L’editoria italiana oltreconfine

Nel quadro di un mercato domestico sempre più asfittico, la vendita dei diritti estensi segnala per la costanza di risultati positivi, di durata almeno decennale. L’istituzione però valorizza poco la cessione di licenze, forse perché l’export italiano fa buone cifre soprattutto in settori come i libri d’arte o per bambini e ragazzi, assegnando alle opere letterarie un ruolo di secondo piano. La scelta di puntare sulla vendita di diritti all’estero, da realizzarsi con un ventaglio di attività di promozione mirata, potrebbe invece essere di giovamento per tutti i comparti del settore.
 
Se il 2013 è stato l’ennesimo annus horribilis dell’editoria italiana, con un calo generale di fatturato del 13,1% e una contrazione della platea di lettori del 6%, i tiepidi dati di vendita del 2014 dimostrano che la caduta di mercato, in particolare del canale trade, ha assunto caratteristiche permanenti e solo in via marginale è stata controbilanciata dall’espansione degli acquisti digitali. L’e-book italiano, pur in crescita, si configura come una tendenza nuova e ancora minoritaria per una nazione che è abituata a spendere poco e di rado per i consumi culturali e in particolare per gli acquisti di tipo libresco.
Così quindi commentava Marco Polillo, presidente dell’Associazione Italiana Editori alla Buchmesse dello scorso ottobre, in occasione della presentazione del Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia-. «In tre anni il settore ha perso circa il 20% del suo valore. Lo vediamo, d’altro canto, dal quotidiano stillicidio di notizie di chiusure di librerie, di colleghi editori sempre più in difficoltà, che sperimentano – spesso per la prima volta nella loro storia – la necessità di ricorrere a cassa integrazione o a forme di mobilità».
Uniche luci nella tetra cornice dei dati rilevati da Aie, i risultati della vendita di diritti italiani all’estero: essi affermano una tendenza positiva e stabile che, dall’inizio degli anni Duemila, ha portato a un netto incremento dei titoli nostrani che hanno trovato casa all’estero, con una leggera flessione solo nelle ultime due rilevazioni.
 

 
La vendita di diritti di libri e autori italiani a editori stranieri cresce a una velocità doppia di quanto acquistiamo, toccando il + 155% di variazione in poco più di dieci anni. E cresce più della produ-zione editoriale: se i titoli in commercio aumentano del 3% ogni anno, le cessioni di titoli italiani all’estero, secondo lo stesso Rapporto Aie, crescono del 7% di anno in anno.
Un miracolo di produttività che dimostra il vitalismo di un settore tanto curioso di ciò che succede fuori dai confini nazionali, quanto orgoglioso di assicurare alle proprie idee un pubblico più vasto di quello italofono. Eppure, l’attività di foreign rights sales stenta ad avere un posto di rilievo sia nei meccanismi della produzione editoriale sia nella considerazione che le istituzioni normalmente rivolgono al settore.
Le ragioni di una tale trascuratezza si leggono forse negli stessi dati: scomponendo il fatturato dell’export nostrano, si scopre che non tutti i comparti editoriali riportano gli stessi risultati, in termini di licenze vendute in altri Paesi. La narrativa copre solo il 16,6% dell’export, mentre più dell’80% dell’attività di cessione diritti esteri riguarda il settore bambini e ragazzi (45%), la saggistica (21%) e il libro illustrato, d’arte, lifestyle, design o fotografia (15%). Le proporzioni appaiono quindi rovesciate rispetto al peso che la nostra tradizione normalmente accorda alla produzione umanistico-letteraria, e distorte rispetto all’abituale marginalità di alcuni settori, come il libro d’arte e il libro per ragazzi, che insieme pesano non più del 14% della produzione editoriale italiana.
