Il segmento intermedio tra lettori forti e deboli

Il segmento delle persone che leggono dai due ai dieci libri l’anno rappresenta la scommessa per la crescita stabile del mercato complessivo dei lettori. E un pubblico già «contaminato» dalla lettura, potenzialmente più attirabile da campagne di promozione mirate sui consumatori di prodotti culturali. Ai canali di vendita è affidata la capacità di identificare e servire questo mercato: ma di che cosa parliamo quando chiamiamo «libreria» modelli gestionali molto diversi e con diversi livelli di concorrenza interna?
 
Nella produzione libraria 2006 sulla gestione delle aziende editoriali, due opere meritano di essere evidenziate: la prima raccoglie la testimonianza di una personalità chiave per l’editoria italiana, Romano Montroni (Vendere l’anima. Il mestiere del libraio, Laterza); la seconda è un saggio di una sociologa americana (Reluctant Capitalist di Laura Miller, University of Chicago Press).
Si tratta di due testi molto diversi fra loro per impostazione e struttura, ma che hanno un elemento in comune: entrambi parlano di librerie e del loro cambiamento di ruolo. Entrambi ci portano a riflettere su un anello della filiera editoriale tradizionalmente tenuto in secondo piano rispetto all’editore, nonostante assorba una porzione importantissima del costo di un libro. Entrambi, pur non essendo scritti da economisti, mostrano con chiarezza le diverse logiche economiche che governano modelli distributivi diversi. Entrambi ci portano a considerare come diversi modelli distributivi siano governati da logiche gestionali diverse, come la competizione fra logiche gestionali porti alla dominanza di alcuni modelli rispetto ad altri e come la presenza di modelli gestionali di maggiore successo condizioni l’evoluzione dei mercati, nello specifico quello editoriale. Detto in altre parole, entrambi i libri ci fanno riflettere su come l’evoluzione della filiera editoriale sia condizionata dalle fortune dei modelli distributivi dominanti.
Siamo abituati a considerare la libreria il canale di riferimento del settore, una sorta di spazio competitivo a sé rispetto al quale gli altri canali si confrontano; siamo anche abituati a pensare che la distribuzione giochi un ruolo ancillare rispetto alla produzione. E l’editore, si ritiene, che governa le leve di gestione dei libri e che si assume il rischio imprenditoriale connesso alla loro pubblicazione. Obiettivo di queste pagine è dimostrare invece che la distribuzione gioca un ruolo fondamentale nel condizionare le sorti dell’attività libraria, e che chiamiamo con il nome di libreria modelli gestionali molto diversi fra loro e con diversi livelli di concorrenza interna. E quindi, in ultima istanza, che i destini del libro sono molto legati ai destini dei diversi modelli di punti vendita.
Per argomentare il ragionamento senza cadere in eccessivi tecnicismi è inevitabilmente necessario fare un po’ di generalizzazioni sul profilo dei punti vendita di libri, sulle caratteristiche della produzione editoriale e su quelle del mercato.
Immaginiamo di voler sistemare diversi modelli di punti vendita di libri in uno spazio che si colloca all’interno di due visioni estreme:
– da una parte il venditore di libri è un puro intermediario: dispone la sua merce, la promuove, gestisce al meglio approvvigionamenti e logistica, è guidato solo da logiche di efficienza e di massimizzazione del risultato economico. Il criterio principale seguito nella selezione dell’assortimento è la massimizzazione della rotazione a scaffale; spazio e assortimento sono necessariamente limitati;
– dall’altra parte il venditore di libri è un operatore culturale, oltre che economico: sceglie, consiglia, guida il processo di scelta del lettore e lo orienta nella produzione editoriale, pur lasciandogli un’ampia scelta individuale. La massimizzazione del risultato economico è più un vincolo di funzionamento che un obiettivo; la gestione dei titoli è più onerosa, perché l’assortimento è più ampio e meno profondo. La rottura di stock è la sfida gestionale maggiore.
 
Anche la produzione editoriale può essere classificata all’interno di due estremi:
– da una parte, pochissimi titoli sono tirati in un numero molto elevato di copie, prodotti in una grande varietà di formati e venduti capillarmente; la loro gestione richiede risorse finanziarie adeguate, attenzione forte agli aspetti di promozione e di logistica, soprattutto in fase di lancio. Si tratta di titoli che tutti conoscono e di cui tutti parlano e che spesso sono parte di un sistema di offerta più ampio e articolato;
– dall’altra, la stragrande maggioranza dei titoli ha tirature molto contenute e richiede una attenzione meno incalzante e distribuita lungo tutto il ciclo di vita del prodotto. Alcuni di questi titoli hanno elevata notorietà e impatto ma su segmenti di mercato molto ristretti; altri sono destinati a restare nell’oblio, altri ancora rappresentano esperimenti di un percorso di crescita dell’autore alla ricerca del suo mercato.
I titoli che appartengono alla prima categoria sono a evidenza fonte di fatturati molto elevati per tutti gli anelli della filiera e offrono al punto vendita l’opportunità di massimizzare il tasso di rotazione, ma non sono necessariamente i più redditizi; inoltre, la presenza di barriere elevate per i titoli ad alta tiratura non significa che questi rappresentino un’isola felice; la disponibilità di ingenti risorse per finanziare tirature e campagne promozionali impensabili per la media del settore è condizione necessaria ma non sufficiente per appartenere al clan dei titoli più visibili. Ancora, il processo che porta un titolo a entrare nella categoria «visibili e rumorosi» è spesso lungo e imprevedibile. Sono pochi i titoli che nascono bestseller: più spesso un autore si afferma progressivamente e uno dei suoi titoli a un certo punto «buca» le classifiche di vendita, generando graditi effetti di trascinamento.
 
