I tascabili rigenerati: un confronto ragionato tra «Bur» e «Oscar»

Può perdere rilevanza economica una formula editoriale e contemporaneamente incrementare il proprio peso strategico? A giudicare dagli «Oscar» Mondadori e dalla «Bur» Rizzoli sembrerebbe di sì. I titoli aumentano, le tirature diminuiscono. Insidiati dalla concorrenza dei volumi in allegato, costretti entro grandi marchi che puntano al bestseller internazionale, i tascabili cambiano e sempre più si propongono come mappa del mercato librario. Questi e altri temi in un confronto ragionato con Lorenzo Fazio e Giuseppe Strazzeri.
 
Hanno 56 e 40 anni la «Bur» Rizzoli e gli «Oscar» Mondadori: sono collane mature, solidamente attrezzate, e restituiscono l’immagine lontana di due diverse Italie. La prima, «Bur», vede la luce durante la ricostruzione postbellica, quando il libro economico batteva strade ancora ottocentesche. Modello utile per Luigi Rusca e Paolo Lecaldano era la tedesca Reclam, e dunque letteratura fuori diritti, grafica dimessa, uniforme, niente apparati, prezzo contenutissimo, foliazione fissa (tot pagine, tot lire); un complesso di accorgimenti volti a essenzializzare il prodotto, a sfrondarne fregi e blasoni, e che insieme danno conto di uno scarso tenore nei consumi. La seconda, concepita da Arnoldo e dal suo staff, viene imponendosi sulla scia del miracolo neoindustriale, con la scolarità di massa, l’inclusione delle aree extraurbane del paese in un comune orizzonte di esperienze e di cultura. Perché questo significava per gli «Oscar» la distribuzione capillare nelle edicole; e a questo spingeva l’esempio inglese della Penguin: romanzi contemporanei già apparsi in altra veste, apertura alla manualistica, alla saggistica, primi reference, prezzi sempre competitivi e illustrazioni di copertina che distinguevano l’oggetto in un ambito merceologico aggressivamente seriale.
Invero le particolarità e le asimmetrie delle origini continuano a farsi sentire, nel profilo più o meno classicheggiante della proposta, nel travaglio maggiore o minore per mettersi al passo con un mercato editoriale dalle caratteristiche mutate. «Bur» e «Oscar» erano sorti entrambi a Milano per allargare verso il basso l’area della lettura, e si trovano ora entro marchi di prima grandezza che derivano la più parte dei profitti dai bestseller internazionali, o gigalibri, come anche vengono chiamati, siano essi la saga di Harry Potter o Il codice da Vinci di Dan Brown. Le alte tirature degli inizi e i margini cospicui di guadagno unitario hanno lasciato il campo a conti economici problematici come pure a cataloghi massicci, estesi, che incidono profondamente nell’economia generale delle imprese madri. Gli «Oscar» annoverano oggi 3.922 titoli e rappresentano il 45% del fatturato della Arnoldo Mondadori Editore, il 7% dell’intero gruppo. La «Bur» ne conta 2.200 circa, e per il 2004 il ricavo lordo si è attestato a 27 milioni di euro, il 10% in più rispetto all’anno precedente. Cifre ragguardevoli, per gli standard di settore, che tuttavia trovano ragione non già nell’efficacia del singolo volume ma nella varietà interna e nell’abbondanza multilaterale dell’iniziativa.
Le sottocollane predisposte dagli «Oscar» sono attualmente 17; cessano serie di poca portata come «Paralleli», «Leggere i classici», «Scienza», e nasce nel 2003 «Oscar Lo specchio», con 24 titoli di poesia italiana e straniera da accostare ad altri 63 già inclusi in «Poesia del Novecento». Analogo assestamento registra la «Bur», strutturata su 3 ampie famiglie tipologiche (Classici, Narrativa, Saggistica) che comprendono a loro volta 21 raggruppamenti. Sparisce la distinzione «Bur/SuperBur», in realtà scarsamente avvertibile in termini di prezzo, e debuttano i saggi originals di «Futuropassato» (Travaglio e Gomez di Regime, Arcuri di Colpo di Stato, Vignarca di Mercenari S.p.A.), nonché la serie «Bur senzafiltro», di spiccata vocazione multimediale (libro + dvd) e comprendente le performances di Sabina e Corrado Guzzanti, Paolo Rossi, Serena Dandini. Il tutto secondo un progetto postgutenberghiano, messo a punto lungo il decennio scorso da «Stile libero» di Severino Cesari e Paolo Repetti, che il direttore della «Bur», Lorenzo Fazio, illustra così: «L’idea della collana è quella di attraversare generi diversi (la musica, la satira, la commedia, il cinema, il giornalismo) per raccontare quello che altri mezzi di comunicazione non fanno vedere e di cui non scrivono. Lo spettacolo della Guzzanti e quello di Paolo Rossi sono stati per esempio censurati dalla Rai. In programma ci sono dvd di Piovani, Volonté, Mannoia e molti altri».
