Bei libri e buoni cibi

Già diffuso in sordina tra piccole librerie indipendenti, che si distinguono così dalla standardizzazione delle grandi catene, l’abbinamento di libri e cibo viene ora adottato dalle grandi catene librarie attraverso la partnership con importanti aziende alimentari. Si afferma a questo modo una nuova formula di promozione che esalta gli aspetti materiali del libro e della lettura per attrarre i lettori e guadagnarne di nuovi.
 
Libri e musica, libri e film, libri e videogame: da tempo i lettori incontrano, accanto ai prodotti editoriali in senso stretto, un’eterogenea offerta commerciale che risponde a una sempre più estesa domanda di intrattenimento culturale. Le principali catene librarie, infatti, tra gli ultimi anni novanta e i primi duemila, hanno aperto estesi megastore di centinaia di metri quadri dove si propongono, insieme ai volumi, una serie di prodotti (dvd, cd e, in ultimo, e-reader) che, benché non siano libri, dei libri condividono la principale funzione: sollecitare, a fini ricreativi, l’esercizio ludico dell’immaginazione.
Da qualche anno, però, si registra una nuova tendenza in libreria: ai volumi vanno accompagnandosi, in modo sempre più vistoso, altri beni di consumo che, benché rivolti anch’essi alla ricreazione dei consumatori, ne stimolano facoltà invero molto diverse da quelle impegnate nella fruizione culturale in senso stretto, e propongono un intrattenimento che poco ha a che fare con la dimensione essenzialmente immateriale dell’immaginazione e della fantasia. Dapprima in sordina tra le realtà indipendenti, e ora in modo più clamoroso nelle grandi catene, si osserva infatti la simultanea presenza di libri e vivande, da consumare sul luogo o da portare a casa: può allora capitare che finiscano insieme, nella stessa busta, l’ultimo thriller di Grisham e un paio d’etti di culatello, o che ci si sieda al tavolo tra le guide turistiche e i classici greco-latini per cenare in compagnia.
Da un certo punto di vista, si potrebbe dire, non c’è niente di nuovo sotto il sole: un bar caffetteria, spesso anche in grado di fornire conforti più sostanziosi di un semplice cappuccino, è già presente, come servizio accessorio, negli store dalle dimensioni maggiori e in piccole librerie di quartiere. Il fenomeno attuale, però, esibisce un deciso salto di qualità, perché si va ben oltre il semplice potenziamento di un servizio aggiuntivo: l’aspetto gastronomico, infatti, ha assunto un’inedita centralità all’interno di una formula di promozione libraria nella quale si associano, con implicazioni e conseguenze tutte da valutare, generi editoriali e generi alimentari. Vediamo allora cosa sta succedendo, e muoviamo qualche considerazione.
È opinione comune che le librerie indipendenti, di fronte all’imperialismo di catene sempre più agguerrite, potranno sopravvivere solo specializzando assortimento e servizio in direzione distintiva: di fronte alle catene dai formati standard, pensati in funzione di contesti tipici, «avranno successo le librerie che hanno un rapporto forte con il quartiere o la città», come scrive Roberta Cesana su Tirature ’12. E aggiunge: «Solo quando questi luoghi di incontro e di socializzazione hanno una base sufficiente di frequentatori affezionati riescono a sconfiggere la concorrenza dei colossi e dei distributori di e-book». Oltre alla specializzazione dell’assortimento librario, dunque, è la qualificazione distintiva del servizio, in termini di fidelizzazione del circondario e di de-standardizzazione dell’offerta, l’elemento su cui puntare: ciò contribuisce a spiegare l’esistenza di piccole librerie-bar, o librerie-enoteca o –birreria, che sfruttano l’abbinamento libri-cibo su piccola scala, al fine di rendere preferibili le loro proposte di lettura nel contesto di esperienze d’acquisto fortemente caratterizzate in termini relazionali e di piacevolezza sensoriale, assenti nei megastore.
