La libreria, l’edicola, la fumetteria

Febbraio 2003: «la Repubblica» lancia uniniziativa editoriale davvero innovativa e originale, «I classici del fumetto». Firme qualificate e storiche del settore, accurata e martellante campagna pubblicitaria, eleganza grafica dei volumi, note informative sugli autori. Uniniziativa che, si spera, possa dare una scossa al sonnacchioso mercato (e al pubblico) italiano dei fumetti. Una sorta di terapia d’urto contro la scarsa visibilità del fumetto, apprezzato e goduto da pochi addetti ai lavori e da selezionatissimi e appassionati lettori.
 
Il giorno 25 febbraio del 2003 il quotidiano «la Repubblica» ha regalato ai suoi lettori il volume «Corto Maltese» di Hugo Pratt. E stato il primo atto di una grande operazione di marketing centrata sul fumetto, che si è poi articolata in cadenze settimanali, al venerdì, con uscite a prezzi molto contenuti (4,90 euro al volume). «Corto Maltese» è stato stampato in più di 800 000 copie, un record assoluto per un fumetto italiano. Il volume conteneva le due avventure Favola di Venezia e Una ballata del mare salato. Quest’ultima, realizzata da Pratt nel 1967, segna l’esordio del marinaio giramondo. Si tratta di un testo ormai classico e come tale apre degnamente l’iniziativa appunto chiamata «I classici del fumetto di Repubblica», che il quotidiano ha lanciato in collaborazione con la Panini Comics (direttore editoriale Marco M. Lupoi).
Il piano delle uscite (una lista di trenta volumi) è stato dato sostanzialmente nel suo insieme fin dall’inizio dell’operazione, tuttavia si è deciso di lasciare un margine di incertezza su certi titoli e sulla replicabilità di tutta l’iniziativa con una seconda serie di volumi. La scelta (o forse la necessità…) di riservarsi un margine di manovra soprattutto nelle uscite finali della serie risponde a due esigenze. La prima è quella che un lavoro in fieri impone, quanto a trattative contrattuali per acquisire titoli e diritti. La seconda, più interessante, riguarda il tipo di pubblico a cui l’iniziativa si rivolge, «la Repubblica», come altri quotidiani, ha una nutrita offerta di prodotti editoriali in edicola, dai romanzi ai cd audio ai DVD. Interpellati in merito, responsabili del marketing di «Repubblica» hanno sostenuto che una certa indeterminatezza è gradita al pubblico dei fumetti, mentre non lo sarebbe stata affatto al pubblico dei classici letterari del Novecento. In altri termini, il pubblico dei fumetti amerebbe le sorprese più del pubblico della letteratura. Tenendo d’occhio la ricezione dei volumi così come appare nei siti e nei newsgroup dedicati al fumetto, questa immagine del pubblico apparirebbe confermata: l’uscita come 19° titolo di «Asterix» è stata una piacevole sorpresa, così come le «Sturmtruppen» di Bonvi, 22° titolo.
Naturalmente è un’estrapolazione e vale come ipotesi, anche se appare realistica. Non è un atto innocente la calibratura in corsa del tipo di fumetto da pubblicare. «Pogo», ad esempio, incluso nella lista iniziale, potrebbe essere cancellato. Così Eisner, così Taniguchi. Non è lo stesso che questi autori siano presenti o no. Portare oltre le 300 000 copie «L’uomo che cammina» di Taniguchi è un atto coraggioso; portarci «Rat-Man» (18°), meno.
La seconda uscita (450 000 copie e immediata ristampa) è stato il «Tex» di Sergio Bonelli e Aurelio Galleppini, contenente A sud diNogales, del 1977, e Fiesta di morte, del 1982. Ci pare significativa questa accoppiata di lancio: un grandissimo fumetto autoriale come Corto Maltese e un grandissimo fumetto popolare come Tex Willer, entrambi italiani. Si trattava di far partire due apripista che potessero imporsi come visibilità e qualità. Dei prodotti autoriali poi, Corto Maltese è probabilmente il più popolare e, viceversa, tra i prodotti popolari Tex è sicuramente molto autoriale (chi non conosce la firma Galep?).
