza, del primo periodo della Repubblica, riflessioni sui totalitarismi e le guerre, interventi sul metodo e sui libri di testo. Dei manuali scrivono con prospettive antagonistiche Paolo Simoncelli, Risorgimento secondo Marx («l’Avvenire», 25 settembre 2002), e Adriano Guerra, La storia scritta. E riscritta («l’Unità», 23 giugno 2003), a partire dal libro di Giuliano Procacci, La memoria controversa. Revisionismi, nazionalismi e fondamentalismi nei manuali di storia.
Nonostante la presenza significativa in altre parti del giornale, la scienza trova posto anche nelle pagine della cultura. Organismi geneticamente modificati e trasformazioni climatiche, gestione delle risorse idriche ed energetiche, astronomia e paleontologia, etologia e neuroscienze: un ventaglio di argomenti spesso con implicazioni sociali, economiche o morali.
L’ampia gamma di provvedimenti del governo di centrodestra che toccano direttamente o di riflesso il mondo della cultura hanno sollecitato una discreta serie di articoli dedicati alla riforma dell’università e della scuola, al riassetto dei beni culturali, alla Patrimonio Spa, ai tagli a fondazioni e archivi (particolare scalpore ha fatto la rimozione della direttrice Paola Carucci dall’incarico di Sovrintendente all’Archivio Centrale dello Stato). Le terze pagine conservano anche memoria di alcuni singolari comportamenti del personale di governo: le gaffes del ministro Urbani che si leggono nel suo libro Il tesoro degli italiani (Nello Ajello, «la Repubblica», 16 gennaio 2003), la momentanea sostituzione di Ferdinando Adornato alla Presidenza della commissione cultura della Camera per poter beneficiare di un finanziamento statale a suo favore (Ajello, «la Repubblica», 15 maggio 2003).

2. Un discorso frammentario sulla letteratura
La discussione sulle condizioni di salute della narrativa nazionale è stata per un certo tempo un sottogenere abbastanza fortunato del giornalismo culturale. Oggi non è più così, tuttavia l’attenzione rivolta agli italiani non è affatto trascurabile e la fisionomia della famiglia dei nostri scrittori piuttosto articolata. Com’è logico trionfa il Novecento, ma non mancano di tanto in tanto autori ottocenteschi (da Manzoni all’iperrecensito Pascoli versione Garboli) e di epoche precedenti (ad esempio i classici e le opere significative della letteratura dei primi secoli, di cui sul «Corriere della Sera» si occupa Cesare Segre: Dante, cantari fra Tre e Cinquecento, Salimbene de Adam).
La produzione letteraria dell’ultimo secolo è percorsa in lungo e in largo, nei suoi vari momenti e livelli, soprattutto con la formula della recensione, di nuovo il genere giornalistico più diffuso nelle pagine culturali (a volte breve e sintetica, a volte più ampia e saggistica). Si parla di scrittori sperimentali e ipercolti – come Marinetti, Gadda, Arbasino, D’Arrigo, il Gruppo 63, più vicino a noi Michele Mari – e di letteratura istituzionale. Sono nomi noti e largamente accreditati (Saba, Brancati, Fenoglio, ma anche Tadini, Raboni, Sanvitale e Rigoni Stern), autori apprezzati da un pubblico scelto (come Angelo Fiore) o riscoperti dalla critica (Dante Virgili), giovani scrittori (Trevi, Vinci, Pascale) ed ex-giovani (Piersanti, De Carlo, Busi, Cucchi). Ma si scrive pure di autori di genere, come l’onnipresente Camilleri e poi Faletti, bestseller dell’anno, Sveva Casati Modignani, Alberto Ongaro. E ancora scrittori-giornalisti (Pansa), scrittori-professori (De Seta, Luperini, Santagata), il diplomatico Boris Biancheri.
La rappresentanza degli italiani quest’anno ha tenuto validamente testa alla schiera degli stranieri. Per i primi, inventario anche abbastanza capillare (notevole l’attenzione del «Corriere della Sera»), spazi contenuti, recensioni; lunghe interviste o ampie anticipazioni – ma meno numerose – per gli stranieri. Per quanto riguarda i bestseller, la gara delle anticipazioni la vince il «Corriere», con Clancy, W. Smith, Grisham, King, Cruz Smith, Ken Follett.
