I diritti negli archivi

I pareri di lettura di Leonardo Sciascia, i carteggi di Italo Calvino. Gli archivi editoriali conservano progetti realizzati e progetti rimasti nel cassetto, dati di vendita e diffusione, disegni originali, manoscritti e inediti: un patrimonio di documenti che rappresentano l’intera attività editoriale e costituiscono la testimonianza dei rapporti intrattenuti dagli editori con gli autori e i funzionari. Ma l’interesse e lo sfruttamento di tali informazioni deve confrontarsi con la disciplina di tutela degli archivi editoriali come beni culturali e con l’evoluzione della dottrina e della giurisprudenza sulla protezione del diritto d’autore.
 
Gli archivi storici come «beni culturali»
Il lemma «archivi», al solito, fa accapponare la pelle alla maggior parte dei profani, che vi associano quasi automaticamente luoghi desolati e mesti, popolati di timidi occhialuti: in un’ipotetica classifica dei luoghi della sfiga professionale, solo gli uffici del catasto possono competere ad armi pari per il titolo di worst place of work.
Nel caso in cui gli interlocutori siano meno prevenuti, il termine viene associato agli Archivi di Stato o, comunque, agli archivi storici delle Regioni e degli altri enti pubblici territoriali, deputati a raccogliere i documenti di produzione dei relativi organi o i documenti di proprietà privata depositati presso gli Archivi di Stato o negli archivi degli enti pubblici, o, altrimenti, a tali enti donati, venduti, lasciati in legato o in eredità.
Visioni limitate, in entrambi i casi, dacché la nozione giuridica di archivio, nella sua specificità e nel senso poco sopra inteso, non è di recente elaborazione all’interno dei testi normativi che dettano la disciplina dei beni archivistici, da un lato, e dei beni culturali, dall’altro; categorie che si confondono di sovente, alla luce della fiammata di rinnovato interesse, di natura schiettamente economica, per lo sfruttamento di qualunque forma di content repository e per le quotazioni record registrate in vari settori dei mercati dei beni da collezione, che nel giro di dieci anni hanno fatto segnare impressionanti crescite dei valori medi, un dato che ha ringalluzzito le pretese di autori, eredi e titolari dei diritti connessi.
 
Gli «archivi editoriali»
I maggiori appetiti hanno riguardato gli «archivi editoriali», un combinato disposto che identifica quell’eterogeneo insieme di documenti, scritti, disegni, bozzetti, immagini e registrazioni fonografiche e videografiche, raccolto dagli editori librari nel corso della storia delle case editrici, a decorrere dalla loro fondazione. Tali archivi conservano carteggi tra autori ed editori, pareri di lettura, dati di vendita e diffusione, progetti realizzati e progetti rimasti nel cassetto, disegni originali, manoscritti e testi inediti, e così via: una vera miniera per i sempre più affamati content providers nazionali e internazionali. I contenuti conservati negli archivi librari rappresentano dunque l’intera attività editoriale e costituiscono la testimonianza dei rapporti intrattenuti dagli editori con vari soggetti, quali, per esempio, gli autori (che siano stati pubblicati o no dalla casa editrice), i loro familiari e stretti congiunti (lesti a tramutarsi in pretenziosi eredi), il pubblico dei lettori e la critica. Ma non solo; gli archivi editoriali contengono tutta una serie di documenti propri dell’autore, tra cui i carteggi, i disegni, le fotografie e gli scambi di corrispondenza con altri autori e così via, entrati in possesso delle case editrici per le ragioni più disparate, quali per esempio il fatto che l’autore prestasse per la casa editrice una collaborazione editoriale, come è avvenuto nel caso di Leonardo Sciascia e la casa editrice palermitana Sellerio. Leonardo Sciascia è «editor» della casa editrice Sellerio dal 1969 al 1989. Elvira Sellerio decide di pubblicare un libro nella collana «La Memoria» contenente tutti gli scritti di Sciascia per la maggior parte non firmati e destinati a servire alla sola attività della casa editrice, come i «risvolti», le «avvertenze editoriali», i «segnalibri», le «introduzioni» alle varie antologie, gli «appunti» e le «corrispondenze». Il libro è il prodotto di una vera indagine documentale d’archivio costituita dalla ricerca e selezione di tutta la mole di scritti prodotti da Sciascia per la casa editrice Sellerio (Leonardo Sciascia scrittore editore ovvero la felicità di far libri, 2003).
