La forza di Bobo

L’avreste detto? C’è una linea di personaggi disillusi che va da Paolino Paperino a Homer Simpson. In mezzo, c’è Bobo. Staino si è appropriato politicamente di un mito del fumetto per rinnovare la satira: Paperino era il personaggio che poteva rappresentare il disagio e la frustrazione del militante di sinistra alle prese con il tramonto delle ideologie e delle fantasie rivoluzionarie, con i partiti che slittano, con la ricerca di leader che mostrino nella pratica ciò che professano a parole. Bobo è il suo Paperino, rimodellato e aggiornato a partire dalle proprie frustrazioni; perché solo la consapevolezza può rendere più forti di chi è Gastone.
 
C’era un giochino che andava di moda qualche decennio fa. Quello di chiedere (o chiedersi) se i personaggi dei fumetti fossero di destra o di sinistra. Queste divisioni erano allora più categoriche di quanto, almeno apparentemente, risultino oggi. Si trattava di un’inchiesta folcloristica, di quelle che funzionano soprattutto nelle parti più popolari di un quotidiano o di un settimanale. Molti, di fronte a quel giochetto, storcevano il naso, soprattutto nel mondo del fumetto. Ma il problema di quei minisondaggi non era tanto nella domanda; il problema era nella superficialità delle risposte. In base a cosa Tex veniva considerato di destra o di sinistra? Quali azioni specifiche facevano mettere Batman tra i reazionari e Ken Parker tra i progressisti? Insomma, credo che l’idea di un’analisi politica dei personaggi dei fumetti non sia affatto peregrina e non sarebbe affatto sbagliato affrontarla anche all’interno dei mondi fantastici in cui questi vivono. Sarebbe piuttosto una fatica, ma piena d’interesse. E non, ovviamente, per cercare le sciocche suddivisioni che il Gaber disilluso e purtroppo un po’ qualunquista degli ultimi anni ha preso in giro (la doccia è di sinistra, il bagno è di destra), ma perché nelle azioni quotidiane, nelle parole usate, negli obiettivi che si prefigge un personaggio dei fumetti si nasconde forzatamente un’intenzione etica che si può tradurre in idea politica. In molti casi ci sarebbe da discutere perché, nonostante la struttura seriale di molti fumetti di successo, il comportamento dei personaggi non è coerente, come nella maggior parte degli esseri umani. Tanto più in personaggi che non esprimono teorie, ma mostrano prassi.
Prima o poi arriveremo a Bobo, ma c’è ancora un passaggio da fare. Quello che ci porta all’analisi (appena accennata, come può esserlo in uno scritto breve come questo) di due popolari figure del fumetto disneyano: Gastone e Paperino. Zio Paperone mettiamolo da parte: è la dimostrazione di come il capitalismo possa essere rappresentazione di una forma di disagio psichico che si trasforma in malattia sociale. Gastone, invece, è proprio la personificazione di un razzismo di classe: egli è fortunato mentre quasi tutti gli altri non lo sono, egli è felice ed è felice solo attraverso il denaro. Gastone è un personaggio che non esiste, esiste solo la sua fortuna, eccessiva e «antieducativa»: le favole ci hanno sempre insegnato che la propria bontà si deve costruire e alla fine viene ricompensata. Gastone è una maschera che non costruisce proprio nulla, creata solo per sottolineare la differenza con la normalità. Paperino è il suo contrario. Ma non perché è sfortunato, come solo talvolta è e come si dice di solito. Paperino è il suo contrario perché è un personaggio pervaso dalla frustrazione, perché le sue speranze vengono sempre vanificate, perché non riesce a essere fino in fondo un papero soddisfatto di sé e della sua vita.
Sergio Staino, quando ha cominciato a realizzare Bobo (era la fine degli anni settanta), ha capito che Paperino era il personaggio che poteva rappresentare il disagio e la frustrazione del militante di sinistra alle prese con il tramonto delle ideologie, delle fantasie rivoluzionarie, alle prese con i partiti che slittano (anche questa è di Gaber, ma del più illuminato), con la ricerca di leader che mostrino nella pratica ciò che professano a parole. Anche in virtù di una visione alta e democratica della vita, in cui raccontare le proprie debolezze è segno di forza, Sergio Staino decide che un suo Paperino, rimodellato e aggiornato, avrebbe dovuto essere il se stesso protagonista delle sue storie satiriche a fumetti. Un Paperino che non ha fidanzata e nipoti, ma una moglie e due figli, esattamente come nella realtà. Perché, a differenza di Paperino, Bobo ha a che fare con la realtà vera, con il suo privato che diventa pubblico e con il pubblico che si ritrasforma nel privato. A differenza di Paperino, Bobo ha la coscienza di essere quello che è: un personaggio, perfino uno strumento, talvolta. Così Staino si è appropriato politicamente di un mito del fumetto per rinnovare la satira che fino allora aveva raccontato certezze (magari deluse) e preso per il culo (aumentando cattiveria e goliardia anarcoide) i nemici (che è cosa vecchia. E poi, come si fa, se le certezze non ci sono più?). Staino parte dalle proprie frustrazioni, perché solo attraverso una crescita personale si arriva a essere più forti di chi non ha bisogno di costruirsi, di chi è Gastone e dunque non avrà mai consapevolezza della realtà (anche se, magari, potrà continuare a vincere).
Poi: se Bobo ha ripreso la tradizione paperinesca che Cari Barks ha creato per la ditta Disney, d’altra parte è stato anche anticipatore dei temi proposti dai Simpson. Ma se Matt Groening ironizza pesantemente sulla propria famiglia come può fare un creatore cattivo e comprensivo allo stesso tempo, come un Dio che sa ridere della fragilità, volgarità, limitatezza delle proprie creature, Bobo sa già che Dio è morto, che tutto quel che si può fare del mondo passa attraverso le nostre scelte, la nostra forza nel continuare a sperare e la nostra capacità di raccontarci.