Il libro italiano non è poi così debole

Contrordine, compagni: non è vero che in Italia si legge molto meno che nel resto d’Europa. Almeno, non è più così vero. Analizzando in modo congiunto le diverse fonti disponibili emerge una situazione variegata, dove la posizione di debolezza della lettura italiana appare più sfumata e collegata a diverse specificità sia della situazione sociale sia dell’articolazione produttiva del nostro paese. Nell’insieme, un panorama meno distante dal contesto europeo di quanto spesso appaia dalle percezioni poco documentate. Con una significativa eccezione: da noi non si leggono «libri utili».
 
Esiste tra gli addetti ai lavori dell’editoria libraria la diffusa percezione di una grande debolezza del libro in Italia rispetto agli altri paesi europei, sia in termini di lettura sia di produzione. Un limitato numero di forti lettori sarebbe responsabile di gran parte degli acquisti di libri, con una domanda sostanzialmente rigida rispetto al prezzo, e gli editori poco potrebbero fare per aumentare i consumi o allargare il bacino dei lettori. Si tratta di un quadro che era ragionevolmente vero negli anni settanta e ottanta, ma che nel frattempo si è trasformato e che continua a evolvere.
Analizzando in modo congiunto le diverse fonti disponibili emerge un panorama più variegato, dove la posizione di debolezza della lettura italiana appare più sfumata e collegata a diverse specificità sia della situazione sociale sia dell’articolazione produttiva del nostro paese.
Per la maggior parte dei paesi per cui sono disponibili delle informazioni il numero di libri acquistati per abitante è di circa 5-6 l’anno. Vi sono valori più bassi come in Portogallo (2,6) e Svezia (3,6) o punte più alte come in Francia (6,9). Considerando nell’insieme l’area europea il valore rimane stabile negli anni e il libro non sembra aver perso terreno a favore di altri prodotti culturali o mezzi d’intrattenimento.
Secondo l’indagine P.I.S.A. (P.I.S.A., lnternational Adult Literacy and Life Skills Survey, Oecd, Paris, 2000), che usa survey con metodologie simili nei diversi paesi e quindi facilita le comparazioni internazionali, il 16% degli maschi italiani adulti e il 25% delle femmine leggono libri ogni giorno. Il valore è analogo alla Norvegia e alla Finlandia, superiore al Belgio, ma inferiore alla Germania e alla Svizzera.
D’altra parte il fatturato dell’industria libraria per abitante nel 2005 era in Italia di 73 euro, ragionevolmente allineato con i 79 euro della Francia e della Germania ma certo più basso dei 103 euro annui del Regno Unito, dove però va considerata la quotazione della sterlina.
Il reddito e il grado di istruzione sono due tra i fattori più importanti per spiegare il tasso di lettura. A partire dagli anni sessanta in Italia sono cresciuti sia l’uno che l’altro, contribuendo nei decenni successivi a una rincorsa rispetto agli altri paesi europei dei consumi culturali, e tra questi anche della lettura. Infatti tra il 1980 e il 2000 la percentuale di coloro che leggono almeno un libro annuo sul totale della popolazione è cresciuta in Italia di 16 punti rispetto a una sostanziale stabilità della Francia o ai 7 punti della Germania, che partivano da livelli più elevati. Va detto peraltro che non sono disponibili, neppure a livello internazionale, analisi comparate sulle determinanti dei consumi della lettura di libri.
Negli ultimi anni i divari con gli altri paesi europei negli indicatori economici e sociali di base, che contribuivano a determinare il minor livello di lettura italiano, si sono in gran parte colmati, ma nei consumi culturali permane una certa distanza per effetto della grande inerzia che li caratterizza, e della maggiore complessità dell’offerta di prodotti e di mezzi di comunicazione che favorisce una più alta dispersione.
Pertanto il principale indicatore utilizzato nel settore per valutare la domanda, ossia la percentuale di chi legge almeno un libro l’anno, ancora nel 2001 (ultimo anno in cui è disponibile una rilevazione Eurostat comparabile per i vari paesi europei) era più basso in Italia che negli altri paesi europei. Solo il 50% degli italiani leggeva un libro l’anno, rispetto al 59% della Germania, al 75% del Regno Unito e al 57% della Francia. Tra i grandi paesi solo la Spagna mostra un livello leggermente inferiore. Sebbene negli anni successivi il tasso di lettura italiano sia ulteriormente cresciuto, rimane un certo divario con i paesi europei più avanzati.
Ci sono diversi fattori che possono spiegare il permanere di questa differenza.