 

 
Se la vocazione internazionale di queste due aree dell’editoria spinge le rispettive bilance commerciali nella direzione del pareggio, le patrie lettere stentano invece a essere rappresentate all’estero, e non da oggi. La pioneristica ricerca di Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Copy in Italy, ha dimostrato come la nostra narrativa d’autore, nelle sue affascinanti peripezie all’estero, non abbia mai generato grandi numeri in termini di fatturato, riuscendo a esportare assai di più i titoli di intrattenimento – e capaci di alte tirature già in casa – che non la letteratura aggiornata e più affine al gusto europeo. E per quanto suoni del tutto naturale che un autore di grandissimo successo come Fabio Volo abbia avuto traduzioni in più di ventidue lingue, stona un po’ che i vincitori del premio Strega possano ambire al massimo a una manciata di edizioni straniere.
Fuori dai confini nazionali, la nostra narrativa sconta la mancanza di serialità: un dispositivo tanto disprezzato dai nostri romanzieri quanto ricercato dal compratore estero, che ovviamente vuole rassicurazioni sulla solidità e sulla riconoscibilità editoriale del suo acquisto. Inoltre, il genere italiano di maggior successo oltreconfine si dimostra senza troppe sorprese il crime novel: soprattutto in quei Paesi beneficati da un ampio pubblico di lettori forti e curiosi di aprirsi ad altri orizzonti culturali, come quelli di lingua tedesca, spopolano autori come Lucarelli, Carofiglio, Camilleri e ovviamente Saviano, concordemente a un’immagine della nazione italiana che fatica ad andare oltre gli stereotipi ben noti.
Eppure, rispetto ad altri settori editoriali, si può dire che la fiction letteraria sia forse stata l’unica a ricevere, negli anni passati, un qualche sostegno da parte delle istituzioni: l’attenzione ministeriale all’export librario si è infatti concentrata principalmente su di essa, realizzandosi per lo più nelle forme dei sussidi alla traduzione di qualità, erogati a vantaggio delle case editrici straniere. La lista dei contributi del Ministero Affari Esteri assegnati nel 2013 per la promozione del libro italiano rivela una decisa predilezione per il sostegno alla nostra narrativa più tradizionale, con fondi stanziati anche per l’edizione di classici (Petrarca, Boccaccio, Manzoni, Pavese, Pirandello) o per la diffusione di solidi bestsellerist nostrani all’estero (Eco, Magris, Fallaci, Vassalli, Mazzantini) ; pochissime invece le assegnazioni in favore della saggistica, dei libri d’arte e dei libri per bambini e ragazzi.
Da un punto di vista meramente economico, potrebbe sembrare paradossale decidere di non investire nei settori trainanti dell’industria, per proteggere invece quelli più fragili: ma è parimenti ovvio che tra i compiti di un’istituzione culturale ci sia quello di promuovere l’identità di una nazione attraverso le opere che essa ritiene più prestigiose o che la rappresentano più compiutamente. Viene allora da chiedersi se non sia auspicabile un’integrazione tra i due orientamenti, quello più letterario e tradizionale e quello più sensibile ai dati di fatturato. O quantomeno, se non sia possibile disegnare una strategia di cui possano beneficiare entrambi.
Come spesso accade, la terza via in effetti esiste e passa per azioni pratiche, di grande valore per chi opera nel settore. Innanzitutto i sussidi di traduzione: al momento l’editore straniero che voglia avvalersene è costretto a una gincana burocratica di ambasciate e istituti di cultura, dove raramente trova documenti disponibili nella sua lingua. Una riforma a costo quasi zero prevederebbe la semplificazione delle procedure di assegnazione, sul modello di Paesi come la Germania, o ancora di più i Paesi Bassi e la Catalogna, che hanno fatto delle politiche di sostegno alla traduzione uno strumento potente di affermazione della loro cultura all’estero. Tutti i comparti editoriali ne ricaverebbero uguale vantaggio.
Ancora più importante sarebbe continuare sulla strada dei contributi per i saggi di traduzione in lingua inglese, interrotta dal Ministero nel 2012 e non rinnovata per gli anni a seguire. Considerato l’esiguo numero di editor e buyers esteri che conoscono la nostra lingua, le sample translations in inglese giocano un ruolo cruciale nel consentire ai partner stranieri l’accesso vero e proprio ai nostri contenuti culturali. Una cura particolare meriterebbero in questo senso i traduttori dall’italiano verso altre lingue, spesso promotori inconsapevoli delle gemme nostrane: è buona pratica di altre nazioni quella di riunirli periodicamente in patria, per aggiornarli sulle novità del mercato e farne ambasciatori di cultura all’estero.