Infine, lo stesso esercizio può essere condotto per descrivere l’affaticato mercato dei lettori:
– da una parte vi sono i lettori che leggono uno o due libri l’anno;
– dall’altra quelli che ne leggono più di uno al mese.
È importante notare che il mercato – nonostante il miglioramento dei livelli di benessere, alfabetizzazione e tempo libero – non cresce in modo stabile, segno evidente di una fatica degli operatori a educarlo, coltivarlo e in ultima istanza capirlo, oltre che naturalmente della crescita nel numero e nell’importanza dei prodotti sostitutivi. Anche il recente terremoto prodotto dalle vendite di libri abbinati ai quotidiani potrebbe portare, a livello aggregato, una modifica relativa delle posizioni dei diversi attori più che un allargamento stabile delle dimensioni del mercato.
Il posizionamento dei diversi punti vendita si gioca nell’incrocio di queste tre dimensioni; in prima battuta può sembrare che canali diversi occupino spazi ben differenziati all’interno di uno spazio competitivo così brevemente delineabile: le edicole, gli autogrill, la grande distribuzione da un lato a proporre in modo capillare i titoli «visibili e rumorosi» e le librerie generaliste dall’altro, che servono tutto il resto del mercato.
In realtà, le cose non stanno così: la crescita delle catene di librerie e delle superlibrerie da una parte e l’aumento delle superfici destinate ai libri in grande distribuzione dall’altra hanno portato due modelli gestionali – nati su premesse diverse – a confrontarsi in modo diretto e a competere sul segmento di mercato che rappresenta ad oggi la scommessa per la crescita stabile del mercato complessivo dei lettori: quello delle persone che leggono dai 2 ai 10 libri l’anno. Il segmento dei deboli lettori infatti è molto ben presidiato sia dagli editori sia dai canali, in termini di produzione, promozione e distribuzione; lo stesso vale per i forti lettori, per i quali vi è una ricca offerta in termini di titoli e marchi editoriali, canali di promozione e di vendita. Il segmento intermedio invece è al contempo presidiato da tutti e da nessuno; la sterminata offerta editoriale, la varietà di titoli presenti anche nei punti vendita più piccoli o che propongono una selezione molto ristretta è più che sufficiente per permettere ai lettori deboli di trovare un titolo in più da leggere; parimenti, l’assortimento e le caratteristiche fisiche di qualsiasi libreria tradizionale sono ormai tali da attirare anche lettori da 7-8 libri all’anno. Al tempo stesso, però, i lettori potenzialmente robusti presentano bisogni propri, in particolare di orientamento e di promozione, che non sono al centro della caratterizzazione del sistema di offerta di alcun editore né di alcun modello distributivo in particolare.
È utile e importante lavorare su questo segmento di mercato per diversi motivi: è un segmento numericamente interessante, che già si è avvicinato alla lettura e quindi meno costoso da attirare rispetto all’area dei non lettori, ha un potenziale di ritorno marginale sull’investimento maggiore rispetto a quello di un forte lettore. Le prospettive di ritorno economico per editori e canali, lavorando su questo segmento, sono quindi interessanti. E un segmento che è già stato contaminato dalla lettura, quindi potenzialmente più attirabile da campagne di promozione mirate sempre meno sui consumatori di beni di largo consumo e sempre di più sui consumatori di prodotti culturali; lavorare con successo su questo segmento di mercato significa far crescere il mercato in modo stabile.
E la distribuzione e non la produzione ad avere più cartucce a disposizione per raggiungere e fidelizzare questo segmento di mercato: gli editori hanno fatto moltissimo in questi anni per aumentare il valore di segnalazione di tutte le parti del libro e per comunicare a che tipo di lettore si rivolgono (basti pensare all’organizzazione dei cataloghi, alle copertine, alle collane, alle quarte di copertina), ma hanno il grosso problema di essere «fisicamente» lontani dai lettori. E quindi la capacità di identificare e servire il mercato dei lettori da due a dieci titoli l’anno è affidata ai canali.
A oggi tre sembrano essere i modelli distributivi di elezione per questo mercato: l’edicola, le catene librarie e la grande distribuzione. Non ho visto dati, ma sospetto che l’edicola abbia giocato il prezioso ruolo di evidenziare l’esistenza di questo segmento di mercato e di averne messo in luce le dimensioni e il potenziale, purtroppo poco sfruttato dagli editori e dagli altri canali. Le catene, le superlibrerie e le grandi superfici appaiono i canali più adatti a rivolgersi in modo stabile a questo segmento e c’è da aspettarsi che su di esso concentreranno i loro sforzi di analisi, di promozione e di comunicazione. Se gli sforzi saranno coronati da successo, dobbiamo aspettarci un aumento della concorrenza diretta fra questi due attori, ma anche un loro rafforzamento relativo all’interno della filiera editoriale. Ciò significa che gli editori dovranno confrontarsi con intermediari più aggressivi; la scommessa e la speranza è che questo si accompagni però a una reale crescita del mercato.