Innanzitutto il basso livello di istruzione che ancora caratterizza la popolazione italiana. Solo il 51% degli adulti (25-64 anni) ha almeno un diploma di scuola media superiore contro l’83 % in Germania, il 71 % nel Regno Unito e il 67 % in Francia. Sebbene da almeno tre decenni il tasso di scolarità delle singole coorti di giovani sia sostanzialmente equivalente a quello degli altri paesi europei, permane nello stock di popolazione l’effetto della bassa scolarità protrattasi fino agli anni sessanta. Il dato è confermato da una rilevazione sull’alfabetizzazione condotta dall’Oecd nel 2001, secondo la quale oltre un terzo della popolazione italiana non è in grado di comprendere un facile testo scritto. È l’analfabetismo culturale che colpisce tutti i paesi avanzati, ma che in Italia raggiunge livelli più elevati, addirittura il 52% della popolazione tra i 55 e i 65 anni. Se si considera anche la popolazione italiana al limite dell’illetteratismo risulta che oltre 25 milioni di adulti (pari al 65 % del totale) incontrano forti ostacoli culturali al consumo di libri (L’industria libraria: il mercato italiano a confronto con gli altri grandi mercati europei, Simmaco Management Consulting, Milano, 2007). Il rapporto tra scolarità e lettura è ben documentato e abbastanza intuitivo. La percentuale di lettori sale sistematicamente al crescere del livello di istruzione sia perché aumentano le capacità di comprensione dei testi, sia perché l’accumulo delle letture passate favorisce i nuovi consumi, sia probabilmente per gli effetti indiretti della complessità delle attività professionali.
In Francia la percentuale di lettura per le persone con scarsa scolarità è del 62 % e cresce fino al 93 % per le persone laureate. Lo stesso accade in Italia dove ai bassi livelli di scolarità corrisponde un livello di lettura del 32% che sale fino all’83 % per i laureati (Canoy, van Ours, van der Ploeg, 2005 The economics of books, Cesifo Working Paper N.1414,2005).
Se si prende come riferimento la condizione socioprofessionale, la distanza con gli altri paesi sembra accentuarsi. Tra i professionisti e i dirigenti italiani solo il 46% sono lettori, contro una percentuale dell’87 % per la Francia.
Il fatto si collega a una seconda possibile spiegazione della minor diffusione dei libri in Italia.
Se si esaminano le motivazioni della lettura si vede come la percentuale dei lettori per svago (42 % degli adulti con almeno un libro in un anno) sia sostanzialmente analoga a quella degli altri grandi paesi europei. E superiore alla Francia (40%), alla Spagna (39%), alla Germania (40%) e inferiore alla sola Gran Bretagna (75%). Nella fruizione di narrativa e di saggistica leggera in Italia non si legge meno che in altri paesi.
Quello che realmente differenzia il tasso di lettura italiana dai paesi a maggiore intensità libraria è lo scarso numero di lettori di «libri utili», per usare la classificazione di Eurobarometro. Appena il 16% contro il 36% della Germania, il 27% della Francia e il 36% del Regno Unito. Sono compresi in questo gruppo i libri che servono per la formazione professionale, i libri di ausilio al lavoro e la manualistica per il tempo libero, esclusi i libri scolastici.
Il fenomeno viene confermato, attraverso un altro percorso, dalla rilevazione del Censis (2006) sul genere di libri acquistati nei diversi paesi europei. Il peso dei classici o della letteratura contemporanea è simile in Italia e negli altri grandi paesi europei, mentre appare nettamente inferiore il peso di manuali per il tempo libero, guide turistiche e libri di scienza e tecnologia, che complessivamente hanno una penetrazione del 9% in Italia, ma del 56% in Germania, del 46% nel Regno Unito e del 42% in Francia. Anche l’incidenza della categoria libri di storia e biografie è in Italia meno della metà rispetto agli altri paesi considerati.
I processi di globalizzazione culturale non sembrano aver prodotto una significativa omogeneizzazione nei pattern di consumo dei libri in Europa anche tra paesi vicini come l’Italia o la Francia. In particolare, in Italia sembra prevalere una concezione tradizionale del libro come intrattenimento culturale «alto», mentre stenta a diffondersi l’idea che possa essere anche un mezzo attraverso cui acquisire informazioni utili per il tempo libero e lo sviluppo professionale.
I libri cosiddetti utili comprendono naturalmente categorie molto diverse, con molteplici ragioni che spiegano il minor consumo. Per esempio per quel che riguarda i libri scientifici gioca un ruolo rilevante la scarsa diffusione della cultura scientifica come infrastruttura di base dell’integrazione e partecipazione culturale, così come un malcelato orientamento antiscientifico della cultura umanistica italiana; mentre naturalmente la stessa ragione non vale per le guide di viaggio, la cui minore diffusione è probabilmente collegata al prevalere nei consumi turistici dei viaggi organizzati.
Una ragione importante per la minore diffusione dei libri utili potrebbe essere collegata anche alla diversa struttura dell’industria italiana, dove prevale la piccola impresa con relazioni informali e processi lavorativi meno strutturati e minori funzioni di monitoraggio e coordinamento, come pure alla specializzazione settoriale italiana, legata a settori tradizionali quali il tessile o l’alimentare dove l’intensità della conoscenza nei processi produttivi risulta più contenuta che in settori industriali più avanzati.