Fazio arriva alla «Bur» nel 2003, proveniente dalla Divisione Tascabili di Einaudi, e si sente. Nello stesso anno, per vie interne all’azienda, la Mondadori porta alla direzione degli «Oscar» Giuseppe Strazzeri (passato alla Fiction nel novembre 2005). Sul tema della multimedialità i loro punti di vista non sembrano collimare. Tanto Fazio si affida a una voga novatrice di latitudine romano-torinese, quanto Strazzeri mostra una milanesità scettica: «Risale ormai al 2002 il nostro primo libro + cd rom, mentre del 2004 sono i volumi con annesso dvd. L’esperimento, valevole e interessante, ci dice però che i costi di produzione rendono il margine di guadagno della casa editrice piuttosto esiguo, e ciò è vero soprattutto per le edizioni economiche. Il caso di “Stile libero” è in questo senso particolare, trattandosi di una collana che a una veste tascabile accompagna spesso un prezzo da edizione trade, cosa che non è nella storia e nemmeno negli obiettivi degli “Oscar Mondadori”».
Accanto alla vendita simultanea di supporti elettronici e cartacei – che gli analisti del settore definiscono innovazione di prodotto -, si è imposta d’altronde la formula più tradizionalmente rivoluzionaria dei giornali con i libri in allegato. Il processo di “tascabilizzazione” del mercato, che ha raggiunto un apice significativo nel corso degli anni novanta, si è franto agli albori del nuovo millennio su una proposta iperconcorrenziale, in termini di prezzo e di qualità, le cui caratteristiche risultano autonome se non addirittura estranee al consueto commercio tra autore, editore e lettore. Fazio sembra prenderne atto con alquanto pessimismo: «Si valuta che i tascabili in generale abbiano avuto una diminuzione delle vendite che va da un minimo del 6% a un massimo del 20%; e non si sa se questo decremento sia dovuto solo alla vendita allegata. Più facile pensare a un insieme di fattori come il cambiamento dell’università, che non garantisce più le adozioni automatiche; poi la riduzione del tempo libero, la crescita di Internet e dei videogiochi e più in generale una certa disaffezione al mondo dei classici, anche aiutata da una scuola che alla lettura sembra preferire l’uso del computer. Il risultato è che gli editori di tascabili fanno sempre meno classici, soprattutto greci e latini con testo a fronte. L’Einaudi ha praticamente bloccato le uscite, la Feltrinelli anche, e così pure gli “Oscar”. “I Grandi libri Garzanti” ristampano il catalogo che hanno, investendo sempre meno in nuove traduzioni».
Va considerato che il catalogo «Bur» consiste per circa metà di titoli classici, e tuttavia colpisce la diffusa e per certi versi indistinta querela dell’intervistato: «Di fatto – prosegue Fazio – bisognerebbe avere il coraggio di dire che il classico è in crisi, se non fosse per i giornali, che però propongono soprattutto i classici dell’Ottocento e i romanzi contemporanei. Il classico con il testo a fronte o il classico italiano scritto in una lingua ostica che presenta parole e una sintassi difficili sembra non avere più lettori, se non quei pochi costretti dagli studi. Un mondo a parte, una piccola fetta di acquirenti. Così le tirature degli anni passati sono dimezzate e la domanda che uffici commerciali e marketing fanno con insistenza è sempre la stessa: ma questo classico lo dobbiamo proprio fare?».