I numerosissimi casi di cui si potrebbe parlare possono essere rappresentati con un esempio minimo, ma estremamente significativo, che riguarda Milano: nel decentrato quartiere di Città Studi, infatti, si è trasferita, nella primavera 2013, la storica libreria anarchica Utopia, un tempo nell’allora popolare, benché centrale, corso Garibaldi, oggi – soprattutto dopo la recente riqualificazione urbanistica – zona di gran moda, frequentata più dai turisti che dagli intellettuali. Se, nella vecchia sede, l’Utopia metteva a disposizione della sua selezionata utenza, in orario serale, la possibilità di bere qualcosa, nella nuova i libri condividono gli spazi – più ampi – con una vera e propria osteria aperta tutto il giorno. E dopo che, nella primavera 2014, anche la nuova Utopia ha deciso di traslocare nuovamente, il suo spazio accanto all’osteria – che, invece, è rimasta – è stato occupato da un altro libraio, certo persuaso della plausibilità commerciale della formula. Formula che, mi sembra, intende sostanzialmente distinguere la libreria indipendente dal megastore, enfatizzando, anche attraverso la consumazione di cibi, i significati di condivisione e di appartenenza impliciti nell’atto dell’acquisto.
L’impatto dell’accoppiata libro-cibo, nato in un certo senso contro le catene, delle catene ha sollecitato poi l’interesse. Tutto ha inizio nella grassa Bologna, città che da secoli, come ricorda l’epiteto, ospita una tradizione culinaria d’eccellenza. Nel 2008 Coop Adriatica, che qualche anno prima, con Coop Consumatori Nordest, Nova Coop Piemonte, Unicoop Tirreno e Coop Liguria, aveva fondato le librerie.coop, si aggiudica il bando per la ristrutturazione e la gestione del grande spazio (1450 metri quadrati) dell’ex cinema Ambasciatori, dove viene aperta, in una centralissima via della città, l’omonima libreria. Coop Adriatica possiede inoltre, con altre Coop, un’importante quota di Eataly, il noto marchio gastronomico del piemontese Oscar Farinetti, il cui successo sta nella diffusione, a prezzi accessibili, di generi alimentari di alta qualità artigianale. La ristrutturazione degli ampi ambienti dell’Ambasciatori, così, offre l’opportunità per avviare una collaborazione tra librerie.coop e Eataly nel contesto di uno spazio multifunzionale in cui sono presenti, oltre agli 85.000 volumi dell’assortimento librario, un articolato spazio ristorazione – caffetteria, osteria, spaccio gastronomico – e un’area per presentazioni e altri eventi. Quindi molto di più di una semplice libreria con bar: lo slogan, che recita “cultura come cibo e cibo come cultura”, rimanda a una concezione allargata della promozione culturale in cui, con le parole di Domenico Pellicano, presidente di librerie, coop, «le proposte gastronomiche di alta qualità sono sapientemente abbinate alla qualità delle proposte letterarie e le due non fanno che trainarsi a vicenda».
L’Ambasciatori, dice Pellicano, rappresenta un caso unico all’interno della sua catena, ma dall’esperienza bolognese si consolida un accordo che prevede, dal 2012, la creazione di uno spazio per la vendita dei libri all’interno di undici negozi Eataly in Italia, spazio gestito direttamente da librerie.coop. Secondo il progetto, ogni area gastronomica o ristorante di Eataly propone libri a tema: nel ristorante vegetariano libri sulle verdure, in osteria libri sui vini e via discorrendo. Gli spazi-libro, definiti per estensione e assortimento in relazione alle possibilità della struttura che li accoglie, sono al momento undici, e si trovano a Roma, a Milano (nell’edificio dell’ex Teatro Smeraldo), a Torino (ben due negozi, complici le origini di Farinetti), a Bari, a Genova, a Firenze, oltre che in altri centri minori. L’assortimento di titoli su gastronomia e cucina, nei limiti del possibile, viene integrato con titoli relativi alla città e al territorio (come previsto dal format delle librerie.coop), e ovviamente con i bestseller del momento.
