La scrittura creativa di massa

In un paese in cui ci sono più aspiranti autori che lettori praticanti, si capisce la fortuna editoriale arrisa ai manuali di scrittura creativa. Per un Pontiggia che non ha mai voluto cristallizzare il proprio insegnamento sulla pagina, decine di proposte librarie hanno puntato a rispondere al diffuso bisogno di comprensione dei meccanismi e metodi di costruzione di una storia narrativa. Molteplici declinazioni della creative writing statunitense hanno invaso il mercato, frastagliandosi in prodotti autoriali o a carattere miscellaneo, di respiro teorico o più decisa impronta manualistica: dal professore di Carver, fino al corso di scrittura a dispense venduto in edicola.
 
Un curioso paradosso sopravvive in quella fetta di mercato editoriale che riguarda la didattica della scrittura creativa: Giuseppe Pontiggia, il più illustre fra i pionieri italiani di questa disciplina, nonostante le molte insistenze degli editori, non ha mai voluto essere autore di alcun manuale di scrittura. Non voleva essere normativo – sosteneva -, credeva nella relazione diretta con gli iscritti ai suoi corsi e, attraverso quelle lezioni, o perfino con una serie di trasmissioni radiofoniche, insomma con una «pratica» di cui ha sempre salvaguardato il carattere precipuamente orale, voleva solo «disseminare una serie di stili, di indicazioni, di esempi che potessero essere utili a chi scrive nel momento in cui affronta da solo il problema, […] lasciare alcune tracce che possano essere orientative». Magnifico understatement di un maestro di stile.
Verso la metà degli anni novanta, poco prima che Pontiggia si congedasse dai suoi corsi tenuti per oltre un decennio in un teatro milanese, con il gorgoglio della polla di petrolio finalmente raggiunta dalla trivella, in Italia scoppiava il boom dei manuali di scrittura e dei libri che tematizzavano tale argomento. Per oltre un lustro, fino ai primi anni del Duemila (poi il fenomeno è andato scemando, avendo riempito in abbondanza anche gli interstizi della nicchia di lettori a cui si rivolgevano questi titoli), è stato un vero e proprio ribollir dei tini editoriali, dove alle traduzioni di classici americani e inglesi si sono mescolate produzioni nostrane, alcune improvvisate, altre più sistematiche; ma tutte avvolte da un gioioso alone di freschezza e di incantata scoperta di una materia la cui didassi, da noi, era ancora tutta da mettere a punto, mentre nelle università americane si insegnava fin dai primi decenni del Novecento.
Insomma, l’apparizione di quella gragnuolata di titoli ci diceva che finalmente potevamo cominciare a emanciparci dall’aristocratica e romantica idea della scrittura come folgorazione divina. Forse non solo gli eletti potevano scrivere una «storia», forse chiunque poteva entrare in possesso di una strumentazione tecnica. Oh, certo, il talento non si poteva insegnare, il genio non era costruibile a tavolino, c’era il rischio che sarebbe stato il mercato di prodotti preconfezionati ad averla vinta, si ammetteva con i Savonarola di turno. La verità è che ormai stava crescendo nel paese anche il numero delle scuole di scrittura creativa – qualcuna cautamente inserita perfino nelle università, magari velando la traduzione dell’originaria etichetta di creative writing – e quindi si imponevano, di necessità, testi utilizzabili a lezione. Quanto ai detrattori di scuole e corsi, Pontiggia ha sempre tagliato corto: «Ne parlano male solo quelli che non ci sono mai stati invitati».
Fin dall’apparire dei primi titoli, comunque, erano sostanzialmente tre le tipologie che si potevano riconoscere: una di carattere più autoriale, un’altra di carattere miscellaneo, là dove si raccoglievano interventi di autori contemporanei sul pensare e fare narrativa, la terza di impronta decisamente più manualistica. Quanto a quest’ultima, i modelli più normativi venivano, inevitabilmente, d’Oltreoceano e alcuni d’Oltremanica.
Basti pensare alla collana intitolata «Scuola per scrittori» dell’editrice Nord che nel volgere di alcuni semestri, fra il 1992 e il 1994, sfornò, tradotti per lo più dall’americano, alcuni titoli dall’esplicito taglio pragmatico: Come scrivere un romanzo storico di Rhona Martin, Inizio sviluppo e finale di Nancy Kress, La trama di Ansen Dibell, I personaggi e il punto di vista di Orson Scott Card, I temi e le strategie di Ronald B. Tobias, solo per citarne alcuni. Gli autori erano, in tutta evidenza, dei signori Carneadi, un po’ come quegli alacri professori che per arrotondare il magro stipendio scrivono manuali per scuole medie e superiori, ma davano consigli di buon senso, utili suggerimenti e, soprattutto, segnalavano quanto una narrazione necessitasse di disciplina, metodo, coerenza, senso della costruzione.
Certo, certo, nessun aspirante scrittore ne sarebbe uscito con l’obiettivo di superare in arditezza Finnegans Wake.
Una più recente iniziativa editoriale ha visto la Rizzoli molto sensibile ai lavori della Scuola Holden, capofila nazionale delle scuole di scrittura: sotto l’egida dei curatori Baricco, Tarocco, Vasta, Voltolini, ha prodotto alcuni buoni titoli con il marchio «Holden Maps». Fra tutti segnalo i due volumi dedicati all’orfanella Punteggiatura (2001) che, rivisitati da scrittori quali Mari, Doninelli, Franco, Mozzi, Voltolini, Veronesi e altri, diventano suggestivi racconti. E siamo in zona miscellanea.
