Il paradosso dei classici viventi

Mentre le oltre settanta edizioni nazionali in corso assomigliano sempre più a un elogio dell’incompiuto filologicamente corretto, le varie forme di pubblicazione di «opere complete» di scrittori contemporanei sembrano muovere dal desiderio di intervenire su un canone novecentesco in via di definizione: ne risulta una ridefinizione del concetto di «classico», più fluida e soggetta a motivazioni culturali o commerciali, tra entusiasmi editoriali passeggeri e canonizzazioni in vita decretate dalla critica militante o dal mercato.
 
L’uscita (per Ex Cogita – ISBN edizioni), nel 2005, sotto il nome di Luciano Bianciardi e il titolo (quanto meno provocatorio) di L’antimeridiano (ma il sottotitolo è esplicito: «Opere complete. Volume primo») di un volume che raccoglie i romanzi, i racconti, e i diari giovanili dello scrittore toscano, suggerisce lo spunto per alcune riflessioni sulle «Opere complete» (che, va detto subito, non riguardano la lodevole iniziativa di riproporre la lettura di un autore ingiustamente dimenticato). Lo spunto avrebbe potuto essere dato – ma è di nuovo un esempio – dall’uscita, in brossura, per i Classici Bompiani, sempre nel 2005, del volume delle Lettere di Cesare Zavattini, che si propone come parte della più vasta pubblicazione delle opere dello scrittore (il volume per altro raccoglie due libri usciti separatamente, nel 1988 e nel 1995, con i titoli Una, cento, mille lettere e Cinquant’anni e più… per la cura, rispettivamente, di Silvana Cirillo e di Valentina Eortichiari).
Alla pubblicazione di «Opere complete» era tradizionalmente affidato, dalla comunità dei critici e degli studiosi di letteratura (e di conseguenza dei lettori colti e dell’editoria che a loro si rivolgeva), il compito di sottolineare l’avvenuta canonizzazione di un autore. In questo senso si muovevano le raccolte degli scrittori «classici» quando raccoglievano in uno o più volumi tutti gli scritti di chi era già stato promosso a «maggiore» (mentre i testi di autori considerati «minori» erano invece selezionati e quindi destinati ad antologie allestite per temi o per ambiti cronologici): sarebbe interessante esaminare, nelle diverse collezioni progettate e realizzate in tempi diversi, le ammissioni nel gruppo di chi ha il privilegio di tutte le «opere», e viceversa i declassamenti.
La canonizzazione era esibita al massimo grado in presenza di un’edizione nazionale: avviate per esaltare le glorie nazionali (in particolare negli anni trenta quando ogni «gloria» era ricondotta al «fascismo» e ai suoi meriti), molte edizioni nazionali si sono però trascinate stancamente di decennio in decennio, con lunghi periodi senza uscite e con passaggi da editore a editore via via che le case editrici hanno chiuso, hanno visto diminuire le risorse, hanno per varie ragioni rinunciato, tanto che oggi, nonostante le oltre 70 edizioni nazionali in corso, ben pochi, fuori della cerchia degli studiosi, sembrano accorgersi che esistano. Tutt’al più sono oggetto di ironie giornalistiche e isolati dibattiti: è emblematico il caso dell’edizione nazionale di Petrarca (sulla quale, in una polemica del 2000, l’ironia era di Armando Torno e la risposta decisa di Michele Feo), che, benché istituita per legge nel 1904, è ancora lontana dalla conclusione: sono usciti solo sette dei venti volumi previsti (il primo nel 1926, l’ultimo nel 1964). Senza insistere troppo sulle edizioni nazionali (nel 2001 sono state deliberate per i testi di San Giuseppe Cafasso, Luigi Capuana, Gaetano Donizetti, Ugo Spirito, per i diari di papa Roncalli, per i commenti danteschi e alcuni testi mediolatini), resta il fatto che l’edizione completa di tutte le opere diventa una sorta di monumento culturale eretto a uno scrittore, come nella grande iniziativa dell’Edizione nazionale ed europea delle Opere di Alessandro Manzoni, promossa dal Centro nazionale di Studi manzoniani con l’intento di dare «testi criticamente riveduti e commentati» (nel 2005 sono uscite le Postille al Vocabolario della Crusca nell’edizione veronese, a cura di Dante Isella).
Se l’intenzione delle edizioni nazionali è prima di tutto filologica, la pubblicazione delle «opere complete» di scrittori contemporanei sembra invece intrecciare due obiettivi: il desiderio di intervenire su un canone in via di definizione, occupando un proprio spazio nel vasto territorio dei «maggiori del Novecento», e l’investimento su un prodotto per il quale, soprattutto se l’autore è molto noto, si prevede una buona commerciabilità. Per quanto sullo sfondo (in vari casi molto sullo sfondo) ci sia anche un’attenzione filologica, sono dunque soprattutto riconoscibili intenti diversi: a volte prevale quello più culturale, a volte quello più commerciale.
Prima di approfondire il discorso, bisognerà distinguere tra collezioni che si intitolano «Opere complete di» e singoli volumi che, con lo stesso titolo, escono in una più vasta collana di classici. Limitando l’attenzione ai contemporanei, si deve constatare che molte delle collezioni nate per mettere a disposizione i testi dei «classici del Novecento» hanno vita piuttosto precaria: basti ricordare, a questo proposito i pur meritori, per qualità complessiva, «Classici contemporanei» Rizzoli, usciti, tra il 1991 e il 1997, con le opere dei soli Bilenchi, Landolfi, Meneghello, Soldati. Ancora più precarie le iniziative per un singolo autore: è emblematico il caso (vero e proprio «memento») delle Opere di Antonio Pizzuto, avviate nel 1968 dal Saggiatore di Alberto Mondadori, e interrotte nel 1972 dopo quattro titoli.
Nel complesso prevale comunque la frammentazione di molte proposte in singoli volumi (anche se in più tomi), che sembrano spesse dettate da scelte quasi casuali o da entusiasmi passeggeri degli «editori».
A questo punto il discorso è arrivato alla prevalenza delle ragioni dell’attualità su quelle dello studio, per cui l’intento non è soltanto quello di dare tutte le opere degli scrittori già canonizzati dal tempo, ma anche quello di proporre tutti i testi (almeno fino alla data della pubblicazione!) di autori ancora viventi, «canonizzati» dalla critica militante e dal mercato.
In una lettera del 21 gennaio 1947, delusa da una trattativa infruttuosa con Alberto Moravia perché cedesse i diritti dei suoi libri alla Mondadori, Alba de Céspedes scriveva ad Alberto Mondadori che la preferenza dello scrittore per Bompiani era dettata dalla promessa di avere presto la sua «opera omnia»: «L’Opera omnia a quarant’anni, permettimi, caro Alberto, che mi faccia un po’ ridere!». Il commento di de Céspedes può essere esteso a molte iniziative che hanno moltiplicato l’«opera omnia» di scrittori ancora in piena attività, creando il paradosso dei «classici viventi». Solo il tempo dirà se la definizione di «classico» – con il necessario spostamento dall’area commerciale a quella della critica letteraria e della cultura – potrà continuare a essere usata per molti di questi scrittori.