Un mondo di antipatie

L’ostilità nei confronti di Amazon è sempre più diffusa non solo tra i concorrenti del digitale, ma anche tra gli editori, i librai e gli autori di tutto il mondo: numerose nei mesi scorsi le denunce, i processi, i boicottaggi e le coalizioni ai danni del colosso di Seattle. All’origine di questa antipatia c’è la crescita lenta, ma continua, di un azienda che negli ultimi quindici anni non ha sbagliato quasi nulla, giungendo ad avere un’influenza senza precedenti sulla filiera internazionale del libro.
 
Arriva un momento in cui le imprese fortemente innovatrici, quelle che cambiano le regole del gioco, quelle in cui tutti i migliori laureati del mondo vorrebbero andare a lavorare, quelle che tutti conoscono e che tutti usano per la loro capacità di servire i clienti in modo rapido efficace a basso costo, quelle che sono davvero brave, improvvisamente risultano antipatiche.
È successo. Improvvisamente tutti quelli cui Amazon sta antipatica hanno qualcosa da dire. E si parla di Amazon anche fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori; se ne parla in Rete, fuori dalla Rete. Insomma chi lo avrebbe mai detto che una libreria, per quanto molto particolare, avrebbe fatto parlare così tanto di sé?
Amazon sta antipatica ad Apple, perché per quanto i tablet e gli smartphone siano molto più versatili rispetto ai lettori di e-book, chi ama leggere e legge tanto e legge digitale trova effettivamente di gran lunga preferibile leggere su un e-reader che non su un telefono o un tablet. Saranno pochi, saranno snob, ma quando si appassionano alla lettura leggono tanto. E l’e-reader rende giustizia al testo, alla parola. No frills. Sono solo i giocatori di videogiochi che sanno appassionarsi così tanto. E quindi, Apple fa fatica a star dietro ad Amazon sui libri, come Amazon peraltro fa fatica a stare dietro ad Apple sugli altri contenuti digitali; per fortuna per Amazon ci sono Google e Samsung, che stanno molto antipatici a Apple, e che la tengono sulla corda, altrimenti quei due probabilmente litigherebbero apertamente come facevano una volta Amazon e Barnes & Noble, ai tempi della quotazione di Amazon, correva il 1997. E da allora che Amazon sta molto antipatica a Barnes & Noble, la più grande catena di librerie al mondo, che sta passando i suoi guai per colpa di Amazon e per malgoverno suo. La chiusura di Borders le ha dato un po’ di ossigeno, ma c’è poco da stare allegri. Anche perché i risultati di molte delle mosse giocate sia da Barnes & Noble sia da Amazon hanno prodotto risultati modesti per l’una e stellari per l’altra. Amazon arriva prima e gioca meglio.
Amazon sta palesemente antipatica ai grandi editori. Perché Amazon è stata bravissima nel toglier loro la terra sotto i piedi e crearsi un enorme potere negoziale. Ci sono voluti quindici anni e il risultato è sotto gli occhi di tutti. Ha cominciato a vendere libri su carta online. E lo ha fatto molto bene, con uno straordinario servizio al cliente finale, il che spiega come mai in un settore maturo, povero e fatto di pochi compratori ci fosse spazio per un nuovo canale, per di più costoso come la vendita a domicilio (e gli Stati Uniti sono grandi, e Amazon nella cartina degli Stati Uniti è partito localizzato in alto a sinistra. Consegnare un libro da 20 dollari a una signora della Florida con cortese sollecitudine deve essere stato bello costoso all’inizio, il che spiega la determinazione e l’energia a crescere tanto e molto in fretta…). Per i primi anni Amazon ha fatto il libraio online e ha messo a punto una macchina logistica impressionante. Poi ha incorporato il print on demand, comprandosi un’azienda che offriva servizi di vanity publishing, di fatto offrendo un servizio agli editori. Perché ristampare o stampare in piccoli lotti quando si può vendere prima e stampare poi? E Amazon era l’attore perfetto per gestire contemporaneamente la distribuzione fisica e quella on demand. Lavora con tantissimi clienti e con tantissimi editori. Il cliente ordina un libro, Amazon controlla, se c’è la copia fisica in magazzino impacchetta e spedisce, altrimenti schiaccia il bottone e stampa on demand. E i volumi sono tali da rendere il gioco economicamente molto conveniente, sia per l’editore sia per Amazon. Ma la danza la conduce Amazon. E quindi io sospetto che a quel punto (siamo in un intorno del 2005) i rapporti fra Amazon e gli editori abbiano cominciato a raffreddarsi, a diventare più negoziali. Non lo sappiamo, perché l’editoria è un mondo notoriamente di persone riservate, ma io penso che la ruggine sia partita da lì.
Nel 2008 più della metà delle University Press e quasi tutti gli editori di titoli di varia negli Usa stampano on demand parte del loro catalogo. E a quel punto Amazon comincia a dire agli editori che se vogliono vender libri stampati on demand attraverso la sua libreria online devono utilizzare il suo servizio di print on demand. E a novembre 2007 ha lanciato Kindle; e ha aperto su grande scala il servizio di self publishing digitale o di print on demand agli autori. E poiché la libreria online ha scaffali infiniti, non fa particolare fatica a offrire ai suoi lettori la possibilità di acquistare libri su carta, e-book pubblicati dagli editori, e-book autopubblicati.
