La Storia con i «se» e con i «ma»

Cosa sarebbe successo se…? Alcune narrazioni romanzesche partono da un’ipotesi fantastorica: il crollo dell’impero romano in tempi e modi diversi, il mancato scoppio della Rivoluzione francese, un finale alternativo per le due guerre mondiali. Anche in Italia non mancano autori che si sono cimentati con i romanzi «fantastorici» o, come si dice, «ucronici». Una tendenza – da Bianciardi a Morselli, da Farneti a Brizzi – che sottolinea la volontà dei nostri narratori di confrontarsi con i momenti più controversi della Storia italiana. Con gli strumenti a essi più congeniali: la fantasia e l’invenzione.
 
La Storia – si dice – non si fa con i «se» e con i «ma». Eppure i romanzi, a volte, sì. La Storia, quella con la «S» maiuscola, ha da sempre fornito spunti, trame e materiali agli scrittori. Nella letteratura italiana non si contano gli autori che hanno basato i propri capolavori su una materia di tipo storico. Oggi però, rispetto alla documentazione filologica alla Manzoni, i suoi attuali colleghi appaiono un tantino più disinibiti. C’è un uso molto particolare della Storia che si è affermato nella narrativa, per la verità non solo italiana, degli ultimi decenni. Si tratta della rilettura in chiave fantastica di particolari momenti storici.
Possiamo chiamarla «fantastoria», oppure «storia alternativa» (termine prediletto dalla critica anglosassone) o «allostoria», o ancora – come dicono i francesi – «ucronia» (dal greco «nessun tempo», calco su «utopia», cioè «nessun luogo»). Quest’ultimo termine è stato coniato dal filosofo francese Charles Renouvier in un saggio, Uchronie, pubblicato nel 1857. Un mix di romanzo storico, fantascienza e fantapolitica, in opere per loro natura ibride. L’obiettivo può essere quello di tratteggiare uno sviluppo positivo di situazioni storiche che di fatto sono evolute in una direzione da tutti giudicata negativa, oppure, al contrario, quello di disegnare scenari sgradevoli e indesiderabili.
I romanzi appartenenti a questo genere basano il loro punto di partenza su ipotesi fantastiche. Per esempio sull’ipotesi che l’impero romano non sia caduto a suo tempo, che la Rivoluzione francese non sia mai scoppiata, che Napoleone abbia vinto a Waterloo o che Hitler non sia stato sconfitto nella Seconda guerra mondiale. Archetipo di tali narrazioni ucroniche è considerato il passo degli Ab Urbe condita libri CXLII (IX, 17) di Tito Livio in cui egli si chiedeva cosa sarebbe successo se Alessandro Magno avesse sviluppato il regno macedone a Ovest anziché a Est. Ovviamente, se si fosse mosso verso Occidente, avrebbe incontrato Roma, e allo storico latino stava a cuore indagare che cosa sarebbe avvenuto in un siffatto «scontro di civiltà».
Nella storia letteraria sono molti gli autori che, in diversi paesi, si sono cimentati con la fantastoria. Nel romanzo La città eterna (1901) lo scrittore e drammaturgo britannico Hall Caine immagina, in Italia, l’esilio del re e la proclamazione della Repubblica, fatti che colloca in un passato molto prossimo. Nel 1931 il poeta e storico inglese J.C. Squire (che fu, nel periodo tra le due Guerre, uno degli editor più influenti nel suo paese) raccolse, in un volume pubblicato nello stesso anno con il titolo If It Had Happened Otherwise (Se la storia fosse andata diversamente), versioni alternative di alcuni snodi cruciali della storia occidentale scritte da alcune personalità scelte tra le più autorevoli nei campi della cultura e della politica di quel periodo: da Winston Churchill a Gilbert Keith Chesterton, da Hilaire Belloc ad André Maurois. Uno dei soggetti prediletti dalle ucronie sarebbe stato in seguito il secondo conflitto mondiale: ricordiamo La svastica sul sole (1963) dello statunitense Philip K. Dick, i cicli Invasione e Colonizzazione dello statunitense Harry Turtledove e Fatherland (1992) dell’inglese Robert Harris.
E in Italia? Anche da noi negli ultimi decenni ha attecchito il genere ucronico. Vi si è cimentato Luciano Bianciardi in Aprire il fuoco (1969). Romanzo autobiografico, ma trasfigurato in una ambientazione tra lo storico e il fantastico (collocata cronologicamente in epoca risorgimentale), il libro narra le conseguenze del successo della Vita agra (1962, l’opera che aveva reso famoso Bianciardi), con tutte le paure dell’autore per quello che gli stava succedendo e per quello che sarebbe potuto succedergli ancora. Due diverse anime dello scrittore, quella autobiografica e quella storica, si intrecciano in una sintesi per quei tempi nuovissima.
