È l’editore che stabilisce quali titoli pubblicare e che orienta i gusti del mercato; ma è il canale distributivo che seleziona, rispetto all’offerta di titoli disponibile, quali proporre al cliente finale. L’attività di promozione è un modo per riavvicinare l’editore al pubblico dei lettori e per riappropriarsi del proprio ruolo di mediatore culturale e economico. Di fronte a una distribuzione in posizione di forza, i tempi sembrano maturi per un ritorno al contenuto: le nuove sfide sono l’educazione del mercato e la promozione della lettura.
La promozione è una delle attività che giustificano l’esistenza di una filiera editoriale che intermedia fra autore e lettore; in presenza di una offerta di libri di gran lunga superiore alla domanda, le attività connesse alla segnalazione al mercato della proposta editoriale creano valore economico e riducono la forte asimmetria informativa che caratterizza i rapporti fra chi scrive e chi legge. Dal punto di vista economico, un primo tema importante è riflettere su quanto valore è creato dall’attività di promozione – rispetto al suo costo – e chi se ne appropria; che i libri vadano promossi appare evidente, ma a giudicare dalle scelte organizzative degli editori sembra quasi che la promozione sia un male necessario rispetto alla attività editoriale, nonostante negli ultimi tempi la funzione marketing si sia rafforzata. Un capitolo a parte riguarda poi la promozione della lettura; da anni gli editori di libri cercano di sensibilizzare le istituzioni, Ministero dell’istruzione in testa, perché realizzino campagne di promozione della lettura. Gli strumenti, gli attori e gli interlocutori nell’attività di promozione della lettura sembrano diversi rispetto a quelli attivati per la promozione del libro. Che un’azienda debba promuovere i propri prodotti per rendersi visibile, per allargare il proprio mercato potenziale, per stimolare il riacquisto da parte dei suoi clienti sembra intuitivo: che cos’ha dunque di speciale il libro perché la sua promozione sia oggetto di riflessione specifica? In che cosa si esplicita questa attività? Crea valore? Per chi?
Ai fini di questa riflessione, due elementi di specificità del libro appaiono rilevanti: il primo è rappresentato dal fatto che la qualità dei libri, e questo è vero per tutti i prodotti creativi, non è determinabile in modo oggettivo. Nessun lettore potrà chiedere al libraio di rimborsarlo perché il libro che ha appena finito di leggere non gli è piaciuto, mentre può restituire un prodotto difettoso (e quindi anche un libro mal stampato o cui si scollano le pagine) o reclamare il rimborso per un servizio non in linea con quanto dichiarato. Se la qualità non è determinabile in modo oggettivo, è molto difficile spiegare ex ante ed ex post perché un titolo ha avuto o meno successo commerciale ed è molto difficile per il lettore orientarsi tra l’elevatissimo numero di novità presenti sul mercato. Dal punto di vista del lettore, quindi, l’attività di promozione genera valore perché semplifica il processo di selezione e valutazione prima dell’acquisto; dal punto di vista dell’editore, l’attività di promozione genera valore sia economico, sia culturale: tanti clienti che acquistano lo stesso titolo determinano un abbassamento significativo del costo medio di produzione di quel titolo. Se questi clienti poi leggono il libro, le idee in esso contenute diventano patrimonio collettivo, giustificando lo sforzo di selezione compiuto dall’editore e legittimando il suo ruolo di gatekeeper.
Il secondo elemento di specificità è rappresentato dalla tradizionale importanza del canale nel delimitare l’ambito competitivo delle case editrici: fino a poco tempo fa, lo stesso titolo proposto nel book club o in libreria aveva lettori differenti. L’iniziativa strategica nelle scelte di posizionamento spettava in larghissima misura all’editore: è l’editore che seleziona quali libri pubblicare, a che prezzo venderli e in quali canali. Alcuni canali per loro natura si rivolgono a un mercato di massa, altri a mercati specializzati. Le cose non stanno più così, in parte come effetto dell’eccesso di offerta rispetto alla domanda, in parte per i mutati rapporti di forza contrattuale fra editore e canale. Anche le librerie più grandi possono ospitare solo una parte della produzione editoriale; una superlibreria da 150.000 titoli accoglie meno della metà dei titoli in commercio, molti dei quali in una sola copia, ordinariamente sconosciuti al lettore perché infilati di costa in uno scaffale. I processi di concentrazione in atto configurano dunque un ambito competitivo nel quale i rapporti di potere contrattuale favoriscono la distribuzione. Il mercato appare polarizzato tra pochissimi titoli molto promossi e l’offerta polverizzata; i titoli a maggiore rotazione sono disponibili in tutti i canali di vendita, mentre reperire tutti gli altri diventa sempre più difficile, a meno di ricorrere alle librerie on line o ai siti degli editori. Da tempo la distribuzione (ampiamente intesa) assorbe una percentuale elevata del valore creato dalle strutture di intermediazione fra autore e lettore: circa il 60% del prezzo di copertina. Una distribuzione in posizione di forza contrattuale non è solo destinata ad appropriarsi di una porzione crescente di valore, ma anche di attività storicamente attribuite all’editore: la selezione e il ruolo di gatekeeping. E l’editore che seleziona quali titoli pubblicare e che orienta attraverso questa selezione i gusti e il pensare del mercato; ma è il canale che seleziona, rispetto all’offerta di titoli presenti sul mercato, quali di questi proporre al cliente finale, e che quindi condiziona il processo di selezione dell’editore, appropriandosi di una parte consistente di valore. Se leggiamo in questi termini l’operazione dei libri abbinati ai quotidiani, appare evidente che il mercato ha dimostrato di apprezzare la selezione proposta dal canale (in questo caso il quotidiano), il quale a sua volta ha pesantemente condizionato le scelte di posizionamento degli editori di libri: per quanto il canale edicola e il canale libreria configurino ancora ambiti competitivi distinti e per quanto il forte lettore non rinunci a frequentare la libreria pur in presenza di un’offerta in edicola estremamente ricca e conveniente sul piano economico, i due canali insistono in buona parte sullo stesso mercato, con un netto rapporto di forza a favore del canale a proprietà più concentrata. E improbabile che il distributore si sostituisca all’editore nella selezione di titoli originali: è attività troppo costosa, aleatoria e lontana dalle sue competenze distintive. Può succedere (e infatti succede) che il distributore acquisisca editori, ma non è realistico immaginare che l’attività di scouting sugli autori e sui nuovi titoli sia disintermediata dal distributore. Per tornare al caso dei libri abbinati ai quotidiani, quando questo si è verificato (ossia quando il quotidiano ha pubblicato titoli originali) i risultati non sono stati eclatanti.