Nel 2002 Carla Benedetti pubblica II tradimento dei critici, un pamphlet pensato sin dal titolo per far discutere. Il libro denuncia la «chiusura» della critica, il suo privilegiare una letteratura che si nutre di se stessa e ignora la vita, il suo costituirsi come gruppo chiuso, come consorteria che amministra il proprio potere al servizio dell’industria culturale o di uno sterile specialismo accademico. Più che un dibattito si sviluppa una serie di interventi molto diversi, poco dialoganti fra loro, occasioni per esprimere idiosincrasie personali, dai quali si fatica a desumere l’argomentazione della Benedetti: leggendo interventi come quelli di Baldacci («Corriere della Sera», 16 luglio 2002) e Palandri («l’Unità», 3 agosto 2002), il lettore non riesce a mettere a fuoco il merito della questione e stenta a farsi una propria idea. Del resto, lo stesso Berardinelli – che sottolinea come su molti punti la Benedetti concordi con le sue posizioni – constata nel suo pezzo «che facciamo fatica a capirci» («l’Avvenire», 2 luglio 2002).
Non si presentano invece come un dibattito gli articoli che hanno al centro l’opera e la figura di Pier Paolo Pasolini, l’autore di cui quest’anno si è parlato di più, in tanti articoli di genere diverso. Le recensioni dei «Meridiani» dedicati alla poesia pasoliniana sono articoli di notevole livello, letture nutrienti: correttamente informative, articolate ma chiare, con una chiave d’interpretazione personale e senza forzature (Raboni, «Corriere della Sera», Ferroni, «l’Unità», Siciliano, «la Repubblica», 6, 9 e 20 marzo 2003). Ci sono poi riletture di singole opere, svincolate da cadenze editoriali, che sottolineano il valore di un modello di poesia antipoetica (Bordini su Trasumanar e organizar, «l’Unità», 30 ottobre 2002) o la capacità di cogliere le dinamiche di un quadro sociopolitico in formazione (D’Elia su Petrolio, «l’Unità», 4 febbraio 2003; Sansonetti con la poesia su Valle Giulia, «l’Unità», 4 giugno 2003). E nell’autoritratto tracciato per il conferimento della laurea honoris causa Vincenzo Consolo indica nel saggio di Empirismo eretico sulla nascita dell’italiano come incolore lingua nazionale una tappa fondamentale della sua formazione letteraria («l’Unità», 18 febbraio 2003). Ancor più giocata sul filo della memoria è invece l’intervista a Nico Naldini che racconta gli anni giovanili dello scrittore (Breda, «Corriere della Sera», 3 luglio 2002). La figura di Pasolini dà anche occasione a digressioni, come quella ben argomentata e succosa di Massimo Onofri sulla «politicità della letteratura» («l’Unità», 11 gennaio 2003), e offre spunto per microdibattiti, per lo più racchiusi in due sole puntate. A far discutere è il difficile inquadramento politico della visione del mondo pasoliniana: Filippo La Porta interviene due volte, negandone la natura reazionaria, in polemica con Daniel Lindenberg di «Libération» («l’Unità», 9 gennaio 2003), ipotizzando piuttosto un’ascendenza azionista, in disaccordo con il pezzo di Massimo Raffaelli su «Nuovi Argomenti». Walter Siti infine, curatore della monumentale edizione mondadoriana, replica, con lucidità, decisione e garbo alle critiche di Carla Benedetti («l’Unità», 1 maggio 2003). Un numero e una varietà d’interventi che dimostra la notevole e peculiare vitalità del lavoro letterario e culturale di Pasolini, confermando l’efficacia problematica del suo modo «impuro» di scrivere e di essere intellettuale.