Diverso, e forse più costruttivo, è il ragionamento di Strazzeri: «In questi ultimi anni il canale della libreria non solo non ha conosciuto contrazione, ma anzi ha registrato un incremento tutt’altro che trascurabile. Il fenomeno degli allegati sembra avere funzionato più genericamente come poderosa campagna di promozione del libro che come scorciatoia all’acquisto. Ciò detto, le edizioni economiche non possono non vedere negli allegati un concorrente a tutti gli effetti; il che significa anche uno stimolo a trovare nuove modalità di proposta e promozione del proprio prodotto. Per esempio, l’allegato da edicola ha contribuito a infrangere presso gli editori l’assioma edizione tascabile = libro brossurato, e oggi le edizioni cartonate di libri anche supereconomici (vale per Mondadori l’esempio dei “Miti”) sono diventate assai comuni. Analogo discorso vale per i libri illustrati, che cominciano anch’essi a trovare posto nelle collane economiche».
Siamo comunque distanti dalle tirature e dalle cifre di vendita che gli economici e poi i tascabili registravano nel ventennio 1950-1970. Per i classici greci e latini, Fazio parla di 1.000 copie di prenotazione minima presso i librai e di una tiratura globale di 2.000, con un conto economico sicuramente negativo il primo anno; in quanto ai rifornimenti periodici, ci si aggira di solito intorno alle 800 copie, grazie a ristampe digitali che danno luogo a risparmi non piccoli. Leggeri correttivi valgono per la narrativa e la saggistica, le cui ricadute da altri cataloghi consentono di avere bilanci migliori (non ci sono costi in aggiunta, se non per nuove introduzioni e copertina). In questo caso le prenotazioni devono essere di almeno 3.000 copie per la libreria e 1.000 per gli altri canali, con un tirato complessivo di circa 5.000 copie e rese che oscillano tra il 15 e 25%. Una resa media del 17% è anche quella che dichiara Strazzeri per gli «Oscar», specificando che tra le sezioni con un più felice rapporto prenotazione/rese vi sono senz’altro gli «Oscar Bestseller» e la «Piccola Biblioteca». Ormai gli «Oscar» sono fuori dal canale delle edicole, mentre una quota del 25-30%, soprattutto «Oscar Bestseller», viene assorbita dalla grande distribuzione (alle edicole, e alla grande distribuzione, continuano a fare riferimento i «Miti» e i «Supermiti», che amministrativamente dipendono dagli «Oscar»). Riguardo alla tempistica, un titolo assume formato economico a distanza di un anno circa dalla edizione in hard cover, a meno che non goda di un largo successo iniziale, e si giustifichi così un rinvio di sei mesi a causa dell’inserimento nelle collane mass market, essenzialmente «Miti» e «Rizzoli Oro».
Insomma i tascabili hanno perso peso nel panorama italiano; e questo benché negli ultimi anni sia stato fatto molto per riqualificarne la veste, l’appetibilità oggettuale. Erano nati sulla scia di potenti processi di laicizzazione se non di sconsacrazione del libro (serialità, edicole, lettura interstiziale) e si ritrovano ora prodotti da scaffale: opere che tutte insieme, a migliaia, danno luogo a marchi secondari dipendenti da marchi maggiori. Sin dalla metà degli anni novanta gli «Oscar» avevano avviato un complessivo restyling, e lo stesso ha fatto la «Bur» con l’arrivo di Fazio, nel 2003. Particolare attenzione è stata dedicata all’aggiornamento iconografico, ai dorsi, al lettering, agli effetti di colore. Il catalogo «Bur 2005» testimonia già da solo di un’estrema cura merceologica: in un elegante cofanetto blu vengono disposti i tre fascicoli fondamentali, verde chiaro per la saggistica, azzurrino per i classici, rosa per la narrativa. Quasi una riattualizzazione, a tinte pastello, e di gran lunga più sofisticata, della strategia messa in essere dalla serie «I corvi» di Dall’Oglio negli anni trenta, cioè alle origini delle universali moderne. La parola d’ordine lanciata dai responsabili del settore è ridare dignità, se non distinzione al libro economico. Il diversificare prevale sull’uniformare; il segmento, di genere o d’autore, si impone sul continuum.
Un’opzione in certo modo obbligata, quando si ha da gestire una tale mole di titoli. Dice bene Fazio, ogni intervento caratterizzante intende «consentire un accesso pilotato ai lettori e soprattutto ai librai», veri destinatari delle procedure classificatorie. Ma altrettanto in discutibile è la finalità estetica e feticistica del processo: negli anni sessanta gli «Oscar» e gli altri tascabili ampliavano l’orizzonte della lettura serializzando il prodotto, e quasi contemporaneamente nasceva Adelphi per indicare una via opposta: artigianato, singolarità dell’oggetto, cura grafica, esibizione del prestigio. Ora la pratica del libro distinto e oggettualmente piacevole è dominante, e forse investe il tascabile più attraverso gli allegati che in rapporto ai volumi del circuito colto. Strazzeri in proposito è chiaro: il gesto d’acquisto si innesca oggi per motivi di economicità conveniente almeno quanto per «l’elezione del prodotto in quanto oggetto gratificante sotto il profilo del suo appeal, anche fisico» (e di qui il formato atipico della «Piccola Biblioteca Oscar» o la plastificazione opaca dei «Grandi Classici» cartonati, le sculture di Fausto Melotti che accompagnano i volumi di Italo Calvino o i quadri di Fussli per un dramma di Shakespeare).
