Nero su nero

A passare in rassegna la batteria nostrana di autori di genere, accanto ai troppi esaltati ben al di là dei meriti, si scovano diverse penne sottovalutate nonostante un mestiere indubbio, che spesso ha poco da invidiare ai modelli d’oltreoceano. È quanto si può dire per un professionista solido ed efficace come Alan D. Altieri, già maestro del tecno-thriller, che con L’Eretico ha costruito un “romanzo storico d’azione” nerissimo, almeno quanto le tenebre in cui la critica sinora l’ha lasciato.
 
Turingia. Anno Domini 1630, 2 novembre, giorno dei Morti. Vento gelido, pioggia battente, immani corvi strepitanti sui cadaveri disseminati dalla Guerra dei Trent’anni e dalla peste. È allora che dalle nebbie fumanti emerge, «memento e incubo», un viandante a cavallo, avvolto in un mantello colore delle ombre. Chi sia costui, il lettore non lo scopre neppure al termine di L’Eretico, prima anta della trilogia di Magdeburg, con la quale Alan D. Altieri abbandona – ma solo in apparenza – il genere tecno-thriller, nel quale per un quarto di secolo ha offerto forse i migliori prodotti di fabbricazione italiana. Il nostro Tom Clancy infatti (che all’anagrafe fa Sergio Altieri) non è affatto americano, come persino diversi addetti ai lavori credono. Nato nel 1952 a Milano, vi si è laureato in ingegneria prima di prendere il volo per gli States, dove ha vissuto dai primi anni ottanta, lavorando per lo più in California, da un lato come traduttore e autore nella lingua natia, dall’altro come sceneggiatore in inglese, ad alti livelli (tra l’altro, è uno dei pochi membri italiani della Writers Guild of America). Forte di questo bagaglio, dopo il romanzo d’esordio, Città oscura (1981), Altieri ha innalzato una solida muraglia di pagine, facendo stampare una decina di tomi in genere sopra le trecento pagine, tra i quali vale la pena di estrarre L’uomo esterno (1989), tempestivo ritratto di una Milano tanto livida quanto corrotta, e Kondor (Premio Scerbanenco 1997), nel quale profetizzava l’irruzione nel Golfo Persico di tragedie belliche all’altezza di quelle che oggi riempiono le cronache.
Rispetto a libri simili, a ben guardare, in L’Eretico Altieri varia il luogo e il tempo dell’azione, ma resta fedele alla rappresentazione di un’umanità irrimediabilmente malvagia, immersa in una realtà violenta e desolante. Senza dire che il tema fondante dell’opera, una guerra senza fine e senza quartiere, in cui la religione è ridotta a pretesto per legittimare le peggiori sopraffazioni, con ogni evidenza vuole parlare ai nostri tempi. Per un altro verso, nel puntare sul medesimo Seicento dei Promessi Sposi e dei Tre moschettieri, la saga di Magdeburg tenta di dare consistenza a una variante sempre più affermata dell’action-thriller, ovvero a quello che si potrebbe definire “romanzo storico d’azione”, appena aromatizzato da un sospetto di fantasy. In quest’ottica, è significativo notare come Altieri per rinnovarsi guardi soprattutto ad alcuni esempi nazionali freschissimi, che tuttavia già agiscono da capostipiti anche oltre i confini della penisola: alludo naturalmente a Q di Luther Blissett e alla serie di Eymerich creata da Valerio Evangelisti. Meno ambizioso, meno complesso, ma altrettanto godibile e documentato di questi lavori (non manca in entrata una cartina della Nazione Germanica al tempo dell’azione), L’Eretico è un libro lineare, senza sfumature, più nero della pece, ben introdotto dall’angosciante Bosch che incendia la copertina.
Papisti contro luterani. Capitani di ventura, soldataglia d’ogni risma, bavosi inquisitori spagnoli, ottusi bottegai, streghe salvate in extremis dal rogo, badesse coraggiose, un misterioso osservatore francese, un ottico ebreo, un cardinale Colonna. Questi, in sintesi, i fili principali di un ordito destinato a convergere, nei prossimi volumi, nello scontro frontale tra il crudele principe cattolico Reinhardt von Dekken e il classico Montecristo, amaro e spietato, che si profila nel citato inizio. Si tratta di un eretico senza nome – in mandarino Wu Ming, per l’appunto – proveniente dalla misteriosa Terra delle Lacrime (l’estremo Oriente), provvisto di un corredo di sconcertanti tatuaggi e tecniche di combattimento letali, per le quali Altieri si ispira a un’altra misconosciuta firma italiana di genere, Stefano Di Marino, che ne ha fatto una specialità. Senza contare che l’idea di mettere in scena un indecifrabile guerriero ninja, in grado di maneggiare la daikatana con calma zen e precisione, rappresenta un tocco assai di moda, in omaggio alle ultime performance degli eroi di Quentin Tarantino. Altieri del resto è un autore da sempre piuttosto incline a una sorta di pulp scientifico, e se per l’occasione non può sbizzarrirsi con gli ultimi ritrovati della tecnologia mortifera, senza perdersi d’animo si volge alle armi dell’epoca – pappenheimer, daghe, moschetti, asce ecc. – per chiarire di volta in volta puntigliosamente modalità d’uso ed effetti strazianti sui corpi che le incontrano. Altro che cappa e spada, altro che i bravi! Basta l’epigrafe, tratta da un Vangelo apocrifo, a dare il tono dell’intero romanzo: «Nessuna carne verrà risparmiata».
E nessun respiro verrà concesso al lettore, nessun intermezzo ameno, nessun allentamento della tensione. In ogni pagina deve accadere qualcosa, come insegna Raymond Chandler, idolo indiscusso dell’autore (che di recente ne ha tradotto i racconti nel «Meridiano» Mondadori). Diramata su almeno quattro linee di azione, contemporanee e intrecciate tra loro, la narrazione è continuamente rilanciata a un ritmo forsennato, sostenuto da uno stile asciutto e plateale insieme, che non teme corsivi ed esclamazioni. Una maniera alla quale in verità avrebbe giovato qualche cambio di passo più deciso, poiché per esempio la giustapposizione enfatica di frasi brevissime, ormai dilagata nella pratica giornalistica, alla lunga finisce col mostrare la corda. Ma forse Altieri, come anni fa consigliava Luciano De Crescenzo, ha attivato nel computer un campanello che trilla ogniqualvolta il periodo superi le due righe.