Le successive due uscite introducono a due universi interi, quello Marvel e quello Disney. Il terzo volume portato da «la Repubblica» in edicola è infatti «L’Uomo Ragno» di Stan Lee e Steve Ditko, il quarto è «Paperino» di Walt Disney. «L’Uomo Ragno» è probabilmente l’alfiere di tutta la squadra supereroica Marvel, peraltro ben rappresentata nella collana con ulteriori «Devil» (8°), «X-Men» (12°) e «I Fantastici Quattro» (17°). A doppiare Paperino interviene il nono volume, «Topolino».
Nella rosa delle prime dieci uscite troviamo anche «Dylan Dog» di Sciavi (5°), «Peanuts» di Schulz (6°), «Diabolik» di Angela e Luciana Giussani (7°) e «L’arte di Altan» (10°). Quest’ultimo inaugura una serie nella serie, dove non è il personaggio protagonista del fumetto, ma l’autore, a comparire nel titolo del volume. Una miniserie dichiaratamente d’autore, quindi, che comprende, oltre a quelli di Altan, lavori di un altro italiano: Milo Manara («L’arte di Milo Manara», 21°).
L’indiscutibile notorietà delle firme con cui la collana è stata lanciata le garantisce una buona visibilità. Sono autori che in una prima fase cedono, per così dire, la loro fama alla collana. In questo modo è possibile mantenere un livello di tirature molto alto, straordinario per il mondo del fumetto.
Il risultato è ancora più notevole per altri titoli meno “d’assalto” come «Ken Parker» di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo (11°) e «Max Fridman» di Vittorio Giardino (20°), di grande importanza storica il primo e di straordinaria raffinatezza narrativa e iconica il secondo.
I volumi sono concepiti con una certa eleganza grafica. La carta è sufficientemente pregiata, la copertina plastificata, opaca e con bandelle. Il formato 14,6×21 è un compromesso accettabile per prodotti che in origine sono estremamente diversificati. Forse talvolta è più la leggibilità del lettering che non il disegno a venire un poco penalizzata. Ciascun volume contiene pagine informative sugli autori, le loro storie e le loro bibliografie (a cura di Enrico Fornaroli), e sono introdotti da Luca Raffaelli che fornisce anche una breve analisi stilistica quanto mai opportuna (perché permette al lettore di riflettere – o almeno di intuire che una riflessione è possibile – sul linguaggio di quest’arte così importante e così sottovalutata).
Già come dato meramente quantitativo queste tirature segnano una assoluta novità nell’ambito del fumetto, se poi si contestualizza l’operazione all’interno del mercato italiano tale novità si carica di ulteriori connotazioni.
Il pubblico italiano del fumetto è un animale strano, perché sorprendentemente non regge il confronto con il vicino francese e tuttavia ha una forte caratterizzazione in quanto consumatore di narrazioni seriali. Sembrerebbe quindi che a fare le spese della «disattenzione» italiana sia soprattutto il fumetto d’autore.
Ma questa distinzione, che sembra chiara, forse invece non coglie tutte le sfumature e le sovrapposizioni ormai venutesi a formare nell’arte sequenziale (per dirla con Eisner) ormai maturata, divenuta adulta e sicura di sé. La serie di Sandman, ad esempio, ideata dal poligrafo Neil Gaiman, che tipo di prodotto è?