Ha invece struttura di vero e proprio dibattito quello ospitato da «Alias» a partire dall’articolo di Franco Cordelli su Gli autenticisti, cui hanno replicato Paris e Trevi, Manica, Cortellessa e Nisticò ( 12, 19, 26 aprile e 10 maggio 2003). Al centro della discussione alcuni problemi teorici capitali: lo stile, il suo rapporto con la realtà, con la storia e con l’esperienza personale dell’autore. Il lungo intervento di Cordelli è poco trasparente: intessuto di affermazioni quanto meno discutibili (oggi tutti i romanzi superano le trecento pagine, anche perché scrivendo con il computer «non si cancella» e ci «si innamora di ogni propria singola frase»), costellato di allusioni criptiche (a Trevi, Moresco e Scarpa), costruito con scarsa consequenzialità. Il suo discorso sembrerebbe denunciare una sorta di manierismo narcisistico del vissuto, polemizzare con gli scrittori che usano l’esibizione del proprio sé come strumento di seduzione del pubblico e di legittimazione letteraria e sociale. Non sono più chiari gli articoli degli interlocutori di Cordelli: il lodevole sforzo di precisare di Manica è frustrato dalla sinteticità fin troppo concettosa del suo pezzo; il tentativo di ricordare la profondità storico-teorica delle questioni in campo condotto da Nisticò finisce per complicare le cose.
Anche quest’anno tornano, ma «in versione ridotta», alcuni classici topoi della discussione giornalistica. A cominciare dal ruolo degli intellettuali: Raboni propone un confronto su grandi temi di interesse nazionale – scuola, ricerca, uso della televisione pubblica – fra esponenti della cultura di destra e sinistra, in cui si discuta non «da uomini di parte, ma da intellettuali»; Veneziani boccia («Corriere della Sera», 5 e 10 febbraio 2003). Lo stesso Raboni dedica un articolo alle amicizie nel mondo letterario, seguito da una delle innumerevoli letterine di Arbasino («Corriere della Sera», 16 e 19 settembre 2002). Non manca qualche pezzo sulle stroncature. Curiosamente, le riflessioni sulla critica militante tendono a concentrarsi soltanto su due antitetici modelli di lettura di un testo: uno asettico e compiacente, uno liquidatorio e livoroso, quando invece analisi e giudizio si esercitano con maggior profitto fra gli estremi. Alcune discussioni brevi e appena abbozzate hanno riguardato la letteratura d’oggi: la recensione di Garboli a Kouros («la Repubblica», 5 gennaio 2003) che ha suscitato un confronto sull’omosessualità, e gli apprezzamenti da destra per l’«anarcoide irregolare» di sinistra Paco Ignacio Taibo II («Corriere della Sera», giugno 2003). Come ogni anno si potrebbero segnalare diversi articoli che, vuoi per il tema, vuoi per la ricchezza delle osservazioni, vuoi per il taglio «dibattitoso», avrebbero potuto dare degnamente vita a una discussione, ma che sono rimasti invece senza seguito: Umberto Eco sul romanzo storico («la Repubblica», 23 novembre 2002), gli articoli del gruppo Wu Ming sull’«Unità», o il breve ma acuto intervento di Beppe Sebaste contro l’imperante cultura del monologo e a favore di un pieno recupero del dialogo, del ritorno a una «civile conversazione» o per lo meno al dibattito onesto, proprio a partire dai giornali («l’Unità», 9 febbraio 2003).
In aumento, nel 2002-2003, l’interesse per la nostra lingua, anche grazie ad alcune prestigiose iniziative, come La settimana della lingua italiana nel mondo (ha coinvolto 88 Istituti italiani di cultura all’estero, che contano il quinto posto mondiale per studenti iscritti rispetto a quelli degli altri paesi) e la mostra di Firenze sulla storia della lingua italiana curata da Luca Serianni. I rapporti fra Poesia e lingua, con un occhio di riguardo al dialetto, sono invece il tema scelto dall’«Avvenire» per una serie di interviste pubblicate in settembre-ottobre (Loi, Bartolini e altri). Due osservazioni. Uno: rispetto anche ad anni recenti il tono dei discorsi sulla lingua sembra meno cupo; i processi di trasformazione linguistica sembrano meno sentiti come segni di declino e imbarbarimento incombenti. Due: ad acuire la sensibilità per la questione della lingua contribuiscono anche fattori politici: da un lato le dinamiche dell’integrazione europea, dall’altro rivendicazioni localistiche come quelle della Lega. All’intersezione fra lingua e politica si pone anche un’iniziativa istituzionale che ha suscitato vivaci reazioni: nel 2002 è andato in discussione al Senato un disegno di legge, formulato da parlamentari del centrodestra, per la creazione di un Consiglio superiore della lingua italiana. Si tratta di un organismo sbilanciato verso la politica perché formato dal Premier, due ministri e due studiosi. Fra i suoi compiti figura l’elaborazione di una grammatica ufficiale dell’italiano con ambizioni prescrittive, con la possibilità di «indicare, ed eventualmente coniare, espressioni linguistiche».