Per quanto riguarda queste raccolte tematico-tecniche, occorrerà citare il volume Bompiani curato da Maria Teresa Serafini, Come si scrive un romanzo (1996), dove venivano raccolti testi di una quindicina di scrittori, fra cui Eco, Bufalino, Loy, Marami, Pitzorno, Tomizza, Vassalli; Come scrivere (1999), curato da Rosaria Guacci e Bruna Miorelli, dove compaiono interventi di Affinati, Ballestra, Covito, De Luca, Franchini, Lucarelli, Montanari, Palandri, Piersanti, Scarpa e altri; e per ultimo Un posto per scrivere (2002) di Luca Lorenzetti, dove gli scrittori sono, fra gli altri, Baricco, Fois, Lucarelli, Marami, Pontiggia, Ravera.
Con qualche imbarazzo, sono costretta a segnalare anche il fortunato Quaderno di Panta. Scrittura creativa, da me curato nel 1997 per Bompiani, ristampato nel settembre scorso nei «Tascabili». Vi compare, in chiusura, una bibliografia risalente a quell’anno e facilmente integrabile con una rapida navigazione su Internet. Ormai i siti sulla scrittura creativa e sui libri che la riguardano sono infiniti e alcuni molto aggiornati. Per tutti rimando a www.ilcorto.it, dove compare un buon lavoro bibliografico di Elisabetta Manfucci.
Prima di passare alle monografie d’autore segnalo il divertente Ricettario di scrittura creativa, di Stefano Brugnolo e Giulio Mozzi, uscito nel 1998 per i tipi di Theoria e, nel 2001, riveduto e ampliato, per Zanichelli.
Quanto ai testi degli scrittori non c’è che l’imbarazzo e il piacere della scelta. Il pioniere in libreria fu John Gardner, il professore di Raymond Carver in California, colui che lo salvò dalle grida dei figli piccoli prestandogli il suo studio, quello che «portava i capelli a spazzola, vestiva come un pastore o un agente dell’Fbi, e andava in chiesa la domenica», come ha scritto il riconoscente allievo nell’introduzione a Il mestiere dello scrittore, pubblicato da Marietti nel 1989, alla vigilia di quello che possiamo definire il decennio d’oro della scrittura creativa.
Poi, a valanga, sarebbero arrivati tutti gli altri, scrittori di buona professionalità, grandi e grandissimi. Sacrificandone molti, li elenco in ordine alfabetico e senza alcun commento perché sono, semplicemente, imprescindibili per chiunque voglia avvicinarsi all’arte di raccontare il mondo e le sue storie. Ecco, dunque, che fanno il loro ingresso in libreria in edizioni recenti alcuni interventi di Carver medesimo, raccolti da «Einaudi Stile Libero», Il mestiere di scrivere (1997), i Consigli a un giovane scrittore di André Gide (1993), Come scrivere un giallo di Patricia Highsmith (1998), On Writing di Stephen King (2001), Carte della narrativa di David Lodge (1995), Nel territorio del diavolo di Flannery O’Connor (1993), Lettere a un aspirante romanziere di Mario Vargas Llosa (1997), Scrivere narrativa di Edith Wharton (1996). Fra gli italiani: Vincenzo Cerami, Consigli a un giovane scrittore (1996), Francesco Piccolo, Scrivere è un tic (1994), Davide Pinardi e Pietro De Angelis, Il mondo narrativo (2006), Giampaolo Rugarli, Il manuale del romanziere (1998) e molti altri, sacrificati solo per motivi di spazio.
Chiunque insegni e impari scrittura creativa e voglia irrobustire la propria strumentazione teorica studierà Trame di Peter Brooks (1995), per ripercorrere disegni e strutture dei classici del romanzo. A quel punto si concederà la lettura delle Lezioni di letteratura di Vladimir Nabokov (1982), dove constaterà che scrivere significa leggere e rileggere, assistendo alla colluttazione intellettuale di un grande con altri grandi, come Austen, Dickens, Flaubert, Proust, Kafka. Oppure si immergerà nella Retorica della narrativa di Wayne C. Booth (1996) per approfondire la differenza fra narrazione impersonale e narratore attendibile; poi potrà compulsare la monografia, più didattica ma preziosa, di Gianni Turchetta su Il punto di vista (1999); per poi concedersi, proprio a questo proposito, un magnifico pamphlet di Amos Oz intitolato Contro il fanatismo (2004) dove si può leggere: «Per scrivere un romanzo bisogna essere capaci di assumersi una mezza dozzina di conflitti e sentimenti contraddittori e opinioni, con lo stesso grado di convinzioni, veemenza ed empatia. Allora sono forse equipaggiato un po’ meglio degli altri per capire, con il mio punto di vista ebraico-israeliano, come ci si sente a essere un palestinese sradicato…» grazie «forse alla mia abitudine “professionale” a mettermi nei panni degli altri». E, a questo punto, le letture atte a irrobustire la tecnica narrativa, le riflessioni sulla medesima, ma anche sul senso della scrittura possono estendersi all’infinito, trovare percorsi eclettici, traiettorie inaspettate, creative.
In chiusura di questo intervento, ovviamente piuttosto incompleto, la segnalazione di una recente iniziativa pop: i dodici volumi di Saper scrivere (2008), corso di scrittura di «la Repubblica-L’Epresso» prodotto in collaborazione con la Scuola Holden, dove si affrontano tecniche, domande, soluzioni della narrazione nelle varie forme della scrittura, letteraria e cinematografica, dei fumetti, del giornalismo e affini. Dispense divulgative, non prive di buone sollecitazioni.
È la scrittura creativa di massa, bellezza.