Alla distinzione fra fumetto d’autore e fumetto seriale bisogna affiancare, e forse in prospettiva sostituire, quella fra le forme della distribuzione del materiale fumettistico. Possiamo separare l’edicola (generalista, diffusa sul territorio, luogo di transito) dalla fumetteria specializzata (rara sul territorio, luogo di visita). L’operazione di «Repubblica» (ma in generale tutte le operazioni di marketing in questi anni lanciate dai quotidiani) tocca questa divisione in modo possente elevando l’edicola a luogo principe della diffusione culturale di massa. Nel caso delle collane di letteratura distribuite in edicola si è sollevato da più parti il quesito se esse abbiano incrementato l’interesse dei lettori per l’oggetto libro o se invece abbiano semplicemente saturato il mercato a danno, ad esempio, delle librerie. Ma le librerie in questo caso sono anch’esse luoghi generalisti di diffusione culturale (e anche tecnologica, da qualche tempo), quindi la frizione edicola/libreria ha un terreno comune su cui innestarsi. La fumetteria, invece, è una libreria specializzata e non generalista, quindi la frizione edicola/fumetteria non sembra esserci.
Infatti, proviamo a vedere come viene esposto il piano dell’opera da Luca Raffaelli in un’intervista rilasciata in rete a Giovanni Gentili (su www.ubcfumetti.com). Raffaelli allarga il discorso oltre l’iniziativa in sé: «Ma al di là di questa collana io spero che il suo successo riesca a far bene a tutto il mondo del fumetto. Magari riuscisse almeno un po’ a risollevarsi dalla “micragna” in cui vive: eccessiva e per certi versi ingiustificabile. In Italia vengono pubblicati volumi meravigliosi che nessuno recensisce sui giornali, che stanno in un angoletto da Feltrinelli e Rinascita. E pensare che siamo a due passi dalla Francia dove i libri vendono 100 volte tanto e anche di più». E aggiunge: «…i classici di Repubblica proporranno a 400 000 nuovi lettori le storie di Will Eisner, di Vittorio Giardino, di Taniguchi, e poi speriamo che il 5% di questi vadano in libreria a prendere il loro nuovo libro. Bastano 20 000 nuovi acquirenti per dare peso e ossigeno al mondo del fumetto… questo sarebbe il vero successo della collana». Poi continua (rispondendo alla domanda se il fumetto sia in crisi o no): «Aspettiamo una risposta anche da questa collana. Per ora, io risponderei di sì… Ci sono dei libri bellissimi come La vita non è male, malgrado tutto di Seth oppure lo stesso From Hell di Alan Moore, sono libri a fumetti clamorosi, da prima pagina della Cultura e invece… non vengono fuori». E conclude: «Il problema è il peso economico, un libro stampato in 5 000 copie non viene considerato, può essere un capolavoro ma non esiste, né in libreria né sulle pagine dei giornali. E questo è il secondo motivo».
Con «libreria» Raffaelli intende innanzitutto la libreria generalista e non quella specializzata. In altre parole, l’iniziativa di «Repubblica» è esplicitamente e ufficialmente (poiché Raffaelli vi è coinvolto) pensata come un momento di rottura e di svolta che potrà avere come effetto quello di dare una scossa al sonnacchioso mercato (e al pubblico) italiano. Una terapia d’urto. I numeri sono quelli: 20 000 nuovi lettori sarebbero portatori di un salto qualitativo. Il 5% della gente raggiunta con «I classici del fumetto». Ma quando si tratta di citare opere di grande valore «non viste» dal pubblico (e dai media), Raffaelli nomina prodotti da libreria specializzata.
Quindi la dinamica dell’impatto che questa iniziativa può avere sul mercato sarebbe all’incirca la seguente: diffusione di massa in edicola, raggiungimento del grande pubblico, selezione di una percentuale di affezionati, ricaduta positiva sul prodotto non da edicola.
