Valentina, il glamour del sadomaso light

Dall’esordio come comprimaria sulle pagine di «Linus» alla consacrazione a primadonna della narrativa disegnata italiana, con la monumentale edizione del «Corriere della Sera», Valentina si offre come uri interprete dell’emancipazione possibile: autonoma, disinibita e à la page. L’ammirevole talento di Crepax per la composizione visuale le consente di riversare sulla pagina una fervida vita psichica, i cui fantasmi si intrecciano e sovrappongono alle sue avventure reali. Inclina a un eros di impronta sadiana, più in veste di vittima che di protagonista, anche se ogni esito cruento viene risparmiato in virtù della sua eterea frigidezza.
 
La monumentale edizione in diciotto volumi delle storie di Valentina pubblicata nel 2007 da «Corriere della Sera» e Panini Comics sancisce in via definitiva, con la massima amplificazione possibile, a quale personaggio spetti il ruolo di primadonna della narrativa disegnata italiana. Si tratta di una testimonianza tra le più massicce, seppure non tra le più tempestive, del rinascimento fumettistico che si viene svolgendo da qualche anno a questa parte. In confronto a una consacrazione siffatta, l’esordio di Valentina è decisamente meno ingombrante, quasi defilato: nasce sulle pagine di «Linus» come personaggio comprimario di Philip Rembrandt, critico d’arte americano agghindato con tanto di pipa e papillon, sotto le cui spoglie si cela Neutron, sorta di superspia freelance dotata del potere di immobilizzare con lo sguardo e pressoché sospendere il corso del tempo. Il primo fumetto in cui Valentina compare, che è poi il primo fumetto di Crepax, è La curva di Lesmo, edito a partire dal secondo numero della rivista di Giovanni Gandini (maggio 1965). Autore e pubblico si lasciano subito affascinare dal personaggio, destinato a una fruizione adulta e consenziente. Le lettrici trovano finalmente un’eroina che incarni le ambizioni femminili al protagonismo dell’emancipazione e dell’indipendenza, fiera della sua corporeità ma non per forza dedita alla prestazione sessuale, donna del suo tempo ma alle prese con le costanti antropologiche dell’essere muliebre. I lettori trovano una bellezza disegnata dallo spessore caratteriale tutt’altro che trasparente, sulle cui curve lustrarsi comunque gli occhi, a dispetto o anzi su pegno di tutte le autorizzazioni letterarie, intellettuali e grafico-artistiche delle quali Crepax addobba, con qualche pretenziosità, la sua «letteratura disegnata».
Ben presto Valentina scalza dal ruolo principale Neutron, di cui pure diventa la compagna nella sua quotidianità così poco ordinaria, al di là di ogni ménage matrimoniale o domestico stabilizzato. Avviata come fumetto d’intrigo internazionale, tra lo spionistico e il supereroistico, la saga di Valentina volge in breve verso un’avventurosità assai meno risaputa: dove l’imprevisto a sfondo criminale o fantastico, d’orizzonte sempre internazionale se non interplanetario, confluisce entro una prevalente dimensione di elitarismo borghese intellettualoide e snob, a base milanese, atta al dispiegarsi di una pulsante vita psichica. Il capoluogo lombardo, centro di traffici e opportunità, matrice di uno stile di vita prestigioso che anticipa i tempi e detta il gusto, occupa un posto di primo piano nell’ambientazione, alla pari con le capitali dell’Occidente industrializzato tra cui i personaggi si spostano disinvoltamente. Le vicende d’intrigo, specie quelle più fantascientifiche della stagione iniziale, sono condotte in maniera alquanto balorda, accusando i propri debiti verso il jamesbondismo degli anni sessanta. Quando le aspettative di coerenza della trama possono farsi meno pressanti, perché meno assoggettate a un disegno estrinseco e a convenzioni di genere sovrimposte, le inquietudini e gli incontri di Valentina alimentano più liberamente una reduplicazione allucinatoria del reale rappresentato: dove lo scandaglio dell’interiorità femminile prende campo in termini simbolico-analitici, e dove nondimeno baluginano riflessi dell’attualità politica più urgente.
