Librerie a catena

La libreria di catena incontra sempre più il favore di pubblico e investitori: le grandi dimensioni e la gestione centralizzata la rendono infatti particolarmente forte nei confronti dell’editore, e questo permette una politica dei prezzi decisamente attraente per l’utenza. Al rischio di omologazione, inoltre, la catena reagisce adattandosi strategicamente alle diverse psicologie dell’acquisto, in un proliferare di format diversi – Retail, Franchising, International, Express, Village, del centro storico, dell’aeroporto – nati per incontrare i nuovi tempi e modi della domanda di lettura.
 
Dove compriamo i nostri libri? Soprattutto in librerie di catena: una statistica pubblicata dal «Giornale della Libreria», nel gennaio 2006, vede la libreria di catena in testa alla hit parade dei punti vendita. L’indice di gradimento presenta poi, in ordine decrescente, libreria indipendente, supermercato, piccola libreria, libreria del centro commerciale, edicola. Insomma, anche se favorite dal periodo considerato (l’ultimo trimestre dell’anno: sotto Natale si vendono per lo più novità e bestseller da regalare), le librerie di catena piacciono, e piacciono pure, benché ai piani bassi della classifica, le librerie dei centri commerciali, superate per il momento dal reparto libri dei supermercati.
Ma che cos’è esattamente una catena di librerie, e come si riconosce? Per lo più si distingue dalla semplice serie di librerie di una stessa proprietà per il fatto di essere legata a un gruppo societario come una casa editrice o a un operatore della filiera distributiva. Eccezione notevole, ma che conferma la regola (soprattutto dopo il legame con Messaggerie Libri nel 1995), è Il libraccio, con 17 negozi. Ma poca cosa a paragone di Giunti al Punto, che ne conta oltre 130 e continua l’espansione! Tutte le librerie della catena obbediscono poi a una comune strategia di marketing, che prevede – secondo modalità specifiche da catena a catena – enfasi sull’esibizione del marchio, uniformità di arredi e layout, frequentemente una divisa per individuare gli addetti tra il pubblico, per mantenere il più possibile simili i negozi tra loro; il tutto allo scopo di renderne riconoscibile immediatamente l’identità.
Dal punto di vista dell’utenza, la facile riconoscibilità è proprio uno dei vantaggi: so che cos’è, so cosa ci posso trovare, so anche che cosa non ci posso trovare. Un bel risparmio di tempo, all’insegna del «vista una, viste tutte», che i detrattori del fenomeno pongono sotto il segno negativo della serialità spersonalizzante, ma che mostra anche aspetti rassicuranti: in un’altra città, con tutta probabilità sceglierò il già noto, rivolgendomi al marchio che mi è familiare. La catena può inoltre offrirmi sconti e promozioni, di entità impensabile in una libreria indipendente: il successo della catena risiede proprio nell’allettante politica del prezzo basso, inattuabile altrove. Ma c’è di più: se non trovo subito quello che cerco, il commesso mi può dire a quale altro negozio della catena posso rivolgermi, a colpo sicuro. Il che è anche un grande vantaggio per la proprietà della catena, che in questo modo non abbandona il cliente alla concorrenza e vende un libro sfruttando la giacenza, senza dover effettuare un nuovo ordine. Dunque, per il pubblico: vantaggio psicologico, vantaggio economico, vantaggio di efficienza nel servizio.
Dal punto di vista della proprietà, la gestione centralizzata degli ordini di decine di punti vendita riesce a strappare agli editori sconti che raggiungono il 50% del prezzo di copertina. Consideriamo che un libraio indipendente riesce a ottenere uno scarso 30%, e il vantaggio balza all’occhio: si capiscono in questo modo i prezzi bassi e le offerte, possibili su scala larghissima, esiziali per chiunque altro. Insomma, più la catena è grossa, più può alzare la voce con l’editore, che a sua volta cerca di non inimicarsela perché vuole vedere i suoi libri nel maggior numero di vetrine: un vero leviatano editoriale.
Il successo della catena viene illustrato da dati Bookshop Manager 2006 (la banca dati ufficialmente riconosciuta dall’Associazione Librai Italiani): il 40% degli acquisti si effettua in una libreria di questo tipo, ma solamente il 16% delle librerie italiane appartiene a una catena. Sempre Bookshop Manager conferma la buona situazione delle librerie nei centri commerciali.
Quali sono le catene maggiori? In ordine decrescente, Giunti al Punto, Mondadori franchising, La Feltrinelli, Paoline, Touring Club, Mondadori. La doppia presenza di Mondadori si spiega con l’esistenza di due società del gruppo, Mondadori franchising e Mondadori retail, che posseggono le due catene dell’insegna Mondadori. La soluzione franchising sembra però gradita solo a Mondadori, dal momento che non riguarda né Giunti né Feltrinelli. Forse perché il franchising può limitare l’esigenza «centralizzante» della gestione della catena, suo punto di forza, lasciando una eccessiva autonomia al libraio; ma qualcuno, per esempio Giunti, si muove comunque secondo strategie di valorizzazione delle peculiarità delle singole librerie, dal punto di vista della collocazione e del personale impiegato.