L’attività di promozione appare dunque un modo per riavvicinare l’editore al cliente finale e per riappropriarsi del suo ruolo di fronte a una distribuzione in posizione di forza e che diventa l’interlocutore privilegiato nei rapporti con il consumatore finale. Tale attività si orienta in due direzioni: segnalazione al mercato dell’importanza del titolo, costruzione e proposta di marchi. Al crescere dell’importanza riconosciuta alle attività di marketing sono aumentati gli strumenti utilizzati dalle case editrici per indicare al mercato che proprio quel titolo merita l’acquisto: è nota l’importanza dell’ufficio stampa in una casa editrice, così come è nota la funzione strategica di segnalazione rappresentata da una pila di novità all’ingresso delle librerie. All’aumentare dell’intensità competitiva sono aumentati gli strumenti di marketing utilizzati dagli editori nei confronti dei punti vendita e del consumatore; poiché il conto economico di una casa editrice non permette che tutti i titoli siano promossi con la stessa intensità, la scelta dei titoli su cui concentrare gli sforzi di comunicazione e di promozione rappresenta un importantissimo segnale al mercato delle priorità assegnate ai propri titoli da parte dell’editore. Se l’editore vuole capitalizzare gli sforzi – inevitabilmente crescenti – di promozione, nonché mantenere e rafforzare il proprio ruolo di mediatore culturale ed economico nella filiera editoriale, deve sviluppare una politica aggressiva di marchi. Il punto diventa chiarire di quali marchi parliamo.
Si è detto che è difficile industrializzare la produzione di successi editoriali, per la difficoltà di valutare la qualità del libro in modo oggettivo; questo aiuta a spiegare perché il marchio della casa editrice svolga una funzione moderata nell’orientare le scelte del consumatore, mentre ha funzione più potente di segnalazione sul mercato degli autori. Sono pochi i lettori che conoscono l’editore di Eco o di Harry Potter e che orientano le proprie scelte di acquisto su libri Bompiani o Salani perché sono gli editori rispettivamente di Eco e di Harry Potter. Per valorizzare il proprio investimento, appropriarsi di una quota significativa di valore e ridurre l’incertezza sui risultati di mercato di ciascun titolo, la strategia di marchio più ambiziosa appare quella legata allo sviluppo di character, ossia di personaggi, di generi e di situazioni che possano essere declinati su più mercati geografici e aprire la strada per lo sfruttamento di diritti secondari. E una strategia che pone con evidenza forti vincoli all’attività creativa e richiede grandi capacità progettuali nell’autore e nell’editore. Se vogliamo evitare che il libro ricada nella mediocrità culturale in cui è caduto il settore discografico e cinematografico per effetto di sequel infiniti, di riedizioni di classici e di prime opere non destinate a entrare in catalogo, è necessario capitalizzare sugli investimenti di marketing di prodotto per tornare a educare il mercato e a promuovere la lettura. Solo in questo modo il ruolo dell’editore come mediatore culturale tornerà a essere centrale. Le istituzioni possono e devono aiutare, ma è nell’interesse prima di tutto dell’editore non accontentarsi della rendita di posizione derivante dalla cessione di diritti, ma preoccuparsi che i libri non siano solo acquistati ma anche letti. Il marketing editoriale ha fatto grandi passi nella promozione del libro, un po’ per scelta e un po’ per necessità: ha reso più accattivanti le copertine, i titoli, le quarte, allargato il numero e la varietà di canali, ha giocato con la leva prezzo e ha prodotto materiali pubblicitari di varia natura. I tempi sembrano maturi per tornare al contenuto, ma questo richiede di collegare gli sforzi di promozione del libro con quelli di promozione della lettura.