Insomma un vero e proprio matrimonio d’interesse e d’amore tra libri e vivande, che viene celebrato anche da un altro eminente protagonista del mercato italiano, Feltrinelli. Che apre, nel luglio 2012 a Roma, il primo punto vendita del suo nuovo formato Red, una nuova catena che va ad aggiungersi ai formati già esistenti: Express, Village, /^Feltrinelli libri e musica. Red significa, com’è noto, “rosso” in lingua inglese, e rimanda allo storico colore aziendale; soprattutto, però, rappresenta l’acronimo – internazionalmente comprensibile – di Read, Eat, Dream, con il quale s’intende identificare, oltre alla combinazione di lettura e gastronomia, anche la piacevolezza di un’ambientazione attentamente studiata per trasformare la visita al negozio in un’esperienza, un evento. Nell’autunno 2014 i punti Red attivi sono a Firenze e a Milano, in luoghi di particolare attrattiva: più grande il primo, in pieno centro città (piazza della Repubblica), e meno esteso il secondo, tra i futuribili grattacieli di Porta Nuova, entrambi i negozi sono accomunati dall’integrazione tra libreria, ristorante e, principalmente a Firenze, uno spaccio di prodotti gastronomici, rigorosamente non industriali e selezionati da Red in collaborazione con l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, fondata nel 2004 da Slow Food con Regione Piemonte e Regione Emilia Romagna. Il servizio di ristorazione e cucina della Red di Milano è demandato all’Antica Focacceria San Francesco, storica impresa palermitana (1834) nota per l’impegno antiracket dei titolari fratelli Conticello, e dal 2013 partecipata al 95 % da Feltrinelli: come spiega Maurizio Ranieri, direttore della Red milanese, con Antica Focacceria, Feltrinelli entra nella ristorazione accanto a un partner che condivide «un patrimonio valoriale etico e di impegno civile» e «la volontà di diffondere cultura, certo attraverso i libri ma anche attraverso gli alimenti, che raccontano anch’essi una storia, rappresentano una tradizione». Per questo l’assortimento enogastronomico di Red seleziona filiere rispettose dell’ambiente (per esempio Vino Libero) e attente alla realtà sociale entro cui si collocano (la Focacceria acquista da Libera Terra molte materie prime), mentre l’assortimento librario – eccezionalmente, per Feltrinelli Red, non codificato dal format – è legato alle peculiari dimensioni del punto vendita, e compensa la sua minore estensione con una maggiore inventiva nella rotazione delle proposte.
Come interpretare il fenomeno? L’abbinamento con la cucina, nelle sue implicazioni potenti di socialità condivisa e di cultura materiale, rappresenta sicuramente una sfida (se non una reazione) alla dematerializzazione e alla delocalizzazione sempre più accentuata di molte pratiche sociali, tra cui la lettura: la dematerializzazione della lettura (e-book) e delle pratiche di acquisto (Internet) viene così contrastata tramite il recupero delle funzioni di incontro e di socialità della libreria come luogo, che vuole diventare «un social network dal vivo», come dice Ranieri. La strategia di marketing che si nasconde, nemmeno troppo occultamente, dietro la scelta di abbinare libri e cibarie, opta pertanto per la sensorialità materiale delle pratiche culinarie e associative, e per il valore esperienziale dell’acquisto, come efficaci contropartite alla facilità d’accesso e al minor prezzo della lettura e dell’acquisto elettronici: lettura e libro vengono così ri-materializzati e ri-localizzati attraverso il loro inserimento in un contesto intensamente evocativo di connotazioni identitarie di vivida concretezza (terra e cibo, tradizione e cultura): gli amanti del profumo dell’inchiostro e della consistenza della carta sono serviti. Nel contempo, inoltre, l’ibridazione tra esercizi diversi – libreria, caffetteria, ristorante – apre commercialmente nuove frontiere alla promozione libraria, principalmente in termini di estensione oraria, e quindi di allargamento della potenziale utenza: la colazione prima dell’ufficio, o il dopo cena al bar, diventano opportunità per ritirare i volumi prenotati, o ordinarne di nuovi, secondo un modello di servizio non previsto dalla libreria tradizionale (che segue, ancora, gli orari dei negozi) e che, immaginiamo, verrà ottimizzato soprattutto dalle catene, vista la superiore disponibilità di mezzi e personale.
Resta da chiedersi se l’abbinamento cibo-libri sia veramente funzionale per la promozione del libro e della lettura: gli operatori sostengono di sì, ma chiederlo a loro è un po’ come – è il caso di dirlo – chiedere all’oste se il vino è buono; vedremo, con il tempo, se a prevalere sarà la gola o la dottrina. Chissà cosa direbbe Rabelais…
 
 
Si ringraziano Domenico Pellicano, presidente di librerie.coop Maurizio Ranieri, direttore di Feltrinelli Red Milano.