Al 1975 data Contro-passato prossimo di Guido Morselli, controstoria «nel ventaglio dei possibili» che ribalta in vittoria la sconfitta degli Imperi centrali durante la Grande guerra: a personaggi di pura invenzione si mescolano, sebbene rivisitati con disinvoltura, Rathenau, Mussolini, Freud, Lenin, Hitler, Agnelli, Falck, Woodrow Wilson, Einstein.
Ma in Italia il momento storico più controverso è probabilmente ancora oggi il ventennio fascista. Forse è per questo che con esso si confrontano gli esempi più recenti del filone ucronico. Per esempio Occidente (2001) di Mario Farneti, romanzo che ha fatto molto discutere anche all’estero, essendo stato accusato di una larvata apologia del fascismo, sebbene l’autore, per stemperare le polemiche, abbia dichiarato di non avere avuto alcun intento politico nello scriverlo. A quel primo volume sono seguiti Attacco all’Occidente (2005) e Nuovo Impero d’Occidente (2006), configurando così una vera e propria trilogia. Nella quale si immagina un’Italia fascista che, sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale (durante la quale era rimasta neutrale, sostenuta però economicamente e militarmente dagli Stati Uniti), sconfiggerà successivamente l’Unione sovietica durante una Terza guerra mondiale.
Simile, ma decisamente più «simpatica» (cioè per nulla sospettabile di certe simpatie ideologiche, anzi) e caratterizzata da un maggior grado di ricerca letteraria, è la rilettura del fascismo operata da Enrico Brizzi. Anch’egli, nel suo romanzo Id inattesa piega degli eventi (2008), immagina che la dittatura sia sopravvissuta alla fine della Seconda guerra mondiale in virtù del fatto che Mussolini aveva fatto in tempo a rompere l’alleanza con Hitler, così guadagnando nel 1945 un posto al tavolo dei vincitori. Uscito trionfatore, il Duce potrà governare il paese ancora per alcuni lustri. Il romanzo inizia con i funerali di Benito Mussolini, non appeso a piazzale Loreto, ma omaggiato da tutti i principali sovrani e capi di Stato del mondo, in solenni funerali che si svolgono a Roma, tra la generale afflizione, nel 1960.
La narrazione si svolge in flashback, proprio a partire da quei solenni funerali di Stato, e vede per protagonista Lorenzo Pellegrini, un giornalista trentenne che ha commesso l’errore di diventare l’amante della figlia del suo editore e poi, soprattutto, di tradirla. La donna chiede infatti la sua testa, e al direttore del suo giornale, che pure lo stima e gli è amico, non resta che eseguire il provvedimento punitivo: anziché le Olimpiadi di Roma, sarà inviato a seguire le ultime giornate della Serie Africa, la Lega del calcio eritreo, etiope e somalo. Un esilio che diventa per lui l’occasione per guardare con occhi nuovi la realtà della dittatura, alla quale era abituato fin da bambino e che per questo non aveva mai messo in discussione.
Per scrivere questo libro, l’autore ha compiuto evidentemente un ampio lavoro di documentazione. Sono molti i riferimenti a nomi, personaggi e situazioni che, a chi conosce la storia del Ventennio e quella dei primi anni della Repubblica, fanno scattare più di un cortocircuito mentale, a volte in chiave ironica e straniante. Ma qual è il senso dell’operazione? Brizzi ci sembra essersi voluto confrontare, seppure per via di fantasia e allungandone l’estensione cronologica, con un periodo della storia italiana con cui evidentemente non abbiamo ancora fatto tutti i conti.
Una riflessione che lo scrittore bolognese ha continuato con il libro successivo, una sorta di prequel. La nostra guerra (2009) racconta infatti il secondo conflitto mondiale, ipotizzando che l’Italia si sia schierata contro la Germania e a fianco di Inghilterra, Usa e Urss. Gli eventi sono filtrati attraverso lo sguardo di Lorenzo Pellegrini adolescente, la cui vita familiare viene descritta nel libro con toni agrodolci. Sotto l’apparente normalità piccoloborghese, si celano infatti piccoli e grandi segreti che può essere doloroso scoprire. Nel ponderoso romanzo (più di 600 pagine) sono molte le parti riuscite e divertenti, mentre altre segnano forse qualche momento di stanchezza. È efficace, sul piano della struttura narrativa, lo svolgimento degli eventi bellici in parallelo alla disgregazione della famiglia di Lorenzo. Alla fine del romanzo, nulla sarà più come prima. Né in Italia, né nella famiglia Pellegrini.