Non solo testi. Per un’educazione al libro

Lo spazio della letteratura è affollato, plurale, ricco, percorso da echi continui, in un dialogo perenne degli scrittori con la tradizione e le attese del pubblico. Ma alle opere si accede attraverso la fisicità delle edizioni, nella concretezza degli ambienti del libro (venduto in libreria, conservato in biblioteca): ecco perché è essenziale una didattica del libro, che insieme a comunicare il gusto della lettura fornisca gli strumenti per accostarsi all’oggetto libro. Con squarci sul mondo extrascolastico della produzione, diffusione, ricezione. L’orientamento critico si esercita (e si impara) anche con uno sguardo ben allenato alla realtà materiale di testi e paratesti.
 
Due molteplicità
Inizio questo ragionamento da una citazione calviniana, poco nota ma affascinante, che mi sembra illumini in modo esemplare uno dei tratti decisivi dell’esperienza culturale nella modernità, la «molteplicità dei libri»: «Voglio cercare di analizzare le sensazioni che provo ogni volta che visito una grande esposizione del libro: una specie di vertigine nel perdermi in questo mare di carta stampata, in questo firmamento sterminato di copertine colorate, in questo pulviscolo di caratteri tipografici; l’apertura di spazi senza fine come una successione di specchi che moltiplicano il mondo; l’attesa d’una sorpresa che può venirmi incontro da un nuovo titolo che m’incuriosisce; l’improvviso desiderio di veder ristampato un vecchio libro introvabile; lo sgomento e insieme il sollievo di pensare che gli anni della mia vita basteranno appena a leggere o rileggere un numero limitato dei volumi che si stendono sotto i miei occhi. / Sono sensazioni diverse, si badi bene, da quelle che dà una grande biblioteca: nelle biblioteche si deposita il passato come in strati geologici di parole silenziose; in una fiera del libro è il rinnovamento della vegetazione scritta che si perpetua, è il flusso delle frasi appena stampate che cerca d’incanalarsi verso i lettori futuri, che preme per riversarsi nei loro circuiti mentali. […] /I libri sono fatti per essere in tanti, un libro singolo ha senso solo in quanto s’affianca ad altri libri, in quanto segue e precede altri libri. Così è stato fin da quando i libri erano rotoli di papiro che s’allineavano sugli scaffali delle biblioteche schierando i loro cilindri verticali come canne d’organo, ognuno con la sua voce grave o delicata, baldanzosa o melanconica. La nostra civiltà si basa sulla molteplicità dei libri; la verità si trova solo inseguendola dalle pagine d’un volume a quelle d’un altro volume, come una farfalla dalle ali variegate che si nutre di linguaggi diversi, di confronti, di contraddizioni» (Il libro, i libri, conferenza tenuta alla Fiera del Libro di Buenos Aires, 1984).
Conta – ci ricorda la scrittura tersa, analitica e icastica di Calvino – non solo la molteplicità dei testi, dei destini di carta e delle invenzioni verbali, ma anche quella delle realizzazioni librarie che le hanno portate di volta in volta ai loro lettori. Lo spazio della letteratura è affollato, plurale, ricco, interconnesso, percorso e modellato da echi, riprese, risposte, in un continuo dialogo degli scrittori con la tradizione e con le attese del pubblico. E alle opere si accede – sempre – attraverso la fisicità delle edizioni, nella concretezza degli ambienti del libro venduto o fatto circolare senza fini di lucro, grazie al mercato e alla biblioteca. Dare il senso di questa «doppia molteplicità», comunicarne il gusto e insieme fornire gli strumenti per affrontarla e sfruttarla è un compito didattico essenziale, un obiettivo chiave dell’educazione letteraria, che nelle riflessioni sull’insegnamento della letteratura non è affatto ancora in piena luce. Chi si occupa di didattica della lettura a scuola tende, mi sembra, a ragionare quasi esclusivamente di testi. Quando si parla di saper leggere, di sviluppo delle competenze di lettura, si parla di comprensione linguistica, di «strumenti critici», di esperienza, di piacere, arrivando anche a indicare in modo articolato e duttile le componenti principali del dialogo testo-lettore, ma lasciando troppo sullo sfondo l’orizzonte materiale, pratico, in cui dovranno muoversi i «buoni lettori» formati dalla scuola, trascurando il primo passo, tutt’altro che banale, della caccia al libro, dell’individuazione del titolo e del suo reperimento. Insomma, l’educazione letteraria relega un po’ troppo nelle stanze della servitù l’«educazione libraria».
L’immagine di Calvino ci ricorda, dunque, come rincontro con le opere avvenga in un regime di pluralità e concretezza. Invita a non adagiarsi in una concezione astratta della lettura, pensata come una storia a due in uno spazio vuoto, nella quale la scelta e il reperimento del testo restano in ombra, quasi rimossi. Alla doppia domanda «quanto questi due tratti dell’esperienza culturale e letteraria sono presenti, sono vivi, percepiti, affrontati nell’ambiente scuola? Quanto entrano nell’idea di formazione alla lettura messa a fuoco dai documenti istituzionali italiani ed europei?» credo si debba rispondere: troppo poco. E questo nonostante l’attuale quadro di civiltà mostri un ulteriore intensificarsi della molteplicità dell’offerta e della varietà delle forme materiali, delle «vesti comunicative», attraverso le quali i testi si presentano ai lettori e dunque richieda sempre più capacità di orientamento forti e duttili.