3. Un interesse in crescita per l’editoria
Sulle terze pagine si registra infine il marcato trend di crescita degli argomenti che ruotano attorno al pianeta editoria. Aggiornamento informativo certo, ma anche qualche approfondimento critico dei fenomeni: siamo di fronte a un consolidarsi, a una piena istituzionalizzazione dell’editoria come uno dei principali temi delle pagine culturali. Sintomatica, negli editoriali sulla cultura dell’«Avvenire», la ricorrente presenza della firma di un esperto quale Giuliano Vigini. Gli articoli – vari per lunghezza, impostazione, genere – seguono il percorso che porta dall’autore al testo, al libro e oltre, naturalmente senza sistematicità, mettendo in luce singoli aspetti del processo di pubblicazione.
Sul fronte degli autori, come è ovvio, ha avuto grande rilevanza Joanne K. Rowling, autrice della saga di Harry Potter, successo planetario di questi anni e long seller anche in Italia. Ha fatto sensazione la performance in lingua originale dell’ultimo titolo non ancora tradotto: le sole librerie Feltrinelli ne hanno vendute 5 500 copie in quindici giorni («Corriere della Sera», 5 luglio 2003). Di diritto d’autore si è parlato su vari quotidiani per la bella raccolta degli interventi paratestuali firmati Sciascia (Leonardo Sciascia scrittore editore, ovvero la felicità di far libri), pubblicata da Sellerio, pare senza l’autorizzazione degli eredi che hanno impugnato l’edizione. Ma se ne è parlato anche a proposito del singolare caso del falso episodio di Harry Potter stampato a Pechino («Corriere della Sera», 5 luglio 2002), e il tema del no copyright è al centro di vari scritti piuttosto articolati di Wu Ming (ad esempio 1 libri liberati, «l’Unità», 20 febbraio 2003) e ricorre di frequente nelle pagine culturali del «manifesto», qui non sistematicamente censite.
Le terze pagine si soffermano poi, pur senza farne una cronaca puntuale, sull’attività delle case editrici. Ad esempio ragionando di piccola editoria e grandi concentrazioni, della crescita dell’editoria cattolica, di filoni editoriali fortunati, di «libri su misura», segnalando nuove collane (come quella delle Edizioni Archivi del Novecento che pubblica plaquettes di poesie ognuna accompagnata dalla riproduzione autografa) o riflettendo sulla crisi di quelle dei classici: il «Corriere della Sera» ospita un breve dibattito avviato da Paolo Di Stefano (23 febbraio 2003) con la partecipazione di Armando Torno (24 febbraio) e degli editori Alessandro e Giuseppe Laterza (4 marzo). Ma si discute anche della qualità del prodotto materiale, persino di refusi (Vigini e Altichieri sul «Corriere della Sera», 26 e 19 ottobre 2002). Inoltre con le recensioni si dà conto di temi di storia editoriale.
