Vampiri: young adult, per sempre

Twilight, New Moon, Eclipse e Breaking Dawn. A cinque anni dalla pubblicazione, la saga che ha riportato in vetrina i vampiri, servendoli in salsa rosa, tiene il passo: milioni di lettrici, un nuovo romanzo – costola del terzo episodio –, un fumetto, tantissimi libri collaterali, e poi forum e fanclub, una trasposizione cinematografica e persino un film parodia. Ma perché, poi, immedesimarsi in un vampiro?
 
«Di tre cose ero del tutto certa. / Primo, Edward era un vampiro. / Secondo, una parte di lui – chissà quale e quanto importante – aveva sete del mio sangue. / Terzo, ero totalmente, incondizionatamente innamorata di lui.»
È ben condensato nelle parole della sua protagonista l’abbrivio di Twilight, la saga in quattro volumi (Twilight, New Moon, Eclipse e Breaking Dawn) che, pubblicata a partire dal 2005 in Usa e dal 2006 in Italia per Fazi e tradotta oggi in 50 paesi, ha venduto oltre 100 milioni di copie – di cui più di 3 milioni solo nel nostro paese – e che tiene tutt’oggi la presa (circa 200mila copie di venduto nella prima metà del 2010 secondo Nielsen). Vendite impennatesi dall’uscita del primo film, nel novembre 2008 (la classifica generale Nielsen immediatamente successiva posiziona tutti i titoli ai primi quattro posti), dopo il quale il marketing della saga, così come era avvenuto per Harry Potter, è entrato a tutti gli effetti in una logica di «evento». Sulla scorta di questo successo, attorno alla tetralogia sono fioriti moltissimi titoli a essi direttamente collegati – dai libri illustrati sugli attori protagonisti dei film ai diari in cofanetto della saga, dal Twilight fumetto (tirato in 40mila copie, sta già segnando buoni risultati di vendita in Italia, e molto buoni ne ha dati negli Usa), fino a un vero e proprio spin off che la stessa Meyer ha tratto da Eclipse: La breve seconda vita di Bree Banner, distribuito in 300mila copie nelle nostre librerie da giugno (ossia appena prima dell’uscita di Eclipse nelle sale). Ma soprattutto, sulle tracce della saga di Stephenie Meyer, un’invasione di vampiri ha preso possesso delle librerie e delle case editrici. Basti pensare, solo per restare in Italia, che nel dicembre 2009 l’Aie, registrando un sensibile aumento del peso dei piccoli editori nel quadro complessivo, specificava: «in queste buone performance uno dei segreti è il successo del genere vampiri: l’incremento dei piccoli senza i “vampiri” è infatti solo del 3,4% rispetto al 12,9% del dato che li include».
Pamela Ruffo, giovanissima responsabile della Lain, la collana di narrativa young adult della Fazi dove la Meyer è pubblicata, nonché fondatrice del fanclub ufficiale nostrano della saga (www.twilightersitalia.it), conferma e ci aiuta a tracciare un identikit dei lettori – ma sarebbe più corretto dire «delle lettrici» – di Twilight. «All’inizio, nel primo anno dall’uscita, si trattava di un pubblico che raramente scendeva sotto i vent’anni: erano piuttosto venti e trentenni appassionate di storie di vampiri. Poi la saga ha coinvolto una fetta di lettrici sempre maggiore, e d’età più variegata (tante più giovani, ma anche tante sopra i trenta, come testimoniano le “Twilight moms”, i gruppi di mamme-fan), cominciando con le appassionate di paranormale e di fantasy. I lettori dei due megaseller del genere, infatti, quello del maghetto di Hogwarts e quello che racconta dell’amore fra un’umana e un vampiro, si sovrappongono per una porzione rilevante (non per niente i produttori di New Moon sono stati ben attenti a evitare di uscire nelle sale in concomitanza con Harry Potter e il principe mezzosangue, il loro più diretto competitor). Subito dopo si sono aggiunte le lettrici di storie classiche, in cerca di una variante più light, e le amanti del romance’, non dimentichiamo che uno dei primi siti in Italia a segnalare Twilight è stato www.romance.forumfree.it, un forum seguitissimo specializzato proprio in romanzi d’amore. Infine, con i film, sono stati coinvolti anche molti non lettori».