 
Tendendo al «buon lettore»
Nella concezione di formazione alla lettura veicolata da manuali e antologie, dai loro articolatissimi, affollati, nutrienti apparati – in particolare dalla tipologia delle attività suggerite sul e a partire dal testo – permane una visione in parte idealizzante che si manifesta nella tendenza a pensare quel testo svincolato da un uso determinato, effettivo, da una precisa finalità di lettura e soprattutto da un concreto contenitore editoriale. Permane a dispetto della trentennale lezione degli studi di storia del libro e dei meccanismi della lettura letteraria, nonostante il lavoro di studiosi come Roger Chartier e Donald McKenzie, che hanno mostrato quanto «le forme attraverso cui un testo è trasmesso (manoscritta o a stampa, orale o scritta, tipo di edizione, impaginazione, scelta del carattere e del formato, assenza o presenza di illustrazioni) non siano neutre, ma condizionino profondamente il processo di costruzione dei significati» (così Lodovica Braida in un intervento alle giornate di studio 2006 di Apice, documentate ora in Testi, forme e usi del libro. Teorie e pratiche di cultura editoriale, 2007).
Lo rivela la modestissima visibilità, la quasi totale assenza nei manuali scolastici del mondo librario contemporaneo, al cui interno pure il libro di testo nasce e verso il quale dovrebbe guidare i giovani lettori. Le fonti editoriali da cui si cita spesso sono relegate in uno spoglio elenco in fondo agli indici; le informazioni lì riportate di solito tacciono la collana, quando non sono ancora più lacunose; se alle indicazioni viene concesso un maggiore risalto grafico, collocandole in coda al brano, restano comunque dato inerte, atto dovuto al rispetto dei diritti, ma di cui non si sa immaginare nessuna valorizzazione in aula.
Nei libri di testo d’italiano va facendosi strada, non senza difficoltà, la consapevolezza di quanto sia opportuno dare un’idea delle principali vicende testuali che stanno dietro un’opera. Non per una preoccupazione erudita, beninteso, ma come antidoto all’idea di una testualità assoluta, lontana, immobile, e dunque indiscutibile, fascinosa forse ma essenzialmente estranea dal divenire delle cose, dalla storia e dal presente. Per dar corpo invece a un’immagine dei testi come realtà dinamica: non dati (chiusi, statici, autosufficienti), ma prodotti, aperti e mobili, frutto di un processo creativo di cui l’autore è il protagonista ma non l’unico attore. E naturalmente questa una delle vie maestre attraverso le quali si potrebbe sviluppare una coscienza dell’effettivo mondo della vita del libro.
Molto apprezzabili, ma piuttosto isolati, sono alcuni affioramenti della concreta realtà editoriale e libraria (che inoltre nella proposta didattica formulata restano tutto sommato marginali). Penso, per il biennio, a I diritti del lettore di Guido Armellini e Adriano Colombo che, nel presentare un ventaglio di possibili letture, accompagnava la descrizione/invito al testo con una riproduzione fotografica della copertina; per il triennio agli inserti fotografici commentati che tratteggiano uno spaccato grafico dell’editoria novecentesca in Testi nella storia di Cesare Segre e Clelia Martignoni.
Il punto è che si stenta ancora, mi pare, a individuare bene quale sia il profilo di lettore formato, o sulla via di una formazione soddisfacente, che ci si attende al termine della scuola secondaria superiore. Più precisamente si fatica a trarre tutte le conseguenze dall’individuazione di alcuni generalissimi traguardi formativi. Io credo si dovrebbe lavorare per un «cittadino consapevole» e un «buon lettore», o meglio un giovane che abbia capito di dover continuare a crescere in quelle due direzioni. Sottoscrivo volentieri, per esempio, le parole di Luperini che ha in mente un giovane che, attraverso lo studio del linguaggio letterario e l’interpretazione dei testi, grazie all’acquisizione degli strumenti «dell’argomentazione logica e della problematizzazione culturale», perviene alla «conquista di una mentalità critica e di un atteggiamento dialogico e democratico»; in un itinerario di formazione che persegua un potenziamento delle capacità cognitiva, immaginativa e critica.
Il cittadino consapevole è tale anche perché è un «buon lettore». Ossia: ha una consuetudine non precaria (meglio se robusta) con la lettura; ha familiarità con generi diversi e con testi di differenti epoche e con una varia serie di modalità di lettura.
