Il Novecento irreperibile

Chi l’ha visto – in tempi recenti – un volume di Enrico Pea in libreria? E di Loria, Bonsanti, Delfini, autori su cui è vivace il dibattito critico della contemporaneistica, ma i cui testi non sono più disponibili? E come è potuto succedere che Massimo Bontempelli e Gianna Manzini – nel ventesimo secolo autori di punta del catalogo Mondadori – escano oggi sotto le insegne di benemeriti ma poco visibili piccoli editori? La spiegazione sembra avere la brusca franchezza di un algoritmo: se pochi devono essere i lettori, tanto vale che a essi si rivolgano gli editori di nicchia, e che i pochi lettori interessati si diano da fare per cercarsi i libri che a loro interessano.
 
Negli ultimi anni non sono mancate collane librarie specificamente dedicate alla riproposta di opere italiane (per lo più di narrativa) della seconda metà dell’Ottocento e del Novecento, da tempo assenti dal mercato, e non sono stati pochi i titoli pubblicati qua e là in forma isolata. Si dovrebbe poi aggiungere che la collezione dei «Meridiani» della Mondadori ha contribuito a dare un corpo alla letteratura italiana novecentesca, peraltro ponendosi come istituzione canonizzante, più che come collana di opere canonizzate in quanto «classici»: lo si può vedere sia dal catalogo degli autori sia dalla selezione dei testi (quando sono state proposte raccolte di alcuni tra i tanti libri di uno scrittore).
E tuttavia – considerando anche il fatto che i «Meridiani» sono rivolti più allo studio che alla lettura (e che comunque vengono acquistati da un lettore desideroso di accostarsi a un singolo titolo, non a opere complete o a una raccolta) – sono numerose le difficoltà per trovare testi non entrati nel numero di quelli la cui presenza in libreria si è ormai consolidata. E a volte l’acquisto di certi romanzi e racconti è impossibile, sebbene la memoria della maggior parte degli scrittori novecenteschi continui a essere viva (come dimostrano i tanti studi in volume e in rivista), ancorché per lo più presso il non alto numero dei resistenti cultori degli studi, di coloro cioè che si ostinano a considerare la cultura un bene non esclusivamente economico (e l’università qualcosa d’altro da un parcheggio in vista di una formazione dai tempi allungati).
Prima di ogni considerazione, e per non lasciare l’impressione di condurre un discorso del tutto generico, può essere opportuno portare alcuni esempi, scelti del tutto casualmente tra gli scrittori attivi tra gli anni venti e cinquanta, precisando che la verifica della disponibilità dei vari titoli è stata condotta alla fine di giugno 2008, con la consultazione delle più importanti librerie online, alle quali ormai si può dare ampio credito di attendibilità per i libri in commercio.
Delle opere narrative di Enrico Pea, per cominciare con un esempio significativo, nessuna è disponibile sul mercato (anche se viene segnalato in pubblicazione, senza altri dati se non il titolo, presso Elliot edizioni, Il romanzo di Moscardino, insieme di testi usciti con questo titolo, in una discutibile edizione, solo nel 1944), e questo nonostante la perdurante attenzione critica nei confronti dello scrittore versiliese, confermata da varie monografie e dalla recente pubblicazione di alcuni squarci della sua corrispondenza (l’ultima, del 2007 presso Pacini Fazzi, propone il carteggio con Ezra Pound, che fu traduttore di Moscardino’, ma Moscardino non si trova più).
Stessa situazione per Arturo Loria: vari saggi critici testimoniano l’interesse per il narratore, del quale, tuttavia, non si trova sul mercato alcuna opera. Non ci sono più tracce dei testi di Alessandro Bonsanti, scrittore molto attivo dagli anni venti agli anni sessanta, collaboratore e promotore di importanti riviste letterarie, come «Solaria» e «Letteratura» (anche se nel 2003 è stata pubblicata la bibliografia completa dei suoi scritti e nel 2004, in occasione del centenario della nascita, è stato organizzato sulla sua figura un convegno, i cui atti sono stati raccolti nel 2005). Sono pochissimi (e spesso risalenti a molti anni fa) i testi disponibili di Antonio Delfini, e, facendo una puntata anche più avanti nel tempo, è difficile trovare i romanzi dell’impegnato scrittore cattolico Luigi Santucci (l’ultima edizione del più noto, Il velocifero , è del 1999).