Proprio come la maggior parte dei bestseller internazionali e nostrani degli ultimi tempi, anche la saga della Meyer si rivolge alla fascia degli young adult (molte, peraltro, le collane lanciate dagli editori alla loro rincorsa), includendo anche quelli che sono stati più recentemente definiti «kid-adult» (adulti che hanno un interesse di ritorno per letture dell’adolescenza) e definendosi perciò come un crossover a tutti gli effetti. A parte una piccola percentuale maschile però – «soprattutto emo» specifica la Ruffo (ragazzi, cioè, che fanno riferimento a una subcultura pop fra il dark e il gotico) –, Twilight si rivolge e attrae quasi esclusivamente un pubblico femminile. Nel filone neogotico, infatti, che ha ripreso vita già da qualche anno (nel 2005, per restare da noi, la nascita della casa editrice Gargoyle, specializzata in horror di qualità), si colloca come paranormal romance. Per molti detrattori, a dire il vero, troppo romance e troppo poco paranormal… ma andiamo con ordine e cominciamo dal preponderante coté sentimentale.
La Meyer, laureatasi in Lingua e Letteratura inglese e tutt’altro che sprovveduta (così come molto accorta è la sua editor), poggia la struttura della sua tetralogia calcandola e rimodellandola alla bisogna su alcuni grandi classici della letteratura d’amore – che fanno esplicitamente capolino dalle pagine dei suoi romanzi. Il gioco è talmente scoperto, e costitutivo, che in rete i fan discutono sulle analogie che l’autrice intende di volta in volta suggerire e al punto che, in America e poi in Italia, di alcuni di questi classici sono state approntate edizioni speciali, che evocano le tricromatiche copertine della saga e recano sul piatto di copertina il bollino di certificazione: «I libri preferiti di Bella e Edward» (in Mondadori, dove a giugno nella collana degli «Oscar» sono usciti in questa veste Orgoglio e pregiudizio, Cime tempestose e Romeo e Giulietta, tirati con una cifra doppia rispetto alle edizioni tradizionali, si dichiarano soddisfatti dei risultati dell’iniziativa). Ciò che soprattutto sembra importare alla Meyer è evidenziare, con precedenti nobili e altamente evocativi, le tensioni in gioco in ogni capitolo della sua saga: istinto, ragione e sentimento nel primo (Ragione e sentimento); amore e morte nel secondo (Romeo e Giulietta); gelosia ed egoismo nel terzo (Cime tempestose) e nel quarto (il più «sociale», e il meno compatto) libero arbitrio e irrazionalità (Sogno di una notte di mezza estate), legge e giustizia compassionevole (Il mercante di Venezia).
La tendenza distruttiva e autodistruttiva dell’amore romantico viene continuamente rilevata e oltrepassata: il lieto fine è assicurato dal superamento delle prove e dalla maturazione dei protagonisti. Anche in questo caso siamo cioè in presenza di un «innesto entro le coordinate del genere sentimentale di una tipologia narrativa oggi altrettanto forte e fortunata: il romanzo di formazione che sollecita nei lettori adolescenti intensi moti di identificazione» (come rilevava per Tre metri sopra il cielo Giovanna Rosa in Tirature ’06). Se si eccettua un vantaggio del primo titolo sui seguenti di 100mila copie, relativamente modesto e tutto sommato fisiologico, i restanti tre romanzi si attestano su cifre di venduto omogenee fra loro – sempre secondo la Ruffo –, a dimostrazione che i lettori hanno pienamente percepito il tracciato di un percorso sotteso a tutte le 6.820 pagine dell’opera. A differenza di molti titoli rosa, però, qui non è solamente la protagonista a cambiare, ma anche il suo bel vampiro. Da un’attrazione «a prima vista» (titolo del capitolo incipitario), pericolosa se non sotto controllo, si passa alla conoscenza reciproca, alla fiducia nei sentimenti e nelle azioni dell’altro, per giungere… al matrimonio e alla maternità.
