La formula Bonelli non è esportabile

L’editore Sergio Bonelli riceve la laurea honoris causa: è il riconoscimento a una carriera dedicata al fumetto, ma anche il segno di una ricezione dei suoi comics profondamente mutata. Oggi il fumetto Bonelli appare come una gloria italica da preservare, un godimento della cultura alta, una specie da proteggere; ma non funziona fuori dai confini nazionali, dove si privilegiano prodotti diversi come gli album e i manga. Che il “modello Tex Willer” sia sostanzialmente un unicum senza concorrenti, è in fondo il vero problema (e forse, il motivo della crisi) del fumetto italiano.
 
La grande notizia del fumetto 2005? Senza dubbio quella più accademica: la laurea honoris causa che la cattedra di Scienze della Comunicazione dell’università “La Sapienza” di Roma (con la collaborazione dell’università del fumetto di Romics) ha consegnato a Sergio Bonelli, all’editore, allo sceneggiatore, al simbolo del fumetto italiano. E stato un avvenimento, un grande avvenimento. Che ha visto il mondo del fumetto, compatto, a omaggiare uno dei suoi maggiori protagonisti. E i professori Alberto Abruzzese e Mario Morcellini elogiare puntualmente e con argomenti precipuamente cattedratici la cultura popolare di Tex, Zagor, Mister No, Dylan Dog, Martin Mystère, Nathan Never, Magico Vento e di tutti gli altri, cioè del fumetto di successo italiano. Bonelli rappresenta uno dei pilastri dell’industria culturale italiana. E stato bello sentirlo ripetere nel corso di una cerimonia tanto solenne. Sergio Bonelli con la toga era uno spettacolo: emozionato come un bambino al primo giorno di scuola, un pesce fuor d’acqua felice di essere in quell’acquario. Ha ascoltato, ogni tanto dando segni di un allegro nervosismo, come se dovesse sostenere un esame conoscendone il felice esito. E poi, nel suo discorso, ha sventolato il suo libretto universitario che testimoniava appena un paio di prove, per niente brillanti, quasi il fumetto dovesse per sua scelta, quaranta e passa anni fa, rimanere fuori dalla cerchia degli intellettuali; e ha detto di poter accettare la laurea solo in quanto rappresentante del fumetto italiano, dei suoi autori ed editori, e di tutto ciò che questo (lui, il fumetto) ha passato nel corso della sua storia. Perché oggi una cerimonia del genere non desta scalpore più di tanto, ma ci pensate se qualcuno l’avesse pronosticato negli anni cinquanta, e anche fino a una decina di anni fa, quando le storie disegnate erano messe all’indice come le maggiori responsabili della delinquenza giovanile, quando le interpellanze parlamentari contro il fumetto erano un’abitudine, quando nelle sue vignette Bonelli doveva censurare pistole e donne scollate? Oggi il fumetto Bonelli appare al contrario qualcosa da preservare, un godimento della cultura alta, una specie da proteggere. Da una parte l’accademia si accosta e cerca di capire la cultura giovanile, dall’altra nel sentire comune i demoni che corrompono l’adolescenza vengono ricercati altrove: tv, videogiochi, telefonini, cartoni animati, considerati peraltro, non a caso, i responsabili del calo di vendite dei fumetti. Bonelli aveva previsto fin dagli anni settanta, nel suo ufficio, e con un cartello bene in vista, la fine del fumetto per colpa delle televisioni private. In fondo già così è andata meglio, molto meglio di quanto non immaginasse. E comunque senza dubbio oggi il fumetto italiano si trova in una situazione assai particolare, perché isolata rispetto al resto d’Europa, e soprattutto all’Europa che conta. Le vendite nelle nostre edicole calano, lentamente ma costantemente, mentre c’è un miglioramento tra gli scaffali delle librerie. Infatti anche alcuni grandi editori (tra cui Mondadori ed Einaudi) stanno facendo capolino con libri disegnati, anche grazie ai successi di «la Repubblica», poi ripresi da «Corriere della Sera», «Panorama» e «Sorrisi e Canzoni tv».
Così Bonelli è sempre più l’icona del fumetto italiano, ma solo italiano, non riuscendo più (perché le formule editoriali sono troppo diverse) a vendere i suoi personaggi nei paesi dei grandi numeri: in primo luogo la Francia, dove l’edicola, in confronto alla libreria, quasi non esiste. Oltralpe funzionano gli album e i manga. I primi grandi, belli, costosi e colorati; i secondi piccoli e in bianco e nero. Non funzionano gli albi “alla Tex”.
