La bicicletta della narrativa scolastica

Se è possibile paragonare la narrativa scolastica a una bicicletta per bambini, allora è possibile sostenere che l’apparato didattico (ossia il corredo di note e schede che accompagna l’opera narrativa per chiarirla o commentarla) è come le due rotelle collegate alla ruota posteriore: favoriscono l’apprendimento e, una volta esaurito il loro compito, possono essere svitate e accantonate. Peccato che, nella maggior parte dei casi, prosa narrativa e impianto critico, cioè bicicletta e rotelle, siano saldati in un inscindibile e pesantissimo oggetto, ben poco congeniale per un giovane discente.
 
Esistono, nella letteratura del Novecento, diversi sistemi di classificazione e comparazione. Italo Calvino, riprendendo Isaiah Berlin, ricorre agli animali, cita la volpe e il riccio, li usa per definire se stesso, i suoi colleghi, le opere da loro prodotte. Io sono volpe scrive in una lettera del 1978 a Guido Almansi Moravia e Gadda sono istrici, mentre Pasolini è nel contempo istrice e volpe.
Wystan Hugh Auden si serve dei personaggi letterari. Gli scrittori, salvo i supremi maestri che trascendono qualsiasi sistema di classificazione, sono nella maggioranza dei casi o tante Alici o tante Mabel. Rimandano ad Alice, Jane Austen, Virginia Woolf, Paul Valéry; a Mabel, Charles Dickens, Fedor Dostoevskij, James Joyce.
Sulla scorta di tali numi, proviamo a chiedere soccorso a un’immagine: il libro di narrativa scolastico è una bicicletta per bambini. La prima bicicletta di un bambino, escludendo per ovvie ragioni il triciclo, possiede, collegate alle ruote posteriori, due rotelle. Favoriscono l’apprendimento del mezzo dando stabilità ed equilibrio. Esaurito il loro compito, che in genere dura qualche mese, vengono svitate e accantonate. La loro utilità sta nell’essere smontabili. Le rotelle della narrativa scolastica si chiamano apparati didattici. L’apparato didattico è un corredo di note e schede che accompagna l’opera narrativa nel desiderio di chiarirla o commentarla; raccoglie al suo interno una serie di esercizi di varia natura e difficoltà. E la presenza dell’apparato/rotelle a differenziare il libro di narrativa per la scuola dal libro di narrativa tout court.
Pur non mancando le eccezioni, i casi in cui le rotelle sono costituite da un allegato fascicolo che consente autonomia d’uso e di lettura (sono così concepiti, per citare come esempio le due opere più note, Ragazzi di vita dell’editore Archimede e Quer pasticciaccio brutto de via Merulana dell’editore Garzanti), la maggior parte delle collane scolastiche legano prosa narrativa e impianto critico, saldano in un unico, inscindibile oggetto bicicletta e rotelle. Appare chiaro che un prodotto editoriale così concepito e appesantito può vivere soltanto segregato in un’aula. Risulta difficile immaginare che un lettore dotato di senno e possibilità di scelta (lo stesso studente liberato dai legacci dell’imposizione didattica) si metta a sbrogliare le matasse di domande, schemi, confronti, tipologie, questioni narratologiche e dettagliate analisi che infestano la lettura.
Stefano Benni, non molto tempo fa, ha allestito una lista di temi e di esercizi allo scopo di «convincere definitivamente gli alunni a smettere di leggere». Desiderava fare ironia sul tema, eppure la più estrema tra le sue proposte la figura di Renzo nei Promessi sposi se avesse avuto un cellulare non si allontana di molto da diversi casi incontrati nel reale.
L’adolescente/discente è dunque costretto a scriteriate pedalate. Regolato e guidato dalle rotelle, egli avanza nel testo con fatica: cerca lo scarto, il balzo, la virata. Ogni via d’uscita gli è preclusa. Si limita allora, dinanzi all’incombere della pena, a chiedere: «quanto è alto?». La libertà invocata dai pedagoghi e dai promotori della lettura finisce col diventare paradosso. Come un romanzo, col suo ruffiano decalogo appeso all’albo dei diritti studenteschi (ma anni prima di Pennac, sullo stesso tema, Hans Magnus Enzensberger era parso più incisivo e sorprendente) è proposto a scuola con le sue rotelle di note ed esercizi (edizione Paravia).
Questo il principio. E basterebbe a liberarsene ridurre il tutto a una sola indicazione che preveda, ultimata la lettura (o interrottala per il dispiacere che arrecava), di fotocopiare e leggere in classe una sola pagina ritenuta meritevole e farne casomai col tempo antologia. Resta in ogni caso inteso che l’uso dei materiali adibiti alla costruzione delle rotelle e la scelta delle biciclette su cui issare i corridori è invero vario. Né mancano le singolarità. L’edizione per la scuola e quella nei tascabili Einaudi, che l’ha nel tempo preceduta, dei Consigli a un giovane scrittore di Vincenzo Cerami sono del tutto eguali. Non c’è una nota, una domanda, una sola ipotesi o griglia di lavoro che permetta di differenziarli. Si registra persino una sorpresa: il tascabile ha una nota biografica che manca allo scolastico. Eppure il prezzo muta: l’edizione per la scuola risulta più costosa, e ci sembra che questo dica tanto.