Tuttavia resta arduo e forse chimerico confrontarsi con i libri in allegato (che registrano intanto un ulteriore incremento nelle vendite del 5%, stando a una ricerca Ipsos commissionata da Mondadori). Allo strapotere delle iniziative giornalistiche, i responsabili dei tascabili tradizionali possono opporre al più la vastità totalizzante del catalogo, ovvero un’idea di collana universale che attinge alle origini almeno romantiche del libro economico. Una vera competizione in termini di prezzo va esclusa. Né si può ricorrere almeno a detta di Strazzeri – a un uso altrettanto massiccio, unitariamente mirato e multimediale del rinforzo pubblicitario: «Un catalogo imponente come il nostro rende difficile concepire massicce campagne di marketing dedicate a un singolo titolo. Operazioni individualizzate di lancio e di campagna stampa si rendono se mai opportune e necessarie per la percentuale (circa un centinaio all’anno) di titoli originali direttamente pubblicati negli “Oscar”. E vero piuttosto che le consuete campagne promozionali “di marchio”, legate alla scoutistica, andrebbero forse integrate a campagne più fini, magari non condotte per titolo, ma per nucleo tematico o tipologia di lettore».
La situazione appare complessa, e nondimeno il ruolo assolto da supercollane come «Bur» e «Oscar» risulta decisivo per l’ingresso orientato nel mercato librario. Proprio l’ampiezza dei cataloghi spinge incessantemente i responsabili editoriali a risegmentare, a distinguere per livelli di leggibilità, a intuire nuove famiglie di prodotti. Vale come sempre un criterio di mediazione, che al movente economico unisce un giudizio di qualità. Gli «Oscar» e i «Bur», da quanto abbiamo visto, vengono dopo gli hard cover e talvolta anche dopo i supereconomici: fanno dunque tesoro di orientamenti di gusto già espressi dal pubblico. Spetta a loro, però, ricomporre in termini di varietà ordinata la moltitudine di testi che il mercato assorbe e poi restituisce nella prospettiva di un futuro riuso. Classificazioni e sottoclassificazioni hanno certo un’applicabilità generale, ma si rendono particolarmente fruttuose e necessarie per opere a carattere letterario, come Fazio conferma: «La letteratura è declinata in due sezioni: “Bur Scrittori contemporanei”, in cui sono inseriti i titoli di maggior tenuta estetica di autori per lo più viventi, da Dacia Marami a Camilleri; e “Bur Narrativa”, in cui sono inseriti i bestseller più venduti italiani e stranieri, da Ludlum alla Reichs».
Non troppo diverso è il caso degli «Oscar», che prevedono una serie «Oscar Bestseller», sede elettiva della narrazione di genere; e serie più qualitativamente connotate come «Oscar Scrittori del Novecento» e «Oscar Classici moderni». Tutto ciò è noto, magari da discutere in quanto a nomi e strategie d’inclusione, ma indubbio. Il punto, se mai, è che accanto a procedure in senso lato valoriali, finalizzate all’incontro con l’acquirente giusto, competente, si dispongono scelte più sottili, che hanno a che fare con una stratificazione del pubblico in senso orizzontale. Osservando i cataloghi «Bur» e «Oscar», non può sfuggire la compresenza ormai sistematica di tre diverse tipologie, che in sé esauriscono la totalità delle pratiche di lettura: 1) il bestseller, con la sua unicità non preventivabile e spesso non ripetibile; 2) il pacchetto di opere d’autore, indice di una fidelizzazione già in corso e da sfruttare a fondo; 3) i profili di genere, tendenti per solito a una lettura idiosincratica e reciprocamente esclusiva (chi ama i gialli o i thriller, dichiara scarso interesse per la fantasy o per il racconto umoristico). Questa triade, che di norma l’editore valorizza separatamente, i tascabili delle ultime generazioni tendono a mescidarla e a riplasmarla senza tregua: anzi è essa stessa il cuore di un catalogo tascabile modernamente concepito. E senza trascurare dinamiche che coinvolgono testate periodiche come «I gialli Mondadori» o «Urania» o «Harmony» o «Segretissimo», con il loro diverso atteggiarsi nel sistema librario. Chi avrebbe potuto prevedere, nel dopoguerra, quando ripartono i gialli mondadoriani, una così sfolgorante scalata del genere verso le vette della letterarietà; e chi avrebbe saputo intuire le secche della science fiction dopo la vampata speranzosa degli anni cinquanta, o ancora la costante marginalizzazione a cui soggiace il genere rosa o sentimentale? Ciascuna delle testate periodiche sopracitate incontra palesi difficoltà, di crescita o di stasi: e sono proprio i tascabili ad accoglierne sempre più massicciamente gli esiti, legittimandoli vieppiù all’interno di una titolistica estesa, ma non priva di gerarchie, e insieme mantenendone i tratti di specificità riconoscibile.
