L’editoria polimorfa

Sembra che non ci sia nuova casa editrice che nasca con un’aspirazione forte al mercato e alla “modernità” che non si proponga come produttore di supporti audiovisivi. In alcuni casi si tratta di un settore che si accosta alla produzione editoriale cartacea (Lain records e minimum fax media), ma non mancano realtà che si qualificano proprio per una progettazione ibrida e multimediale, come Colorado Noir e Fandango. Certo finché il rapporto testo scritto-nuovi media segue la linea classica, dalla scrittura alla trasposizione, tutto resta come prima. La vera sfida nasce quando gli autori cominciano a scrivere pensando già a come approdare su piccolo o grande schermo.
 
Meglio tardi che mai? Dopo aver osservato per decenni, con sostanziale snobismo, il patto di ferro tra editoria statunitense e studios di Hollywood – un patto diventato d’acciaio con la nascita dei bestselleristi da villaggio globale, che scrivono romanzi che sono già sceneggiature – anche noi ci muoviamo. Il 2005 è stato l’anno in cui il matrimonio libro-cinema, in Italia, ha segnato passi importanti. Un matrimonio avvenuto, appunto, tardi, ma che, nel nascere, si va adattando in fretta anche alla nuova dimensione del mercato: sempre meno diviso in compartimenti stagni, sempre più – libri, film, cassette, dvd, cd, tv – mercato globale dell’intrattenimento.
La modernizzazione in corso nel nostro paese (ma non solo, un po’ dappertutto in Europa) consiste nel passaggio da una logica affidata all’estro individuale a una dinamica industriale fatta di sinergie pianificate. Insomma, da un Visconti che fa suo Il Gattopardo, un Rosi che riscopre Cristo si è fermato a Eboli, De Sica che mette le mani (male) su Il giardino dei Finzi-Contini, maestri, cioè, che un giorno s’innamorano d’un testo, si passa a un’Italia che ha come auspicato simbolo la Premiata Ditta Camilleri.
In un certo senso la prima avvisaglia si era avuta, negli anni novanta, con l’arrivo dei comici televisivi in libreria: lì si è capito quale effetto moltiplicatore sulle vendite possa avere il cortocircuito tv-editoria cartacea. Ma la nuova stagione è, appunto, quella del passaggio a un’editoria tout court, di “contenuti” e di entertainement. Vediamone le facce. E, magari, vantaggi e rischi.
Nella rosa dei nostri film in corsa per la candidatura all’Oscar 2006 ben cinque erano versioni per il grande schermo di libri italiani: I giorni dell’abbandono di Roberto Faenza, dal romanzo di Elena Ferrante, Quo vadis baby di Gabriele Salvatores, dal romanzo di Grazia Verasani, Quando sei nato non puoi più nasconderti di Marco Tullio Giordana, dal romanzo-inchiesta di Maria Pace Ottieri, La bestia nel cuore che Cristina Comencini ha tratto dal proprio romanzo omonimo, Il resto di niente di Antonietta De Lillo dal romanzo di Enzo Striano.
Questo dice molto sull’interesse reciproco che nutrono in queste stagioni le nostre industrie editoriale e cinematografica. Toccherà ad altri: dopo la nomination per l’Oscar (caduta inizialmente su Private di Saverio Costanzo) sarà, per esempio, la volta del film di Michele Placido, Romanzo criminale, a riportare in libreria, con gli onori pubblicitari dei cosiddetti “cartelli da terra”, il noir originario di Giancarlo De Cataldo. Mentre c’è chi sogna il gran passo: di Io uccido di Giorgio Faletti sono stati venduti i diritti a De Laurentiis già dal 2002, ma s’allungano i tempi per vederlo portato sullo schermo – come promesso – da un qualche mago del thriller americano. Gran passo, perché tra un nostro romanzo e la sua trasposizione cinematografica a Hollywood corre il solito inciampo: la lingua. Tanto è difficile vendere i nostri romanzi lì, tanto più difficile vendere sceneggiature.
Non sarà un caso insomma se, dal 2005, un festival celebra – tra novità e rivisitazioni storiche – le nozze narrativa-cinema: è Le parole dello schermo, ideato dal neoassessore bolognese alla Cultura Angelo Guglielmi, la cui prima edizione si è svolta dal 28 giugno al 1° luglio, la scorsa estate.
Ma quale effetto ha, sulle vendite di un romanzo, la sua trasposizione cinematografica? Le prime stime le ha date l’Aie alla Fiera del Libro 2005. Duplica o triplica le vendite. Effetto che s’avverte forte soprattutto quando il titolo era di un autore di nicchia o pubblicato da una casa editrice piccola.
