Tre storie di malattia

È il fumetto che non t’aspetti. Un racconto per immagini che svela il lato più scoperto, fragile e privato dei suoi protagonisti; un insieme di segni e disegni capaci di colpire e coinvolgere. Fanno parte di questa nuova avanguardia delle emozioni Il fotografo, reportage di una missione umanitaria, in cui l’alternanza tra immagini disegnate e fotografiche dà ritmo alla narrazione e acquista senso nei contrasti; l’autobiografico Il Grande Male, che veicola con tratto caricaturale una durezza drammatica estrema, mentre segue il percorso di chi si confronta con il dolore; e Pillole blu, diario dell’incontro con una ragazza sieropositiva, e del cambiamento di sguardo che investe chi le sta accanto.
 
È incredibile come il fumetto oggi sia anche qualcosa di completamente diverso, anzi, di assolutamente opposto a come l’immagina il luogo comune. Fumetto come avventura, fumetto come evasione, fumetto come fantasia. Macché: il fumetto contemporaneo si sta sbilanciando in territori completamente differenti: quelli, per esempio, della cronaca e dell’autobiografismo. Della cronaca dicemmo già due anni fa scrivendo di Palestina di Joe Sacco. Ecco, oggi mentre Joe Sacco continua le sue incursioni attraverso le realtà dell’ex Jugoslavia (il suo Safe Area Goradze deve ancora essere pubblicato in Italia mentre sulla guerra serbo-croata sono usciti vari altri fumetti, come Fax da Sarajevo di Joe Kubert e Sarajevo tango di Hermann) altri autori si permettono autentici reportage fumettistici. E il caso, per esempio, di Il fotografo, un fumetto pubblicato in Francia dalle edizioni Dupuis e riproposto in Italia dalla Lizard. Gli autori sono Guibert, Lefèvre e Lemercier e il protagonista è il secondo, Didier Lefèvre, un vero fotografo partito per una missione nel cuore dell’Afghanistan con Medici senza frontiere. Mentre Joe Sacco prende appunti e schizzi nel corso dei suoi viaggi, qui l’autore ha effettivamente svolto il suo lavoro di fotografo. E così le vignette si affiancano alle immagini reali, fotografiche, in un alternarsi perfetto, perché la fotografia racconta i volti, i panorami, entra nell’intimità della narrazione, mentre i disegni sanno portare avanti la vicenda, creano il contesto emotivo, colgono la drammaticità degli eventi. E proprio così: la foto coglie gli attimi, il fumetto crea la sequenza. E la lettura gode proprio di questa convivenza perfetta, che vive di contrasti. Nelle parti a fumetti gli autori ci raccontano le difficoltà di entrare e capire una cultura lontana, le difficoltà incontrate nel dormire, mangiare, lavarsi i denti, entrare in relazione con le persone del luogo. È una narrazione privata, personale, intima, e per questo assolutamente coinvolgente.
È appunto su questo piano della rivelazione personale che il fumetto sta esprimendo qualcosa di nuovo e di assolutamente eclatante. Il Grande Male di David B. è un libro di una forza straordinaria, capace di suscitare emozioni quasi insopportabili. Visto che di comunicazioni molto private si sta parlando, mi permetto una confessione: verso la fine del primo volume stavo pensando di abbandonare la lettura, di non farcela ad andare avanti, perché il percorso emozionale cui costringe David B. è forte, drammatico, quasi insostenibile. L’autore racconta la sua infanzia, condizionata, sconvolta dalla presenza del fratello più grande, Jean-Christophe, che a sette anni comincia a soffrire di una gravissima forma di epilessia. Ci racconta tutto, le crisi del fratello, la sua disperazione, la disperata ricerca di una soluzione, di una cura da parte dei genitori, le reazioni della sorellina Florence. Ci racconta anche il suo rifugiarsi nel disegno, unica fuga da una vita diventata difficilissima, quasi impossibile. Leggere i suoi disegni vuol dire viverli sotto un doppio punto di vista: da una parte quei tratti sono il ponte comunicativo tra l’autore e noi, dall’altra danno la possibilità a lui di capirsi. E infatti quello che accade con David B. è davvero il massimo che si possa chiedere all’espressività di un disegno a fumetti: è caricaturale, quasi umoristico, ma raccontando il dramma lo sentiamo drammatico e poi si trasforma, si indurisce, diventa astratto e caoticamente ordinato, ciclico come i pensieri della disperazione seguendo i percorsi emotivi di chi racconta. Una sorta di espressionismo (in bianco e nero) in progress. A volte un groviglio di segni che rendono perfettamente l’idea di un mondo reso finito, chiuso, costretto, da una situazione che non ha sbocchi. Eppure sono proprio i disegni, ad aprire vita ed emozioni. Il risultato finale è visionario, poetico, un fumetto che affronta l’essenza della vita attraverso l’autoanalisi di un autore arrivato a Il Grande Male dopo una serie di racconti onirici che ora appaiono come la preparazione a questa immersione nel pozzo delle emozioni più intime e profonde.
E chissà quanta autobiografia c’è in Pillole blu di Frederik Peeters, autore trentenne di Ginevra. Forse, anche in questo caso, tanta. Tutta. Però egli non ci narra la propria infanzia. Questo è un diario di anni appena passati, è roba recente. Si racconta infatti la storia d’amore tra lui e Cati, una ragazza sieropositiva con un bambino dolcissimo immerso nella stessa situazione. Peeters racconta tutto di sé e di loro, i primi incontri, la scoperta di quello che diventa non solo un problema comune, un condizionamento costante, ma anche una sorta di presa di coscienza generale: del loro amore, della loro vita. In uno dei momenti finali del libro, una citazione di Epitteto illumina tutto quello che è stato raccontato: «Non chiedere che gli avvenimenti succedano come tu vuoi, ma accontentati di volerli come avvengono». Fumetti fatti anche di sguardi fra i personaggi, di occhi che guardano il lettore, mentre il lettore può cercare attraverso i segni non solo la narrazione ma anche la confessione privata, personale, percepire i silenzi di una scena, aspettare che un personaggio immobile in un letto riesca a trovare l’armonia tra se stesso e quanto gli accade intorno.
Non è strano che si sia parlato di tre libri che, pur in maniera profondamente diversa, affrontano il problema della malattia? Un tempo il problema della ricerca della felicità era raccontato dalla letteratura disegnata come l’annullamento delle forze del male, in una visione un po’ facile e fiabesca della vita. Oggi il fumetto racconta che bisogna andarla a cercare dentro di noi, e che il male non deve necessariamente essere sconfitto: meglio pensare di poterci convivere.