Fin qui, se si aggiunge che i due protagonisti non assaggeranno il sesso fino al matrimonio, il percorso formativo dei personaggi sembrerebbe rientrare in logiche e dinamiche di genere quantomai passatiste – e si potrebbe capire come mai i modelli succitati non superino l’Ottocento –, ma le cose non sono così semplici (non per niente una porzione considerevole dei saggi raccolti in La filosofia di Twilight, a cura di alcuni professori universitari americani, dibatte, e si scontra, sulla questione: «Bella è femminista?»). Se si guarda più da vicino, si notano alcuni rilevanti ribaltamenti: è Edward a ritardare il sesso, è sempre lui a desiderare il matrimonio (e a rimandare il primo al secondo) e Bella si ritrova ad affrontare una maternità del tutto «inaspettata». Quando la protagonista sposa il suo vampiro, infatti, lo fa scegliendo di rinunciare a una famiglia tradizionale perché sa che non potranno avere figli; invece, si verifica l’impossibile. Al di là dell’happy end, mi pare questo un punto cruciale: «la creazione di una sessualità “duttile” – sottolinea il sociologo Anthony Giddens nel suo La trasformazione dell’intimità –, distaccata dai vincoli ancestrali che la legavano alla riproduzione, i rapporti di parentela e le generazioni, è stata una delle condizioni preliminari della rivoluzione sessuale degli ultimi decenni». La sessualità viene ricercata per piacere e per amore, e quella femminile qui è passiva solo nella misura in cui lui non è ancora in grado di controllare al meglio le sue pulsioni. A ben vedere, infatti, altri richiami nella struttura dell’opera si devono senz’altro al mondo delle fiabe (il titolo del capitolo conclusivo lo ricalca, sin troppo, esplicitamente: «Felici e contenti»), e in particolare al ciclo fiabesco dello sposo animale – la protagonista si chiama Isabella, ma tiene a farsi chiamare solo Bella, e il suo lui è un vampiro (il rivale che gli contende la Bella del resto è un ragazzo-lupo…). Scrive Bettelheim, che nel suo saggio Il mondo incantato ha felicemente analizzato questo tipo di fiabe: «sia gli animali pericolosi sia quelli benefici incarnano la nostra natura animale, le nostre pulsioni istintive», che è necessario imparare a tenere sotto controllo, integrandole con le altre componenti della personalità; parallelamente è importante «superare la visione del sesso come qualcosa di disgustoso e bestiale», «il messaggio di queste storie è che dobbiamo rinunciare agli atteggiamenti infantili e assumerne altri, maturi, se vogliamo stabilire quel rapporto d’intimità con un’altra persona che promette felicità duratura per entrambi».
Ma la figura del vampiro – ed eccoci al paranormale –, se risultava perfetta per rappresentare la pulsionalità legata al desiderio sessuale, assume evidentemente anche altri significati; in caso contrario non si spiegherebbe perché, in un finale che vede la coppia di protagonisti basare il proprio amore su un rapporto paritario, non sia la bestia a tornare un bellissimo principe ma sia piuttosto lei a trasformarsi in una bellissima vampira (trasformazione che coincide con un’attualizzazione piena delle proprie potenzialità e che, restando vicini a Bettelheim, era già inscritta nell’animalesco cognome di lei, Swan – cigno –, che ci porta verso un’altra ben nota fiaba). Molti hanno visto in Edward, giovane vampiro «vegetariano» che si nutre solo di sangue animale, ragazzo dalla moralità vecchio stampo, gentile e attento, un tradimento della figura tradizionale del «succhiasangue» – un vampiro, insomma, con «i denti da latte».
Tuttavia, rileva l’antropologa Monica Petronio, «i poteri e le caratteristiche fisiche e comportamentali che gli sono attribuiti cambiano in ragione funzionalmente opposta a ciò che di volta in volta è l’ordine, la struttura vigente». In quest’ottica, dà da pensare il fatto che – come già sottolineato da Loredana Lipperini e poi da Walter Siti – Edward e la sua famiglia vegetariana rappresentino piuttosto l’ordine e la disciplina sentimentale. Ciò che colpisce, nei romanzi della Meyer, è come tutti i rapporti positivi siano basati sulla protettività: Edward è iperprotettivo (ai limiti dello stalking\\ gli uomini-lupo fra loro si chiamano i Protettori (difendono gli umani dai vampiri cattivi) e Bella – protettiva nei confronti dei genitori, del suo ragazzo, del licantropo, che è il suo migliore amico, e poi naturalmente di sua figlia – si trasformerà in una vampira con l’eccezionale potere di fare da «scudo» a se stessa e ai suoi cari, salvando così la sua famiglia allargata e il suo clan dai vampiri «carnivori» (che, particolare non da poco, nel mondo ordinato dei non-morti sono quelli che detengono il potere politico e giudiziario). Il brivido sotteso a tutta la saga muove a mio avviso da qui: tutto questo bisogno di proteggere e di essere protetti proietta l’immagine di un mondo estremamente pericoloso, dove a incutere paura è molto più la violenza psicologica che non quella fisica (la più terribile delle vampire procura indicibili torture con la sola forza del pensiero). Una paura «liquida», direbbe Bauman, dettata da una socialità dove i rapporti sono spesso a breve termine (i genitori di Bella si sono separati subito dopo la sua nascita), da una «vita precaria, vissuta in condizioni di continua incertezza», dove le preoccupazioni «nascono dal timore di essere colti alla sprovvista, di non riuscire a tenere il passo di avvenimenti che si muovono velocemente, di rimanere indietro».