Fin qui, siamo nella logica che ha tradizionalmente governato il rapporto pagina scritta-schermo, benché con un incremento quantitativo che, di fatto, produce un salto di qualità.
È il caso, però, di sottolineare l’operazione diretta in due tempi – libro, schermo – pianificata da Cristina Comencini. Questo genere di utilizzo di una storia è ormai diffuso: lo stesso, mettiamo, ha fatto il rumeno Radu Mihaileanu con Vai e vivrai, l’odissea dei falasha che ha fatto diventare in contemporanea romanzo e film.
Da noi progenitore di questo tipo di operazione era stato, nei decenni scorsi, Alberto Bevilacqua, col suo meccanismo collaudato romanzo dell’estate-trasposizione per lo schermo. Ma lo scrittore-cineasta di La Califfa non aveva avuto imitatori.
Diversa la pianificazione di oggi. Sempre guardando a quella rosa per l’Oscar, una delle case editrici coinvolte, Colorado Noir, è nata con questo scopo preciso: produrre libri trasportabili sullo schermo. Nel suo comitato editoriale siedono un produttore, Maurizio Totti, un regista, Gabriele Salvatores, un critico e organizzatore cinematografico, Giorgio Gosetti e uno scrittore-esperto d’editoria, Sandrone Dazieri. Altra presenza importante, in questo mondo della nuova editoria ibrida, è quella di Fandango, casa produttrice di Domenico Procacci che, dopo aver aperto un nuovo ramo d’impresa in editoria cartacea, l’ha potenziato rubando la direttrice editoriale, Rosaria Carpinelli, nientemeno che a Rcs Libri. Fandango distribuisce nelle sale My summer of love di Pawel Pawlikowski e, qualche giorno dopo, manda in libreria l’omonimo romanzo di Helen Cross. Esce Cinderella Man di Ron Howard e in libreria arriva il romanzo di Michael C. DeLisa. E così via.
In realtà sembra che non ci sia nuova casa editrice che nasca con un’aspirazione forte al mercato e alla “modernità” che non getti una gemma in altro campo: Gargoyle, specializzata in horror gotico, dà vita a Gargoyle Video; Lain, specializzata in narrativa generazionale, di preferenza femminile (è la casa di Melissa P), ha una sua label discografica, Lain Records; minimum fax dal primo aprile 2005 ha minimum fax media con cui produce documentari, com’è nel suo stile, da backstage letterario: interviste a scrittori (la cosiddetta serie newyorchese), dialoghi tra giallisti (Camilleri Lucarelli) ecc.
Tra i vecchi, Einaudi è stata forse la prima a puntare sull’accoppiata libro-cd o dvd. Mentre, naturalmente, quella che – forte della sua ormai quasi monopolistica catena di negozi multimedia – gioca meglio e a tutto campo è Feltrinelli.
“Sinergia” è la parola magica di questi tempi. Non solo in nome del mercato. Esistono anche sinergie, come dire? democratiche. Il sodalizio siglato da Europa Cinema e Premio Viareggio a luglio scorso prevede la promozione incrociata di opere narrative e film di e su i migranti e le culture meticce.
Ora, dicevamo all’inizio che se alla “modernizzazione” arriviamo tardi, in questo non siamo soli. E solamente col nuovo millennio che la Buchmesse di Francoforte e il Festival del Cinema di Berlino hanno inaugurato una partnership. A ruota, s’è adeguata, dal 2004, la nostra Fiera del Libro: da due anni a Torino il Book Film Bridge riunisce i soggetti interessati nei vari campi. Nato dopo, il BFB però s’è dato subito una veste up to date-, il commercio di contenuti, lì, riunisce esponenti di tutto l’arcobaleno mediatico.
L’interrogativo finale: dato per buono che la nuova editoria ibrida faccia del bene a se stessa, insomma distribuisca profitti maggiorati a se stessa e ai propri autori, essa farà del bene alle nostre patrie lettere? Saperlo… Naturalmente, finché il rapporto testo scritto-nuovi media è quello classico (l’autore scrive, qualcuno poi s’accorge che la sua storia è bella e la trascrive in altro linguaggio) tutto resta come prima. Il problema nasce quando gli autori cominciano a scrivere pensando già a come finire su piccolo o grande schermo. Nel caso dei romanzi americani l’effetto s’è visto: il grosso dei bestseller sono scritti come successione di sequenze cinematografiche. Il cinema in questo caso vampirizza il testo o, semplicemente, gli suggerisce un linguaggio nuovo? E alla nostra narrativa questo potrà far male o, magari, le chiederà di liberarsi di ritmi torpidi? Per apocalittici e integrati gli ingredienti ci sono tutti: il dibattito è servito.