Il lancio di Kindle non è esente da rischi. Imparare la disciplina di produrre hardware quando si è nati commercianti digitali di contenuti non è cosa di poco conto. E per stare nei costi bisogna vendere tanti Kindle in poco tempo, condizione necessaria per aprire il mercato dei contenuti digitali. E quindi Amazon abbassa con determinazione il prezzo di Kindle per aumentare al massimo la base installata, e fa tutto quello che può per abbassare il prezzo del contenuto, che è la parte del valore del libro su cui l’editore ha il suo margine. E nel caso dei libri autopubblicati organizza un modello di business per cui la percentuale del prezzo “di copertina” riconosciuta all’autore è molto alta, ma i costi dei diversi servizi editoriali e di promozione, tutti acquistabili on demand, sono tutt’altro che trascurabili e a suo carico. Amazon trasferisce il rischio imprenditoriale della pubblicazione del libro dall’editore all’autore. E intermedia. Questo sistema, davvero ben pensato e ancor meglio realizzato, danneggia gli editori da diversi punti di vista: sposta il valore del prodotto dal contenuto al contenitore (Kindle); diminuisce il valore percepito equo agli occhi del debole lettore (che comunque è il grosso del mercato) che può leggere a 0,99 la storia d’amore in ambiente ricco o il libro fantasy che avrebbe comperato su carta in edicola o al supermercato a 4,99; sottrae autori (interessati dalla prospettiva di guadagnare il 30% di 0,99 piuttosto che il 2% di 4,99 e non del tutto consapevoli dei costi occulti connessi all’autopubblicazione); ma soprattutto aumenta enormemente il grado di controllo di Amazon sulle filiere del libro, che nel frattempo sono diventate più di una, libri fisici, libri digitali, pubblicati, autopubblicati, nuovi, usati. Su tutte Amazon ha molto da dire. E poiché i suoi clienti si misurano in milioni in tutto il mondo, appare difficile ignorarlo.
Per contrastare questo potere, i grandi editori sono diventati sempre più grandi fondendosi fra di loro e si sono accordati con Apple. Erano quasi riusciti a creare un canale digitale alternativo con la potenza di fuoco di Amazon, fino a quando un giudice ha detto che no, stavano colludendo e che andava di mezzo la libera concorrenza e la tutela del consumatore. Io sinceramente faccio un po’ fatica a capire come Apple e gli editori non siano riusciti a difendersi adeguatamente e a dimostrare che una posizione di monopsonio non fa bene per niente alla concorrenza e alla tutela del consumatore, ma tant’è. Sta di fatto che la sentenza ha decisamente favorito Amazon, che nel frattempo, forte e prepotente, ha cominciato a essere sempre più demanding nei confronti degli editori, finché questi non hanno cominciato a protestare apertis verbis. Prima Macmillan, poi Disney, poi Hachette. Scatenando tutte le altre antipatie e rendendole pubbliche.
Così adesso sappiamo che la posizione nei confronti di Amazon di alcuni piccoli editori – quelli della “coda lunga”, sistematicamente tagliati fuori dalle librerie e con enormi problemi di visibilità, per i quali Amazon sembrava la panacea – si sintetizza in un proverbio milanese: «piuttosto che niente, meglio piuttosto». Amazon ha reso possibile a molti editori essere trovati dai lettori. Però la presenza in Rete è condizione necessaria ma non sufficiente per essere visibili e acquistati. Amazon ha moltiplicato i mercati dei libri e ha stimolato una crescita enorme dei titoli in commercio, ma questo ha significato visibilità e gloria per un numero minuscolo di autori. Che sanno bene che le remote possibilità di successo dei propri sforzi editoriali si basano su un faticoso gioco di sponda fra moltissimi canali, fisici e virtuali; probabilmente poco costoso in termini economici ma molto dispendioso in termini di tempo.
E sappiamo che Amazon è una azienda molto appetibile per pochi brillanti laureati di tutto il mondo, ma che offre tante opportunità di lavoro faticoso, ripetitivo e con nulle prospettive di crescita. Buona parte del suo business dipende da una efficientissima macchina logistica. E le efficientissime macchine logistiche sono ossessionate dall’efficienza. E sappiamo anche che Amazon fattura molto in tanti Paesi ma paga le tasse là dove costa meno pagarle; e questi fatti bastano a rendere Amazon decisamente antipatica a molti, indipendentemente dal fatto che operino nelle filiere del libro.
Tutta questa antipatia diffusa sta producendo conseguenze, a velocità, intensità ed efficacia diverse: per esempio, sta portando a una attenzione rinnovata alle boccheggianti librerie, al lavoro delle biblioteche, ai modelli partecipati. E naturalmente sta stimolando l’azione di lobby nei confronti del legislatore. Negli Stati Uniti diversi autori di bestseller hanno firmato ciascuno 5.000 copie dei propri titoli per permettere a Barnes & Noble di avere un’offerta esclusiva per la campagna di vendita di Natale, di gran lunga il periodo dell’anno in cui si vendono più libri, e diversi gruppi di attivisti spingono a boicottare Amazon. In Europa è in discussione una proposta di legge che propone di tassare le imprese multinazionali a tassi proporzionali al volume di affari nei diversi Paesi in cui operano. E fuori dai libri, i vari Google, Samsung, Apple, Sony, Walmart, e le aziende che offrono servizi cloud fanno e faranno del loro meglio per favorire o ostacolare Amazon. Insomma c’è baruffa nell’aria; e c’è un sacco di lavoro da fare, anche per Amazon. Gli e-book sono un prodotto maturo negli Stati Uniti e un prodotto nato stanco in molti altri Paesi. E l’evoluzione dell’e-book non è detto che sia una nuova forma del libro, o che le storie si raccontino sui libri. Bezos si è comperato il «Washington Post», ma non sappiamo se Amazon si occuperà di educazione o di giornali.
Staremo a vedere: certo è che, per quel che riguarda il mondo del libro, sarà difficile contrastare Amazon se non si diventa un po’ come lei: coraggiosi, determinati, con visione. E dannatamente bravi e veloci nell’esecuzione.