Crepax si muove in un quadro consapevolmente autoriale, che il patrocinio di Oreste del Buono e l’accoglienza di «Linus» legittimano con piena reciprocità di sensi. Eppure egli trova nel singolo personaggio di Valentina motivazioni e sostentamento per una carriera ultratrentennale, votato a una dedizione poco meno che esclusiva, come raramente è accaduto ad altri autori nei confronti delle rispettive creature disegnate. I princìpi del fumetto seriale vengono applicati a Valentina con esiti alquanto singolari, al di fuori di organiche coordinate di genere. La narrazione si articola bensì in episodi autonomi, idonei alla pubblicazione su rivista in poche puntate, ma al contempo i vincoli di continuità e sviluppo tra un episodio e l’altro ampliano il profilo della protagonista sino a farne una figura in evoluzione, dal ricco vissuto. Crepax non persegue una concezione coesa e continuativa della vita di Valentina, tuttavia a mano a mano che le sue avventure si moltiplicano, avverte il bisogno di delineare per sommi capi un percorso, di stringere i nessi della motivazione biografica e psicologica. Perciò si danno più episodi volti segnatamente a illuminare le esperienze trascorse di Valentina o a rafforzare il sistema di rapporti tra la protagonista e gli altri personaggi principali. Diversamente da quanto in genere succede agli eroi del fumetto seriale, Valentina cresce e comincia a invecchiare, risente di un passato dorato e insieme traumatico – a partire dalla nascita in tempo di guerra –, intreccia relazioni durevoli ma non sempiterne, a loro volta mutevoli e interdipendenti: anzitutto l’innamoramento per l’etologa Effi Lang, che produce una triangolazione sentimentale con il concorso di Philip Rembrandt, e poi il rapporto con il figlio Mattia, prefigurato nell’ansia e nei fantasmi della maternità. L’invadenza iconica della protagonista è riproposta alla contemplazione dei lettori in maniera così assidua da rendere evanescenti i contorni della vicenda. Valentina è vocata a una nudità buona per tutte le stagioni, oblativa quanto gratuita: immacolata nella sua leggiadria senza malizia, di per sé estranea ai fremiti dell’eccitazione eppure disponibile all’idoleggiamento onanistico. Il cascherò di capelli alla Louise Brooks le dona un fascino d’antan, insieme con la caratura cinematografica di un Georg Wilhelm Pabst; la fisionomia slanciata acquista una flessuosità liberty per merito del segno sottile e nitido di Crepax, non immemore del Little Nemo di Winsor McCay. Se dapprincipio le sue storie sembrano ricalcare le movenze avventurose della contemporaneità tecnologica, in seguito e lungamente la carica adrenalinica dell’intreccio si stempera in una narrazione dal taglio esistenziale, di forte suggestione evocativa, improntata all’esplorazione di una femminilità moderna: fra trepidazioni, desideri, ricordi che si configurano sulla pagina con persistenza icastica e si sovrappongono, scombinandole, alle consuetudini del lavoro e degli affetti.
Il disegno di Crepax è indubbiamente ammirevole, ma i suoi risultati più significativi sono realizzati sul piano della composizione visuale: non tanto nel modo di costruire la vicenda, che talora risente di qualche incertezza nella calibratura dei registri, ma proprio nell’allestimento della tavola, nella consecuzione della striscia. Crepax sin dagli esordi si permette di trascurare la norma sequenziale del linguaggio fumettistico, cioè l’ordine di successione sintattica delle vignette, pervenendo a una sorta di sincronia narrativa della pagina disegnata. Di qui emanano il potere evocativo e, in ultima istanza, l’attitudine lirico-esistenziale di Valentina. La vignetta principale, che rappresenta i personaggi a figura intera o la scena nel suo insieme, si trova giustapposta a un fitto reticolo di vignette minute, del pari coordinate tra loro, ciascuna delle quali mette a fuoco un dettaglio che si ritrova o si inferisce già nella vignetta a tutto campo. La distanza prospettica subisce una serie di alterazioni brusche e ravvicinate. E come se l’immagine intera venisse scomposta e ricombinata nei suoi elementi particolari. Il fatto è, però, che il passaggio da una vignetta all’altra comporta nel fumetto anche uno scarto temporale. Dunque ciò che si presenta come disarticolazione e sfaccettatura descrittiva dell’immagine intera può rimandare a una successione narrativa, o instaurare parallelismi isomorfici tra azioni appartenenti a diversi ordini spaziotemporali. Nonostante le apparenze, non c’è alcuna garanzia che la pagina sia cronologicamente statica, perché ogni dettaglio, enfatizzato nella relativa vignetta, è chiamato a raffigurare un momento analogo ma non necessariamente prossimo dell’azione. Molto spesso, del resto, la vignetta si presenta come fantasia o ricordo di un personaggio: come balloon iconico di una vignetta contigua, rispetto alla quale è allineata in una medesima striscia, ripetendone la forma quadrilatera e le proporzioni. Ciò significa che un diverso ordine di tempo o di realtà viene ravvicinato nella tavola con il livello principale di rappresentazione: il fumetto del fumetto assume la medesima dignità grafica e consistenza rappresentativa del fumetto primo, semiologicamente sovraordinato. In tal modo la fantasticheria e la memoria s’innestano nel racconto principale e rimandano a esso, producendo un sistema di analogie e omologie piuttosto complesso. Gli angoli smussati delle vignette, che segnalano lo stacco tra alterità e attualità, non sempre bastano a stabilire durante la lettura solide gerarchie tra i livelli di rappresentazione. L’esitazione conseguente corrobora la vaporosità immaginativa.