E Bonelli gli album non li ama affatto (li fece, a suo tempo, per la collana «Un uomo un’avventura», che fu soprattutto una grande operazione d’immagine). Questa situazione, più che preoccupante, è di stallo. Perché finora è stato così: gli italiani vogliono affezionarsi a un personaggio di cui leggere storie lunghe e frequentemente (una volta al mese, come, appunto, per gli albi Bonelli, ma anche quelli Eura, Star Comics o delle Edizioni If). I francesi invece vogliono maggiore varietà di titoli e l’evento, l’albo che arriva ogni anno, o anche di più, come è accaduto quest’anno per Asterix, o come avviene per una storia di Bilal, pubblicizzata con i manifesti per strada. Ed è inutile andargli a dire che qualche volta l’evento accade anche con l’albo mensile (quest’anno abbiamo visto Dylan Dog in Oltre quella porta, scritto da Paola Barbato, offrire la più incredibile e sorprendente delle sorprese finali, in una storia in cui si attende tutto il tempo di capire cosa stia davvero accadendo. O magari l’evento è un nuovo personaggio, come il Brad Barron di quest’ultimo anno). Niente. Sono proprio due maniere diverse di vivere il fumetto, e sembrano inconciliabili (per certi versi si tratta di una differenza simile a quella della periodicità televisiva dei cartoni animati: in Italia funzionano – o almeno sembra – se trasmessi tutti i giorni e non settimanalmente, come avviene invece negli Usa e in Giappone). Difficile prevedere come il fumetto italiano potrà uscire da questa impasse. Se non conoscessimo Bonelli potremmo consigliargli di provare a diversificare i suoi prodotti editoriali più di quanto già non faccia e di cercare in maniera diretta canali per la distribuzione libraria; di stringere accordi con editori stranieri accettando anche compromessi; di rinunciare alla purezza di cui tanto e giustamente è andato e va fiero, accogliendo qualche pagina pubblicitaria e proponendosi come editore multimediale: ma sarebbe pretendere l’impossibile. Mica per altro, ma perché Bonelli ha sempre cercato di difendere il suo modo di vedere il fumetto, perché ha fatto l’autore e l’editore (come fosse a capo di una grande famiglia di redattori, scrittori, disegnatori) soprattutto per una passione innata per il fumetto del dopoguerra, quando questo era popolare davvero (chissà se ora baratterebbe la sua laurea per ritornare ai tempi in cui il fumetto era bandito dalle pagine della cultura). A ogni modo, il problema del fumetto italiano non è il dottor Sergio Bonelli, ma il fatto che nessuno sia riuscito a fargli davvero concorrenza.
C’è anche il manga, a essere differente dalla formula Bonelli. Anche qui per una scelta di formula editoriale. Bonelli ama sempre di più le storie che si chiudono alla fine di un albo (o anche di due). I suoi personaggi, Tex compreso, devono comunque chiudere una vicenda prima di cominciarne un’altra. Anche così avranno il dono di rimanere immortali, vendite permettendo. Il manga, invece, ama la storia lunga, quella che va avanti indefinitamente (e in questo caso, ancor più che in quello italiano, le vendite influiscono sulla longevità della serie). Qualche anno fa in queste pagine segnalammo La storia dei tre Adolf di Osamu Tezuka, un manga lungo e straordinario di colui che è stato il primo grande autore di fumetti avventurosi in Giappone. Ma nell’ultimo anno è scoppiato il caso Naoki Urasawa. Un autore di cui Planet Manga ha pubblicato (e sta pubblicando) due romanzi a fumetti lunghissimi, infiniti: Monster e 20th Century Boy. Nel primo si racconta l’odissea di un chirurgo che un giorno ignorò l’ordine di un suo superiore e, per puro spirito umanitario, salvò un bambino. Le conseguenze di quest’azione l’autore le racconta in diciotto libri di duecento pagine ciascuno. Tremilaseicento tavole appassionanti, in cui il lettore avverte la gioia di Urasawa di mantenere sempre alto l’interesse nell’avanzare vignetta dopo vignetta, pagina dopo pagina. Non si tratta solo di tensione, di suspense, per quanto spesso i personaggi finiscano sull’orlo di un baratro, ma anche della capacità di costruire un mondo e di saper descrivere con cura, a volte strabiliante, architetture, atmosfere e personaggi di contorno. È il contesto a creare spesso situazioni dalle quali sembra non esserci alcuna possibilità di salvezza, anche se poi Urasawa sa creare quello scarto, quell’invenzione, dal quale partire per un’altra lunga fuga. Successivo a Monster è 20th Century Boy, ancora più complesso, perché qui protagonista è un gruppo, e la storia si dipana attraverso il confronto tra il passato adolescenziale e il presente (datato 1997). Il plot si sviluppa intorno a una misteriosa catena di omicidi senza motivo apparente e una setta, il cui simbolo era stato creato proprio tra i ragazzi di quel gruppo. I volumi pubblicati per ora sono otto, in attesa che Urasawa prosegua nella realizzazione di quest’altra opera monumentale che si legge, anche in Italia, da destra verso sinistra.
Un tempo c’erano le ristampe, quelle degli editori amatoriali. Si svilupparono negli anni settanta e andarono avanti per un bel po’, proponendo soprattutto gli eroi americani degli anni trenta, gli stessi che compratori ed editori avevano amato nella loro infanzia (e le cui collezioni di «Avventuroso», «Audace» ecc. si erano smarrite chissà dove). Negli ultimi dieci anni questo fenomeno si è andato spegnendo del tutto. Dei vari Mandrake, Uomo mascherato, Cino e Franco, Flash Gordon anche le ristampe cronologiche e anastatiche cominciano a essere roba da collezionisti. Eppure, a confermare un interesse sempre più vario verso il fumetto, Freebooks ha proposto quest’anno due ristampe eccezionali: il Krazy Kat di George Herriman e lo Steve Canyon di Milton Caniff. Krazy Kat è il personaggio umoristico famoso per venire colpito dal mattone del topo Ignatz: un fumetto assai complesso (spesso presentato come uno dei massimi capolavori della striscia disegnata) che da noi si era visto solo in alcuni «Linus» o in poche altre occasioni. Steve Canyon è famoso soprattutto perché Umberto Eco ne analizzò la prima tavola domenicale nel suo Apocalittici e integrati. E quella tavola appare nel primo volume dopo le sei strisce giornaliere che inaugurano la vita di questo secondo personaggio dell’autore di Terry e i pirati. Infine, la Coconino Press ha pubblicato un volume dedicato a Little Nemo, straordinario e onirico personaggio di Winsor McCay. Perché sono particolari e diverse queste ristampe, a confronto con quelle amatoriali di qualche tempo fa? Perché non sono legate alla memoria, alla nostalgia, al ricordo della Misteriosa fiamma della Regina Loana, ma, finalmente, solo al loro interesse e alla loro qualità.