Va detto però che il piano dell’opera non è compattamente coerente con le parole di Raffaelli. Alcuni fumetti che già sono prodotti «da edicola» potrebbero sostituire in corso d’opera altrettanti fumetti «da fumetteria». Qui c’è una frizione, a ben vedere, perché se il fumetto da fumetteria può avvantaggiarsi dell’operazione in edicola, può evidentemente farlo meglio ancora se in edicola manda un gruppetto di propri rappresentanti piuttosto nutrito. E importante sfruttare quest’occasione unica per mettere in contatto un pubblico allargato con prodotti considerati elitari, di nicchia, perché spesso a rendere elitaria un’opera è la cecità dell’informazione che dovrebbe farla conoscere. Sono ormai molti i fumetti di qualità artistica altissima, eppure i media non riescono a dar loro la visibilità che meriterebbero. David B., Jason Lutes, Daniel Clowes e altri dovrebbero essere trattati come autori, alla pari con scrittori, registi, artisti. Cosa è altrimenti l’informazione culturale? Che specificità può pretendere di avere all’interno di media quali i quotidiani, la televisione, la radio? Certo, nel momento in cui, in Italia, l’informazione è in grave crisi involutiva, e al suo interno lo è ancora di più quella culturale, può sembrare assurdo lamentare la scarsa visibilità del fumetto. E se invece fosse solo una decisa inversione di rotta a poter dare un po’ d’ossigeno a un’informazione in via di ammutolimento? E se fosse proprio la mossa sghemba quella che può riaprire i giochi? Nella cosiddetta civiltà dell’immagine, ha senso che proprio una forma d’arte così iconica debba essere snobbata?
E proprio in questo scenario, da molti condiviso, che l’operazione di «Repubblica» ha avuto un consenso così ampio. Appare improcrastinabile ormai un «generale rimescolamento di carte» nel mondo del fumetto, dei media e del pubblico. In questa prospettiva non si sono registrate con la consueta frequenza quelle immancabili liste alternative frutto del gioco «chi c’è e chi manca» solitamente scatenato da ogni proposta selettiva (dov’è Yellow Kid? Dove sono Li’l Abner e Krazy Kat? Che fine ha fatto Dick Tracy?). La situazione della posizione del fumetto nelle quote della proposta culturale è evidentemente sentita come problema prioritario, e quindi la mossa di «Repubblica» è percepita come importante in sé, per la forza distributiva che ha dimostrato.
Noi concordiamo con questa diffusa opinione. Il mondo del fumetto è una realtà piena di magnifiche sorprese, di pietre miliari della fantasia e dell’immaginazione. E un mondo autonomo con una sua ormai matura consapevolezza artistica e simbolica. Sia narrativamente, sia graficamente, il fumetto ha fatto evolvere quantità di stilemi, ha sviluppato tecniche – non meno che poetiche – del racconto altrimenti impensabili. E un’arte-laboratorio che non ha più nulla da invidiare alle più tradizionali consorelle, forse anzi è oggi la più dinamica di tutte. Gli autori italiani, giustamente presenti in modo non minoritario nell’offerta di «Repubblica», sono stati spesso all’altezza dei loro colleghi stranieri. C’è una vignetta a p. 149 di «Valentina» (13°) in cui l’eroina di Crepax e Corto Maltese si incontrano e si scambiano un paio di battute di dialogo, appoggiati al corrimano di una nave. Una citazione, ma anche un’occhiata, un cenno d’intesa fra artisti, fra le loro creature. Valentina e Corto Maltese: Yin e Yang dell’avventura. Ci piace sintetizzare in questa icona tutta italiana l’essenza del grande mondo del fumetto. La proponiamo, anzi, come logo dell’intera operazione.
Tuttavia una domanda ci sentiamo di porla: dov’è finito il Giappone in questa collana? E ben vero, come afferma Raffaelli, che un capolavoro come La storia dei tre Adolf di Osamu Tezuka per formato e dimensioni è difficilmente collocabile nella collana, ma il fumetto giapponese ha altri innumerevoli titoli di livello altissimo. La loro assenza equivale a un campionato del mondo di calcio senza il Brasile.