Come si è visto all’inizio, la distanza che permane con gli altri paesi nella lettura di libri non è invece presente quando si considerino i volumi di acquisto e la dimensione dell’industria libraria. Anche se servirebbero analisi più accurate sul prezzo dei libri, la spesa pro capite in Italia è analoga agli altri paesi e considerando il minor numero di acquirenti di libri la spesa effettiva di coloro che acquistano effettivamente libri è addirittura più elevata.
Per contro, rimane un leggero deficit nella lettura. Vi è quindi una distanza tra l’acquisto di libri e la loro lettura. Le spiegazioni di questo fenomeno scontano il fatto che a differenza di altri beni di consumo i libri si conservano e si prestano: servirebbero dati panel sugli stessi consumatori per analizzare in dettaglio i comportamenti di consumo.
Due fenomeni potrebbero però spiegare questa situazione. In primo luogo la crescita delle vendite negli ultimi cinque anni è dovuta in una quota non marginale ai libri allegati ai quotidiani, che rappresentano il 15 % delle vendite in valore e circa un terzo del numero di libri venduti. Una parte di questi acquisti potrebbe essere destinata a riempire la dotazione di base delle biblioteche e non genera atti di lettura immediati. Le ragioni dell’acquisto potrebbero essere ricondotte all’occasione del prezzo basso, alle recensioni del quotidiano cui sono allegati o alla spinta a completare la collezione.
Il secondo fattore che può spiegare la distanza tra acquisto di libri e lettura è la mancanza di un forte sistema bibliotecario, che nei paesi del Nord Europa risulta un elemento potente nel favorire la diffusione della lettura (Kovac, Sebart, Books, Reading and Book Usage in European Union, «Publishing Research Quarterly», 2006, voi. 22, n. 2, pp. 55-63). In Gran Bretagna il totale dei libri letti risulta quasi doppio che in Italia, nonostante la vendita dei libri sia superiore solo del 50%. Un sistema bibliotecario pubblico capillare e orientato all’utente è in grado di favorire la lettura sia fornendo i libri che diffondendo informazioni sulle possibili scelte. Mentre il ruolo delle biblioteche nella promozione della lettura risulta marcatamente positivo, l’effetto sul fatturato dell’industria editoriale è più ambiguo. Da un lato infatti le biblioteche favoriscono la diffusione della lettura e coltivano i nuovi clienti degli editori, ma d’altra parte potrebbe esserci un effetto di sostituzione tra i prestiti e le vendite di libri. I dati che da un paio di decenni vengono raccolti in Europa renderebbero possibili analisi più consistenti, ma purtroppo anche il dibattito recente sull’introduzione della remunerazione agli editori per i prestiti, che si basa sull’ipotesi della sostituzione, non è stato sostenuto da ricerche solide.
I forti lettori non hanno in Italia un peso significativamente diverso da quello che hanno negli altri paesi europei e comunque la loro incidenza si è notevolmente ridotta, sia pure con una leggera inversione di tendenza negli ultimi dieci anni.
Nel 1973 effettivamente i grandi lettori (quelli che «consumavano» oltre 11 libri l’anno) realizzavano da soli circa metà della lettura complessiva, e probabilmente anche dell’acquisto. Trent’anni più tardi la loro quota sul totale dei lettori era scesa dal 18% al 14% e rappresentava complessivamente solo un terzo dei consumi. Nel lungo periodo si è ridotta la polarizzazione, che caratterizza spesso i mercati culturali nella fase della loro costituzione, con una riduzione del numero e del peso sia dei lettori deboli sia dei lettori forti a favore del segmento intermedio. Coloro che leggono da 4 a 11 libri l’anno erano circa un quarto dei lettori nel 1973 e realizzavano circa un quarto degli atti di lettura complessivi, mentre nel 2005 sono diventati il 38% del numero di lettori e rappresentano oltre metà dei consumi complessivi.
Ricorrendo ai dati Eurobarometer del 2001 è possibile confrontare la situazione italiana con quella degli altri paesi europei, utilizzando una metodologia omogenea. Risulta che i forti lettori, quelli che leggono oltre 11 libri l’anno, sono il 14% dei lettori italiani, contro il 19% della media degli altri paesi europei, e realizzano un terzo degli atti di lettura contro il 42 % della media europea. Regno Unito e Francia mostrano un peso dei grandi lettori sui consumi nettamente superiore a quello italiano.
Nell’insieme dunque emerge un panorama della lettura meno distante dal contesto europeo di quanto spesso appaia dalle percezioni poco documentate. Sarebbe utile che le riflessioni sulle dinamiche di mercato e sulle politiche possibili di sostegno e promozioni della lettura partissero da una conoscenza più approfondita del contesto internazionale e da un’analisi più puntuale delle determinanti e delle trasformazioni della domanda di libri.