Uscendo dalle case editrici ecco i problemi della diffusione, fra curiosità e argomenti tradizionali: librai e prezzi, negozi in Internet, libri in spiaggia e sul posto di lavoro, prestati da stabilimenti balneari o aziende, i distributori automatici di volumi nella metropolitana di Barcellona e la nave gemella del Titanic carica di libri, che fa capo alle Chiese evangeliche. Poi la promozione e il mondo dei lettori. Vari gli interventi sui premi: dall’ironico diario di Roberto Alajmo (Ecco come ho perso lo Strega, «la Repubblica», 5 luglio 2003) alle polemiche sollevate dalla dimissione dei membri della giuria del premio Montale, al forum dell’«Unità», Premi Letterari: che non vinca il migliore (2 giugno 2003 ). Il consueto appuntamento con la Fiera del libro di Torino ha avuto un’ottima copertura, ma i giornali hanno anche segnalato la «giornata Vonnegut», una buona idea targata Feltrinelli: le principali librerie della catena hanno ospitato lo stesso giorno celebrazioni, letture e presentazioni, per lanciare la ripubblicazione di tutte le opere. Accanto agli articoli sempre più frequenti su collezionismo e bibliofilia, la cultura dei quotidiani dà spazio ai dati relativi alle dinamiche della lettura. Statistiche varie, Indagine Multiscopo, Censis e dati Istat registrano una diminuzione dei piccoli lettori, ci dicono che i consumatori di libri restano una netta minoranza, che più di metà dei giovani comincia un libro ma non riesce a finirlo e che – a sorpresa – l’Italia compra più libri che dischi e DVD. Ma a imporsi all’attenzione è stato il bookcrossing, il fenomeno dell’abbandono volontario di libri amati e contrassegnati da un particolare logo: in novembre i corsari coinvolti sono già più di 3 600 («l’Avvenire», 1 3 novembre 2002).
Mentre oggi la situazione letteraria è frammentata, senza chiare linee di tendenza, di difficile leggibilità, in campo editoriale sono emersi alcuni fenomeni evidenti e di rilievo. Oltre al bookcrossing bisogna naturalmente registrare – su ben altra scala – l’eccezionale successo delle «biblioteche dei quotidiani» (certo «Corriere della Sera» e «la Repubblica», ma anche «il Giornale», «l’Unità», «Gazzetta di Parma», «Il Secolo XIX» e altri ancora) su cui le terze pagine hanno ragionato un po’. Fra i contributi più lunghi quello sostanzialmente positivo che «la Repubblica» affida al suo più autorevole critico Pietro Citati (// popolo nascosto dei nuovi lettori, 10 gennaio 2003) e il pezzo di Sandro Ferri (e/o), bello perché intelligente, molto informato e costruito in modo chiaro e problematico, pur nel giudizio nettamente negativo (lo si legge nel sito della casa editrice). Sul piano delle forme della comunicazione l’iniziativa quotidiano+libro determina un rilevante riassetto delle pagine culturali. Tutte le settimane il volume in uscita viene presentato e promosso da interviste, schede e ampi articoli di taglio saggistico: si crea così un largo spazio del tutto insolito per un discorso di formazione/informazione, per un lavoro di alfabetizzazione letteraria.
Sempre più spiccata è la «funzione Mantova»: in questa città (180 appuntamenti a pagamento tra scrittori e lettori nel settembre 2002, un successo crescente) e nei tanti altri affollati festival letterario-culturali che sono sorti per l’Italia. Certo a Mantova non si incontrano solo lettori forti tradizionali: la fortuna di questo genere di appuntamenti potrebbe far riflettere di più sulla reale fisionomia e consistenza della società letteraria contemporanea, non dando però al termine l’accezione tradizionale e un po’ datata che sembra ancora riflettersi sui giornali, e non rifugiandosi nell’idea di un appiattimento indifferenziato e omologato. Un concetto di cui andrebbe allargato il senso, magari partendo da un ragionamento sui luoghi. Oltre che in fiere e festival, oggi si fruisce e produce cultura letteraria in ogni ordine di scuola (grazie ai sempre più numerosi incontri con i protagonisti della letteratura, narratori, poeti, critici), nelle biblioteche, in enti e fondazioni pubblici e privati (dai fondi manoscritti e dalle case-museo degli scrittori agli Istituti per lo studio del movimento di Liberazione), in circoli e associazioni (dal Rotary ai centri sociali), nelle scuole di scrittura, sulle pagine di riviste professionali, fanzines e siti Internet dedicati all’arte della parola. Non solo: ormai le occasioni per incontrare la letteratura seguono i potenziali lettori nel corso di tutta la vita, dalle elementari alla pensione – le università della terza età non si contano più. Un’esplorazione non occasionale di questo mondo variegato dovrebbe essere una delle linee di discorso privilegiate dei “reporter” di cultura, per tentare una mappa non solo degli spazi, ma delle forme di aggregazione e dei livelli di acculturazione, dei molteplici profili intellettuali e delle tante motivazioni e gradi di consapevolezza di chi partecipa in vario modo all’esperienza letteraria.