A queste osservazioni occorre aggiungerne altre: molti titoli sono stati recentemente ripubblicati da case editrici minori o minime, che, benemerite per le loro iniziative, spesso non hanno la forza necessaria per distribuirli nelle librerie. Indipendentemente dalla specificità e dalle differenze delle singole case editrici, suscita meraviglia scoprire che le opere di Massimo Bontempelli (autore di punta, nei decenni a cavallo della Seconda guerra mondiale e oltre, del catalogo Mondadori) sono pubblicate da Liberilibri (la raccolta Realismo magico e altri scritti sull’arte è invece edita da Abscondita), o che la pubblicazione delle opere di Gianna Manzini, tra le grandi scrittrici del secolo scorso, si divide tra Via del Vento e Libreria dell’Orso. Alcuni dei libri più interessanti di Mario Puccini sono stati recentemente stampati dalla Fondazione Rosellini di Senigallia.
Sono solo pochi esempi, ma di rilievo: se da un lato spingono a sottolineare il merito di chi si è assunto l’onere della pubblicazione, dall’altro confermano la scarsa presenza sul mercato degli scrittori novecenteschi: anche in questo caso il criterio del grande editore sembra essere quello della potenzialità del pubblico da raggiungere. Se pochi devono essere i lettori, tanto vale che a essi si rivolgano i piccoli editori, o, per dir meglio, tanto vale che i lettori interessati vadano a cercarsi i libri che a loro interessano.
Questa osservazione, un po’ schematica, non dà conto, naturalmente, di situazioni più sfumate e complesse, ma sta di fatto che, anche per la narrativa italiana (come, con una situazione ancora più difficile, per la poesia, e occorrerebbe aprire un capitolo particolare per la saggistica letteraria), non sempre è possibile indicare una bibliografia che non sia reperibile solo in biblioteca: fatto tanto più significativo se si pensa a quanti sono ormai gli insegnamenti di letteratura italiana contemporanea in numerosi corsi di laurea triennale e magistrale, nelle facoltà di lettere e di comunicazione. Molti programmi, si potrebbe dire, sembrano costruiti in funzione della disponibilità sul mercato dei libri da adottare.
E necessario introdurre un’ulteriore riflessione: per molto tempo trascurata (quasi che le pagine di contemporaneistica da portare a un esame fossero equiparabili a recensioni militanti…), merita invece di essere posta in primo piano: la «condizione testuale», cioè lo stato di correttezza del testo che si offre alla lettura e allo studio. Se infatti, da un lato, un filologismo esasperato e poco produttivo (rivolto più ai concorsi universitari che ai lettori) ha favorito la crescita di edizioni corredate da impegnativi commenti per opere dal valore tutto sommato modesto, dall’altro la facilità con cui è possibile aprire una collana (e una casa editrice), stampando con costi relativamente bassi, ha moltiplicato l’uscita di edizioni prive del necessario controllo testuale, così che la proposta di titoli da tempo assenti ha spesso assunto quasi solo il valore della trouvaille.
La descrizione fin qui condotta, per altro, non vuole concludersi con una ricetta che sarebbe davvero presuntuoso suggerire. Gli editori fanno il loro mestiere e, giustamente, guardano con attenzione ai dati di vendita: non c’è bisogno di molte argomentazioni per dimostrare l’impossibilità di tenere in un catalogo vivo tutti i titoli pubblicati nel ventesimo secolo. Quanto qui detto non vuole quindi invitare assurdamente gli editori a pubblicare tutto; vuole piuttosto sollecitare una riflessione sia sulla possibilità di prevedere forme alternative nel rapporto tra lettori e editori (per esempio attraverso l’utilizzo congiunto della stampa digitale e dei nuovi canali di comunicazione), sia sulla consapevolezza – in gran parte ancora da acquisire dai lettori più sensibili e dai docenti di letteratura – dei problemi sopra indicati. Quest’ultimo spunto può avvalersi di una significativa osservazione già avanzata negli anni sessanta da uno dei grandi bibliografi statunitensi del Novecento, Fredson Bowers, che scriveva (in Textual and Titerary Criticism, 1996): «If the public, or students and their professors, will not demand good texts, publishers will not offer the means for textual scholars to provide them». Come dire che anche i lettori dovrebbero essere consapevoli di ciò che deve esser chiesto e della sua bontà e, di conseguenza, dovrebbero trovare gli strumenti adatti sia per porre domande agli editori, sia per avere da loro risposte.