Si tratta spesso di giacimenti ricchissimi, contenenti le corrispondenze interne ed esterne delle case editrici, le corrispondenze epistolari, memorie familiari e personali, scritti della vita privata e personale e professionale dell’editore e degli autori, carteggi, disegni e schizzi, diari, appunti, tavole, cartelloni, locandine, bozze autografe, resoconti, schede e pareri di lettura, fotografie e registrazioni video e audio, testimonianze e interviste, cartelle di lavorazione di scritti inediti e pubblicati, articoli e ritagli di giornale, recensioni e documenti amministrativi, libri contabili, bilanci, contratti della casa editrice.
 
«Archivi editoriali» e diritti d’autore
Ma il recente interesse per lo sfruttamento di tali riserve ha ovviamente suscitato appetiti e polemiche, dacché la protezione degli archivi editoriali come beni culturali si è dovuta spesso confrontare con l’evoluzione della dottrina e della giurisprudenza sulla protezione del diritto d’autore, accordata ai contenuti degli archivi correnti degli editori e degli archivi storici che custodiscono documenti comunque protetti dal diritto d’autore, seppur sottoposti anche alla tutela come beni culturali.
Come è generalmente noto, i diritti economici d’autore, ovvero i diritti esclusivi di utilizzazione economica dell’opera, conferiscono all’autore (e ai suoi congiunti, nel caso di autore non più in vita), o comunque al titolare dei diritti a titolo derivato (come per esempio all’editore), una remunerazione economica, sotto forma di compenso, per lo sfruttamento di uno o di più diritti economici relativi alla medesima opera.
Più precisamente, con il contratto di edizione i diritti economici d’autore sono trasferiti dall’autore all’editore. Il contratto di edizione rappresenta «il contratto con il quale l’autore concede a un editore l’esercizio del diritto di pubblicare per le stampe, per conto e a spese dell’editore stesso, l’opera dell’ingegno» (art. 118, Legge sul diritto d’autore), il cui oggetto è il trasferimento di «tutti i diritti di utilizzazione dell’opera che spettano all’autore nel campo dell’edizione, o taluni di essi, con il contenuto e per la durata che sono determinati dalla legge vigente al momento del contratto» (art. 119, comma 1 Legge sul diritto d’autore), non comprendendo «i futuri diritti eventualmente attribuiti da leggi posteriori, che comportino una protezione del diritto di autore più larga nel suo contenuto o di maggiore durata» (art. 119, comma 3 Legge sul diritto d’autore). L’autore dell’opera ha diritto di percepire un compenso dall’editore costituito da «una partecipazione, calcolata, salvo patto contrario, in base a una percentuale sul prezzo di copertina degli esemplari venduti» (art. 130 Legge sul diritto d’autore).
Ciò detto, per quanto riguarda il trasferimento dall’autore all’editore delle singole facoltà esclusive di natura economica, l’art. 19 della Legge sul diritto d’autore prescrive il principio della reciproca indipendenza dei diritti, nel senso che l’esercizio di uno dei diritti esclusivi d’autore non esclude l’esercizio esclusivo di ciascuno degli altri diritti. La Legge sul diritto d’autore ribadisce tale principio quando prevede che l’alienazione di uno o più diritti non implica, salvo patto contrario, il trasferimento di altri diritti che non siano necessariamente dipendenti dal diritto trasferito (art. 119, comma 4 Legge sul diritto d’autore) e quando prescrive che la cessione di uno o più esemplari dell’opera non comporta, salvo patto contrario, la trasmissione dei relativi diritti di utilizzazione (come il diritto di riproduzione).
L’editore non può trasferire a terzi i diritti acquisiti, salvo espressa pattuizione in tal senso nell’ambito del contratto di edizione. Nella prassi gli editori sono soliti introdurre nei propri standard contrattuali clausole che riconoscano all’editore tale facoltà unitamente al diritto per l’editore di cedere l’intero contratto.
Così per esempio il contratto di edizione può potenzialmente coprire, solo in parte, i diritti economici riferiti al contenuto dei fondi archivistici: non sempre il possessore, a diverso titolo, di un fondo archivistico o di un intero archivio, è anche il titolare di tutti i diritti di sfruttamento economico relativamente ai contenuti del fondo o dell’archivio.