In termini di internazionalizzazione, molto è stato fatto negli anni passati da Aie e dall’istituto nazionale per il commercio estero per promuovere la presenza di padiglioni italiani alle diverse fiere e vincere la resistenza di specifici mercati: missioni bilaterali sono state dedicate anche a Paesi emergenti, solitamente assai desiderosi di assorbire contenuti culturali diversi dai propri. Il grande valore di queste iniziative, a carattere periodico, sembra però evidenziare, di converso, l’assenza di una politica costante e istituzionale di lobby in g, che ad esempio incoraggi stabilmente la presenza di autori italiani nelle principali occasioni di dibattito culturale all’estero, o che crei sinergie tra i vari settori industriali per promuovere un’immagine del nostro Paese libera dai ritriti luoghi comuni.
Se il confronto con la concorrenza europea risulta ancora per lo più impietoso, soprattutto in termini di fondi e investimenti strutturali, in verità alcuni segnali di cambiamento esistono. E recentissimo, ad esempio, il varo di Booksinltaly.it, un nuovo portale web di impostazione bilingue, italiano-inglese, che intende promuovere il libro italiano all’estero mettendosi al crocevia di enti e istituzioni diverse: il sito si propone come una vetrina della migliore produzione libraria contemporanea, offrendo all’attenzione dei buyers esteri eccellenti recensioni d’autore e pagine tradotte delle novità di punta per i romanzi e la saggistica, classifiche di vendite settimanali, interviste e approfondimenti tematici, accanto a strumenti di uso immediato, come la banca dati dei traduttori editoriali, le schede anagrafiche di editori, autori e agenti, gli aggiornamenti su eventuali finanziamenti alla traduzione.
Nelle intenzioni dei promotori, il portale vuole inoltre dare l’abbrivo a un’iniziativa più vasta, di durata triennale e dall’inedita centratura milanese. Nella città motore dell’editoria, il progetto Copy in Milan si propone di realizzare un’integrazione di spazi e strumenti per favorire la formazione dei professionisti del settore e potenziare l’internalizzazione della filiera. L’iniziativa, pensata per Expo 2015, promossa dal Ministero degli Affari Esteri, dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Centro per il libro e la lettura in collaborazione con Aie, con il sostegno oltre che di Fondazione Cariplo, anche di Regione Lombardia e di Comune di Milano, ambisce ad avere una risonanza internazionale e metterebbe a disposizione, anche ai comparti meno letterari del settore, uno spazio fisico e una serie di attività pensate per accrescere il know-how tecnico del distretto lombardo.
Occorre poi citare il caso di Europa Editions, lo spin-off statunitense di Edizioni e/o che, grazie anche, ma non solo, al “fenomeno editoriale” Elena Ferrante, sembra aver colto anzitempo l’auspicio che Richard Charkin rivolgeva agli editori stranieri nel suo discorso d’apertura al Frankfurt’s Rights Directors Meeting di quest’anno: l’executive director di Bloomsbury e attuale presidente di Ipa (International Publishers Association) invitava gli editori di tutto il mondo a sorpassare l’approccio ormai scontato della vendita dei diritti all’estero e di farsi essi stessi editori in lingua straniera, osando avventurarsi in mercati e tra pubblici sconosciuti.
L’auspicio di Charkin – assai poco gradito al popolo degli agenti letterari – può valere senz’altro da sprone per i pochi editori fortunati e lungimiranti, che non manchino di sprezzo di pericolo: per tutti gli altri, forse meno temerari ma più avveduti, rimane affidato alla concretezza delle buone pratiche – pazienti, lente ma incardinate nelle specificità dell’industria – il compito di spingere le curve già promettenti dei foreign right sales a toccare le punte d’eccellenza di altri celebri export italiani.