In generale il rapporto tra biciclette e rotelle varia da collana a collana. Esistono apparati ingombranti, che arrivano a insinuarsi tra i capitoli fino a risultarne maggiori in estensione, e apparati lievi. Sono lievi i coraggiosi titoli della collana «Iride» (Adelphi-La Nuova Italia) che danno ulteriore dignità a scrittori appartati o poco noti (Anna Maria Ortese, Alberto Savinio, Guido Morselli) e costruiscono intorno a loro una rete di letture parallele, un sistema di assonanze che porta a passeggio l’opera tra quelli che si ritengono suoi simili. E sono ancor più lievi i testi della Einaudi scuola con una Letteratura del Novecento costruita sul modello di un tascabile, senza alcuna proposta operativa o esercizio di scrittura. Comunque anche in questi casi fortunati gli apparati didattici le rotelle contribuiscono al farsi del volume con una percentuale che quasi sempre supera il 20%. Su un totale di 196 pagine Il sorriso dell’ignoto marinaio di Vincenzo Consolo, romanzo «ben costruito» e dall’arduo impianto, conta 33 pagine di schede per approfondire (interviste all’autore, pagine critiche, bibliografia), 19 di prefazione e 518 note a piè del testo.
Altrove il rapporto tra le parti diventa strabiliante. Lutti giù per terra di Giuseppe Culicchia (edizioni Garzanti) conta 119 pagine di «strumenti per una lettura consapevole» (e si elencano tra questi 233 note): l’apparato ha superato in estensione il romanzo (119 a 109).
Né questi dati incupiscano poiché c’è dell’altro. Adriano Colombo, citando una ricerca condotta dal Giscel Emilia-Romagna sulle antologie più adottate, fa notare come gli apparati occupino dal 50 al 70 % dello spazio in quelle per la scuola media e dal 46 al 62 % in quelle per il biennio delle secondarie.
Ma abbandoniamo le rotelle. Fingiamo, per convenzione, (Pignorarne 1 esistenza. Riprendiamo la bicicletta narrativa sull’orlo di una corsa a tappe. L’agone presenta un esito scontato in quanto il prodigioso don Lisander distanzia ogni inseguitore (e Verga e Pirandello e Svevo). Vivono del resto tutti questi autori molteplici parallele esistenze (si contano ad esempio più di dieci edizioni scolastiche de I Malavoglia, altrettante de La coscienza di Zeno) e vedono nel contempo raggruppate le loro opere in modi singolari: si arriva a titolare Racconti delle rondini una scelta delle Novelle per un anno.
Esclusi i sommi per manifesta egemonia e limitato pertanto l’ordine di arrivo al solo secondo Novecento, il testo più adottato risulta Se questo è un uomo. Gli altri seguono a distanza e sono Il resto di niente del sorprendente Striano, Fontamara di Silone, La luna e i falò di Pavese, ed ancora Il Gattopardo, La vita è bella, Sostiene Pereira, Il giorno della civetta. Leonardo Sciascia è l’autore che ha il maggior numero di titoli cinque nella scolastica delle superiori; seguono Vasco Pratolini (4), Giuseppe Berto (3); Italo Calvino, da poco uscito da intricate vicende di diritti, arranca con sorpresa (due titoli, come Buzzati) rifacendosi in altra sede (otto titoli nelle letture per la scuola media). Questo gruppo, senza raggiungere le posizioni di testa, costituisce nel suo insieme un paesaggio variegato. Oltre alle opere già elencate si notano le asperità di una sintassi sulfurea (il Pasticciaccio di Gadda ), diversi componimenti misti di storia e d’invenzione con rimandi al mondo greco (Lo scudo di Talos di Valerio Massimo Manfredi), medievale (I dodici abati di Challant di Laura Mancinelli), seicentesco (La chimera di Sebastiano Vassalli), e persino la futuribile ipotesi di un uomo rimasto solo sulla terra (Dissipatio H.G. di Guido Morselli). Resta ai campioni conclamati dalla critica come classici viventi l’onore di andare in tandem e di essere comparati con i grandi del passato. Così, in una collana intitolata «Specchi» (Bruno Mondadori) Giani Stuparich è accanto a Hermann Hesse, Alberto Moravia a Fëdor Dostoevskij, Dino Buzzati a Robert Louis Stevenson, Giuseppe Pontiggia a Joseph Conrad, entrambi garanti della vitalità del racconto di formazione.
Per la categoria degli scrittori giovani (ma l’aggettivo in questo caso risulta insulso) la partecipazione al tour della scolastica è di già un premio: sancisce infatti l’ingresso tra gli illustri e allora, come accade nelle cronache dedicate alla provincia, ne diamo l’elenco come fosse una vittoria: il già citato Culicchia, il Baricco di Novecento, il Lodoli de I fannulloni, la Tamaro de La testa fra le nuvole e la Capriolo dei suoi primi racconti (La grande Eulalia). Hanno tutti l’apparato e note a piè di pagina. Altri, come la Ballestra che chiude, più giovane esponente tra 18, una raccolta ahinoi di racconti di sole donne, attendono nel limbo delle antologie, confidando in una prossima autonomia.
La corsa così procede e si ripete, controllata dalle grandi squadre editoriali che hanno il beneficio di accedere ai munifici – e tutelati dal diritto – cataloghi delle case madri (ma oggi, con la crisi del ciclismo, diremmo, con impertinenza, che si tratta di ricche farmacie). Suscitano costoro il lamento negli esclusi che, impossibilitati a proporre e applicare a chi vorrebbero nuove e mirabili rotelle, si trovano costretti ad affilar l’arme e gli strumenti sui già citati e arcinoti. E ne hanno amarezza e gran dispetto.
 
Si ringraziano Pietro Caracciolo, Edoardo Lugarini, Carlo Minoia, Francesco Turletti.