A paragone dell’originalità d’impostazione grafica, che senz’altro si giova dei trascorsi di Crepax nell’ambito dell’illustrazione, più modesti sono i risultati nella caratterizzazione dei personaggi. Il mestiere di fotografa dovrebbe collocare Valentina nella parte, maschile per tradizione, di colei che guarda e controlla registicamente la scena. Tanto più che si tratta di fotografia dalla destinazione pubblicitaria o promozionale, che mette Valentina di fronte a modelle non meno avvenenti di lei, da svestire travestire manovrare a suo piacimento, secondo le necessità commerciali del committente. Se ciò convalida senz’altro il carattere spregiudicato della protagonista, e compensa il voyeurismo delle tavole in cui lei stessa, priva di macchina fotografica, appare come oggetto passivo di visione e degustazione erotica, d’altronde la colloca in situazioni di larvato lesbismo, a raddoppiare l’accaloramelo del pubblico maschile. Valentina appare partecipe e consapevole della società in cui vive, inserita in un’economia in fase di progressiva terziarizzazione, attiva nel mondo della moda e della comunicazione, titolare di una professione che non solo dovrebbe garantirle riconoscimento e distinzione sociale, un orizzonte di contatti più ampio e vario, ma anche discreti margini di creatività intellettuale: ben al di là dei mestieri subalterni e spersonalizzanti che sono riservati di solito alla donna quando si avvia alla parità lavorativa.
Di fatto, la macchina fotografica di Valentina assume connotazioni virilizzanti. E senza dubbio strumento di indipendenza economica, ma non è strumento di liberazione creativa: dovrebbe consentirle di dominare la situazione, come in effetti avviene sotto il profilo monetario e relazionale, a pena però di relegarla in un ruolo virilistico o comunque funzionale all’ottica maschile: un ruolo di mera interprete ed esecutrice di fantasie punitive o patibolari. In questo senso, a giudicare dalle pagine di Crepax, il mercato pubblicitario, il mercato erotico-pornografico e gran parte di quello fumettistico non risultano troppo diversi. Si direbbe quasi che l’autonomia e la libertà godute da Valentina nell’esercizio della sua professione, nella vita affettiva, nella disponibilità al colloquio con gli altri e in particolare con l’universo maschile, siano scontate attraverso le esperienze di tortura e cattività nelle quali essa regolarmente incappa, ma ancor più trovino sanzione in un inconscio propenso al delirio carcerario e penitenziale: come se un pervicace senso di colpa o un desiderio di punizione assediassero la leggerezza e il savoir vivre bellamente esibiti dalla donna di mondo. Allora il tripudio di lacci, laccetti, catene, guinzagli, frustini, pastoie, museruole, bavagli, manette, stivaloni, cinturoni, corpetti di cuoio o vinile, non tanto si presta al proliferare di una variopinta immaginazione visiva, quanto a riconfermare i motivi costanti della sottomissione e della fustigazione. Che poi gli atti di sadomasochismo siano più fantasticati che perpetrati a tutti gli effetti, più architettati che condotti a esecuzione, non muta di molto il senso dell’operazione crepaxiana: salvo risparmiare o attenuare fortemente ogni prevedibile esito cruento. Sicché la lindura delle eteree carni di Valentina non è lordata né dallo sperma degli assalitori né dal sangue delle proprie ferite. Crepax raggiunge il duplice risultato di movimentare un immaginario libidico di tipo sadiano e di scansarne, in maniera sin troppo candida, le implicazioni di violenza distruttiva. Sembra perseguire insomma quel punto di equilibrio tra l’ipocrisia e la morbosità che il comune senso morale degli italiani avrebbe tollerato sotto le insegne dell’erotismo, guardandosi bene dal trascendere verso le più genuine quanto censurabili rappresentazioni della sessualità pornografica.