I vampiri della Meyer riflettono pienamente l’ambiguità di un sentimento di attrazione e repulsione nei confronti di questa fluidità – non per niente l’autrice ha spesso dichiarato di essersi ispirata più ai supereroi che ai vampiri tradizionali. Le sue sono creature forti, ma soprattutto veloci, in grado di prevedere il futuro e leggere nel pensiero – un bagaglio che li rende perfetti per sopravvivere nella modernità liquida –, e nello stesso tempo (quelli buoni) conservano i cardini più rassicuranti dell’etica di ieri – i loro legami amorosi sono nientemeno che eterni, la loro compassione umanissima e lo spirito di abnegazione ammirevole (insomma, riprendendo il titolo di un romanzo di Desiati di qualche anno fa: Vita precaria e amore eterno). Nell’ultimo capitolo della tetralogia uno dei vampiri vicini alla famiglia di Edward pronuncia una lunga orazione in loro favore, dove leggiamo: «Questi strani vampiri dagli occhi dorati hanno forse trovato qualcosa che vale ancora di più della semplice gratificazione del desiderio? […] mi sembra che la qualità intrinseca di questi intensi legami di famiglia, anzi, ciò che li rende possibili, sia il carattere pacifico di una vita fatta di sacrifici». Siamo esattamente agli antipodi rispetto a un vivere dove – sempre con Bauman – «non occorre più sacrificarsi e immolarsi, addestrarsi e allenarsi per un periodo intollerabilmente e inesorabilmente lungo, attendere indefinitamente prima della gratificazione, esercitare virtù fino al limite della propria capacità di resistenza». E evidente che per capire il senso del lento procedere dei libri della saga, di quello che Lev Grossman sul «Time» ha giustamente definito «erotica dell’astinenza», occorre andare al di là del dato biografico che ci ricorda che l’autrice appartiene alla Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. Pur con questo passo lento, la Meyer riesce a mantenere la tensione grazie a un buon uso del ralenti, della pausa, dell’ellissi, delle distrazioni e di un climax di minutissime descrizioni sia delle emozioni sia – soprattutto – delle reazioni del corpo (il primo volume è una sorta di fenomenologia dell’innamoramento o, se vogliamo, del sospiro), così come riesce poi a stemperarla tramite un misurato ma costante uso dell’umorismo (che, prendendosi gioco talvolta degli stessi tòpoi fondativi della storia, a partire dal binomio amore/morte, strizza l’occhio alle lettrici meno amanti delle romanticherie). A conti fatti, questa lentezza conferisce buona parte del gusto alla lettura, e nello stesso tempo prepara, procrastinandolo, l’ingresso in un’adultità quanto meno ambigua.
Il vampiro, infatti, figura a cavallo fra la vita e la morte, fra l’umano e il ferino, occupa per definizione una condizione ambigua, liminare, marginale, giustamente accostata dalla Petronio all’adolescenza e, in particolare, ai riti di passaggio. L’antropologo Victor Turner, che s’è occupato per l’appunto di liminarità, ne evidenzia il ruolo creativo: in essa convivono fenomeni presenti e vissuti e una realtà fatta invece di desiderio, possibilità, ipotesi. Per questo motivo, suppongo, la nuova leva di questi vampiri angelicati (o, secondo una tendenza più recente, di angeli demoniaci) è formata – al contrario dei vampiri di progenie stokeriana, ma come già nella Rice di Intervista col vampiro – da adolescenti. La giovane Bella diventa vampiro tramite una trasformazione estremamente dolorosa, che passa attraverso la morte, e che non a caso – a confermare la centralità dello stato liminare all’interno dell’opera (il titolo della saga del resto è Twilight, crepuscolo) – è l’unica scena davvero horror descritta dalla Meyer (che per il resto si serve costantemente dell’ellissi; e ciò persino in Bree Banner, dove i combattimenti e le uccisioni di vampiri sono continui, eppure mai narrati), ma non diviene propriamente un’adulta, quanto piuttosto un’eterna adolescente adulta – young adult per sempre. Sebbene per diversi aspetti Twilight risulti irrisolto, a tratti piuttosto piatto nelle descrizioni e ripetitivo nello stile, c’è qualcosa di struggente in questi giovani vampiri, che poi giovani non sono perché hanno diciassette anni da più di un secolo ma, per essere accettati almeno un po’, devono fingere di andare ancora a scuola, mentre si sono diplomati chissà quante volte e di quei titoli di studio non sanno che farsene, se non appendere i caratteristici cappelli per comporre un bel quadro che copre un’intera parete. Davvero, sindrome di Peter Pan a parte, è difficile cogliere i motivi per cui i ragazzi, ma anche molti trentenni, si sentono oggi così vicini a queste storie e a questi vampiri?