In fondo, le procedure di risegmentazione grafica e merceologica a cui si sono dedicati la «Bur» e gli «Oscar» in anni recenti hanno a che vedere con simili fenomeni, che esorbitano dalle politiche di marchio strettamente intese. Al riguardo Strazzeri nega, eppure quando parla di «discernere», e di discernere già «all’interno della casa editrice», non sembra lontano dal nostro ragionamento: «Più che a un interesse per le varianti tipologiche o a correlazioni con le vicende delle testate periodiche (aventi caratteristiche ed evoluzioni loro proprie), gli apparentamenti grafici tra libri di un medesimo autore o appartenenti al medesimo genere nell’ambito di una stessa collana rispondono all’esigenza di discernere, fin dall’interno della casa editrice, la varietà dell’offerta, nella convinzione che ciò sia di servizio anche al libraio e al lettore finale».
Nate per espandere un mercato ristretto, collane come la «Bur» e «Oscar» sono ormai uno specchio del mercato stesso. Sempre più vanno incontro a una marginalizzazione economica, a un ridotto saggio di profitto, e tuttavia non sarebbe concepibile un moderno assetto librario in loro assenza. Sicché, non per aggravarne le ansie dirigenziali, anzi per registrare un parere di massima, interno e autorevole, abbiamo chiesto conclusivamente ai rispettivi responsabili quale significato annettono, oggi, alle sigle di cui sono a capo. Fazio ha risposto così: «In generale, l’idea che presiede oggi la “Bur” è quella di avviare un forte rinnovamento dopo anni in cui la concorrenza ha avuto un rilancio molto marcato, e in un momento in cui il mercato tascabile è molto diverso da quello di qualche anno fa. Il tascabile non è più un tascabile: prima era brutto e piccolo. Prima si usava e non si regalava. Oggi è diventato bello, grande, leggibile, sofisticato e addirittura cartonato con copertina rigida. E i tascabili possono costare poco o tanto a seconda delle sezioni, e inoltre possono anche essere novità assolute. Una vera rivoluzione, che rivela come gli editori stiano cercando tutte le vie possibili per portare in libreria lettori vecchi e nuovi, e contrastare la concorrenza di giornali e televisioni. Una partita difficile ed entusiasmante, in cui le idee hanno ancora una volta la meglio. Chi ha idee migliori vince. E strano a dirsi, però è proprio così: ci vogliono le idee, le idee contano. E molto».
E Strazzeri, di rincalzo: «Accanto alle tradizionali funzioni di catalogo storico preposto alla formazione culturale di base per generazioni susseguenti di lettori, e di soglia ad ampia accessibilità verso l’intrattenimento librario contemporaneo, gli “Oscar” sempre di più si stanno profilando come casa editrice dentro alla casa editrice, con sue collane di punta e un numero di novità editoriali in costante aumento. Se per un’ampia parte del catalogo confermano perciò una vocazione ludico-formativa presso un vasto pubblico generalista, d’altro canto essi fungono oggi sia da bacino di sperimentazione e cooptazione di nuove tipologie di lettori (dalla letteratura gay-lesbica alla spiritualità alternativa alla poesia contemporanea), sia da veicolo per novità in formati e prezzi alternativi e concorrenziali (da Zorro di Margaret Mazzantini a Il medaglione di Andrea Camilleri)».