Nel caso degli archivi editoriali correnti, l’editore dovrà quindi premurarsi e assicurarsi che i diritti sui materiali prodotti da terzi, nel corso della storia della casa editrice (si pensi solo agli articoli di un giornale che pubblica periodicamente recensioni di libri o alle fotografie degli autori scattate non in occasione di pubblici eventi o ancora alle copertine di libri non oggetto di cessione a favore dell’editore), siano stati oggetto di cessione a favore dell’editore da parte di detti terzi.
Allo stesso modo, nei casi sopra descritti in cui i diritti su alcuni contenuti archivistici non siano stati oggetto di cessione a favore dell’editore, i relativi diritti di sfruttamento economico dei documenti, ove protetti dal diritto d’autore, permangono in capo all’autore e ai suoi aventi causa (come nel caso dei congiunti di scrittori non più in vita, per esempio).
Quanto, invece, ai diritti morali d’autore, come il diritto alla paternità dell’opera (ovvero il diritto dell’autore di rivendicare la paternità dell’opera), il diritto dell’autore a rivelarsi come tale (diritto dell’autore di un’opera anonima o pseudonima di rivelarsi e di far conoscere la sua qualità di autore) o ancora il diritto all’integrità dell’opera (ovvero il diritto di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altre modificazioni e a ogni atto a danno dell’opera che possono essere di pregiudizio al suo nome o alla sua reputazione), o ancora il diritto di ritirare l’opera dal commercio (a seguito della cessione all’editore dei diritti di pubblicazione dell’opera, l’autore ha sempre il diritto di chiedere il ritiro dell’opera dal commercio quando concorrono gravi ragioni morali) o il diritto di inedito (cioè il diritto dell’autore di opporsi alla prima pubblicazione dell’opera), tutti questi diritti cosiddetti «personali», anche qualora i diritti economici sui materiali archivistici siano stati trasferiti dall’autore all’editore, permangono in capo agli autori (e ai loro congiunti, nel caso di autori non più in vita).
In particolare, l’autore manterrà il diritto a che il documento in archivio, quanto alla sua creazione e paternità, sia a sé attribuito; il diritto a che il documento non sia oggetto di «tagli», «adattamenti» e «modifiche» che possano recare pregiudizio all’autore; il diritto a che quel documento non sia mai pubblicato oppure, qualora pubblicato, non sia attribuito all’autore che intende rimanere anonimo o sotto pseudonimo.
L’archivio di una casa editrice, inteso come banca di dati ovvero come «raccolta di opere, dati o altri elementi indipendenti tra loro sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo» può, inoltre, costituire oggetto di protezione come banca di dati, qualora ricorrano i requisiti di protezione previsti dalla Legge sul diritto d’autore. La tutela dell’archivio come banca di dati non si estende, tuttavia, al suo contenuto (opere, documenti e altri materiali) lasciando quindi impregiudicati i diritti esistenti su detto contenuto.
Inoltre, le corrispondenze epistolari, gli epistolari, le memorie familiari e personali e gli altri scritti della medesima natura, allorché abbiano carattere confidenziale o si riferiscano alla intimità della vita privata, non possono essere pubblicati, riprodotti o in qualunque modo portati alla conoscenza del pubblico senza il consenso dell’autore, e trattandosi di corrispondenze epistolari e di epistolari, anche del destinatario.
Dopo la morte dell’autore o del destinatario occorre il consenso dei congiunti (coniuge e figli e, in loro mancanza, genitori e altri ascendenti e discendenti diretti; mancando gli ascendenti e i discendenti, fratelli e sorelle e loro discendenti).
E rispettata, in ogni caso, la volontà del defunto quando risulti da atto scritto. Tutto ciò vale anche per le corrispondenze epistolari che costituiscono opere tutelate dal diritto di autore e anche se cadute in dominio pubblico. Le regole poco sopra menzionate non si applicano invece agli atti e alle corrispondenze ufficiali o agli atti e corrispondenze che presentano interesse di Stato. Così, per esempio, la giurisprudenza ha affermato, nel noto caso di Calvino contro la Società Mondadori editore (Tribunale Milano, 13 settembre 2004), che è illegittimo riprodurre, pubblicare e utilizzare, anche in via telematica, brani tratti dalla corrispondenza epistolare di una persona deceduta nel caso in cui essa rivesta carattere confidenziale e abbia a oggetto la sfera privata dei sentimenti, in assenza di consenso dei congiunti dell’autore (fattispecie nella quale un giornale a tiratura nazionale aveva pubblicato dei brani tratti dalle lettere inviate da Italo Calvino a Elsa De Giorgi).