Ma se si punta davvero a preparare un «buon lettore» (con il gusto della lettura, libertà e adeguata consapevolezza nel cosa e nel come leggere), si tratta di fornirgli anche gli strumenti per la conoscenza orizzonte concreto nel quale si svolge l’esperienza letteraria (e più in generale di lettura) fuori della scuola’, ovvero del circuito comunicativo, molto articolato, all’interno del quale chi legge dovrà/vorrà trovare le proprie letture (identificarle/selezionarle e poi procurarsele, attraverso l’acquisto o no). Nella storia extrascolastica dei lettori il libro non è già lì, scelto e disponibile: deve invece perlopiù essere selezionato e recuperato. Una ricca e autonoma esperienza di lettura richiede la capacità di muoversi con una certa sicurezza nel mondo del libro e della comunicazione culturale, richiede dunque competenza letteraria e libraria.
 
Conoscere dalle cornici
Si tratterebbe insomma di pensare a fondo il libro nel suo ambiente reale, dando da un lato (a partire dall’insieme) visibilità al contesto di circolazione in cui si colloca, dall’altro (a partire dal singolo testo) sviluppando una percezione non distratta della veste editoriale. Il primo ambito sul quale dovrebbe essere esercitata questa sensibilità verso i contesti è quello scolastico: perché a ostacolare l’affermarsi della prospettiva di azione didattica di cui sto provando a parlare sta la peculiarità dell’ambiente librario e letterario abituale nella lettura per la scuola. Un ambiente segnato, come si sa, dal dominio del manuale, uno spazio in cui il materiale librario con cui pressoché esclusivamente si lavora è costituito di oggetti che per alcuni principali tratti di struttura (mole, complessità d’impianto, assetto grafico affollato-frastagliato) si staccano, e tanto, dal libro «normale». Non lo ricordo per suggerire abolizioni, piuttosto per favorire una coscienza lucida delle effettive condizioni di percezione del libro e del testo letterario in classe, condizioni che dovrebbero essere chiarissime sempre a tutti gli insegnanti e che rendono necessaria una decisa apertura sul fuori, sul mondo extrascolastico della produzione, diffusione, ricezione della letteratura e della cultura. Senza bisogno di stracciare i manuali, ma adottando un atteggiamento di uso reattivo, che li aiuti a dimagrire un poco e apra spazi al loro fianco per farli funzionare meglio (più come ponti che come box), spingendo i lettori a scuola a fare esperienza più spesso dell’intero e del molteplice.
A ostacolare la prospettiva che mi sta a cuore c’è poi (o prima) l’idea che il supporto materiale sia qualcosa di secondario, accessorio, facilmente, anzi opportunamente resecabile. Al contrario, la veste comunicativa dell’opera, la sua fisionomia editoriale, la rete di scelte paratestuali che la percorrono – frutto di un’interazione forte fra volontà d’autore e contesto di produzione e circolazione – concorrono a costituirne e precisarne l’identità testuale. Sono dati più esterni, liminari, ma non estranei, né subalterni. Gérard Genette e Philippe Lejeune ci hanno mostrato che il lettore giunge all’opera innanzi tutto attraverso un primo contatto guidato dal paratesto. I testi messi in pubblico sono avvolti da una rete di dispositivi collocati sulle soglie, sono forniti di «vesti strutturanti» che aiutano in maniera importante i lettori reali a orientarsi, a ipotizzare inizialmente e riconoscere il genere testuale, a indirizzare il proprio atto di ricezione.
Non soltanto. La forma materiale fornisce uno dei primi indizi dell’autorevolezza che la comunità culturale attribuisce a quel determinato testo. Il contenitore che lo ospita (sito, volume, canale radiofonico o televisivo) ha firme e responsabili con diversi gradi di attendibilità, ha caratterizzazioni (specializzazioni tematiche, orientamenti ideali o linee operative, selezioni di linguaggio e opzioni di pubblico) di cui si deve essere informati e consapevoli. Per l’orientamento critico insomma non serve solo la visione profonda, le capacità di penetrazione analitica, di discussione serrata, di slancio immaginativo, ma anche una rapidità attenta di sguardo, un occhio materiale, una prima vista ben allenata, una consapevolezza e padronanza delle cornici.
(Non ho poi qui modo di argomentare per esteso, ma voglio ricordarlo lo stesso per inciso, quante siano le potenzialità didattiche del paratesto, anche in chiave di sviluppo di una comprensione matura delle procedure rappresentative messe in atto dall’autore/opera).
Per fare esperienza più spesso, nella lettura a scuola, dell’intero e del molteplice c’è uno strumento importante, forte, e purtroppo con bassissimo indice di visibilità nelle riflessioni pubbliche (soprattutto in quelle mediatiche) sulla cultura: la biblioteca. Per la «competenza libraria» sono decisive – su un piano materiale, concreto, operativo – le sorti delle biblioteche scolastiche, che sole possono consentire un accesso vicino alla molteplicità dell’universo editoriale (va da sé, in sinergia con le biblioteche locali e cittadine). Ma la rete bibliotecaria di cui dispone la nostra scuola è fragile, lacerata, mal supportata. Non è una faccenda di settore, un problema di nicchia: è una questione collettiva, vitale. Che richiede investimenti, non tagli.