Ed è proprio l’esigenza di ammorbidire il centralismo della catena, sfruttando le opportunità commerciali di una moderata diversificazione che consideri il contesto del punto vendita, che sembra aver spinto Feltrinelli a strutturare i suoi negozi secondo una serie di format. Un format è una tipologia di punto vendita, pensata in funzione del soddisfacimento di certe esigenze e dell’inserimento in un certo contesto commerciale, tipologia che viene poi applicata ai singoli punti vendita. E interessante notare che il termine è mutuato dal linguaggio televisivo: format è un modello di programma, che ciascuna rete acquista e adegua in parte al gusto del pubblico che lo guarderà. Nel concetto è quindi iscritta un’idea di riconoscibilità nella molteplicità che si ottiene, in libreria, attraverso l’attribuzione, a un gruppo di negozi, di una loro differenza specifica, che non oblitera l’identità principale, ma la articola in funzione del soddisfacimento di esigenze contestualizzate.
Il caso più chiaro è quello di Feltrinelli International, la più antica diramazione (nasce nel 1990 a Bologna), caratterizzata per il vasto assortimento di titoli stranieri in lingua originale e, guarda caso, presente nei centri storici delle grandi città, per venire incontro alla sempre più fitta presenza di stranieri e alle necessità di informazione di coloro che, con gli stranieri, interagiscono. Ma il format Feltrinelli di maggior vivacità e interesse è Village. Si tratta di un modello di libreria pensata per essere collocata all’interno di un centro commerciale, secondo un’idea nata nel 2002 e rapidamente concretizzatasi in una trentina di negozi, all’interno di altrettanti centri commerciali. Il format Village accoglie anche musica e prodotti di cartoleria, e mantiene un assortimento di titoli decisamente inferiore rispetto alla tradizionale libreria Feltrinelli. Presuppone pertanto un’utenza diversa da quella consueta, a essa non sovrapponibile, e predisposta a un acquisto più dettato dall’impulso e maggiormente sensibile alla novità pubblicizzata o al prodotto d’evasione. La presenza di cartoleria e di un’area per bambini apre poi la libreria alle famiglie, che il centro commerciale lo frequentano assiduamente: insomma nel format si applica un concetto di «specializzazione» che non riguarda tanto il contenuto dei libri, ma si sviluppa attorno a un modello di comportamento, a una psicologia dell’acquisto.
Ma non è solo Feltrinelli ad aver captato la potenzialità del centro commerciale: Giunti e Messaggerie stanno lavorando nella stessa direzione, e l’idea è sembrata particolarmente interessante anche a Coop, che ha lanciato nel 2006 il progetto Librerie Coop, vale a dire una catena di librerie inserite, tra l’altro, in centri commerciali.
Siamo di fronte a una vera tendenza? Le catene si stanno muovendo alla conquista del centro commerciale. Il successo dell’idea è dovuto forse alla riduzione del bene librario allo stesso livello degli altri beni di consumo, nella particolarità del contesto – la libreria «normale» intimidisce il consumatore medio? – e alla graduale trasformazione delle librerie in luoghi-non luoghi del consumo, secondo l’introduzione nel mercato del libro di un modello insieme familiare e neutro, che attrae i lettori per la sua riconoscibilità, ma che sa anche adattarsi funzionalmente al contesto in cui si colloca e alla tipologia di acquisto della sua utenza, sulla falsariga di quello che già accade con le altre grandi catene commerciali.
Il legame tra libreria e centro commerciale non è che un aspetto della sempre più evidente presenza del libro nei luoghi di passaggio. Ancora una volta è Feltrinelli, con un preciso format, Feltrinelli Express (la prima è stata aperta nella stazione di Porta Garibaldi a Milano), a individuare una specificità del luogo: scaffali ad altezza d’uomo, poche categorie e ben indicate, prodotti paralibrari (lettori mp3, occhiali pieghevoli ecc.), tutto per aiutare un acquisto veloce mentre il mio treno è in ritardo. Che poi è la stessa idea di Giunti al Punto, presente in aeroporti e porti, oltre che in centri commerciali e, tradizionalmente, nei centri storici: come dice Roberto Tattini (responsabile commerciale di Giunti al Punto), «l’esperienza insegna che allargare il mercato significa portare il libro nei luoghi dove si può intercettare il pubblico dei potenziali clienti e lettori».
Se dunque il lettore non va in libreria, la libreria va dal lettore. E lo in-catena.