Futurismo grande affare

Futurismo in tram e in cucina; futurismo tra le pagine e in mostra; futurismo a Milano, Rovereto, Parigi Taipei. Per non parlare del futurismo «global» in Internet. Le celebrazioni del centenario sembrano confermare il passaggio delle provocazioni di Marinetti & co. a oggetto di consumo di massa. Il futurismo è percepito come l’unico movimento italiano d’avanguardia di importanza internazionale; è aperto ai più vari campi di ricerca, alla fruizione non specialistica; è probabilmente la prima evidente manifestazione della «modernità» in Italia. Nel 2009, insomma, il futurismo ha cessato di essere uno scandalo: è diventato, soprattutto, un grosso affare.
 
Il centenario della pubblicazione del manifesto futurista – lo aveva presentato sulla sua prima pagina il «Figaro» del 20 febbraio 1909 – ha permesso di approfondire un’ulteriore osservazione sul destino dell’avanguardia: all’idea, ormai luogo comune, secondo la quale l’avanguardia è destinata a diventare museo, è possibile infatti aggiungere la constatazione che, con il passare del tempo, l’avanguardia può anche diventare l’oggetto di interessi che non sarebbe esagerato definire «di massa». Dalla provocazione al consumo.
E così il Manifesto futurista, che cento anni fa ha dato origine a una stagione di intensa militanza – con proclami, riviste, edizioni, nuovi «manifesti» dedicati alle più diverse arti – e a un lungo periodo di diffusione del «credo» di Marinetti e dei suoi compagni anche fuori d’Italia, a un secolo di distanza si trova esibito, insieme con le lettere, i manoscritti, gli oggetti futuristi (e naturalmente i quadri, le sculture, i disegni, i progetti per nuove case), in ordinate bacheche, come il cappello dei bersaglieri della Prima guerra mondiale, alla quale tanti marinettiani sono accorsi volontari, nell’entusiasmo del bagno di sangue che avrebbe rigenerato il mondo.
L’elenco completo delle iniziative destinate a ricordare il centenario occuperebbe le pagine destinate a questo intervento, ma può essere tuttavia opportuno citarne alcune, emblematiche per la loro varietà, a partire dalla declamazione di pagine futuriste sul tram della linea 31, a Milano, nel corso delle «giornate della lettura» (Alza il volume) e, sempre a proposito di tram, dal giro della città di Milano con il «FuturTram», allestito per i bambini dall’azienda tranviaria, per mostrare il centro cittadino dal punto di vista del futurismo.
Se erano necessariamente destinate a pochi le presentazioni degli oltre trenta libri usciti per l’anniversario (molti dedicati ad argomenti specifici: le «donne nel futurismo», il «futurismo e la moda», la «cucina futurista», i «futuristi in politica», e via dicendo), erano invece rivolte esplicitamente a migliaia di visitatori le numerose esposizioni: in primo luogo quella di Palazzo Reale a Milano, futurismo 1909-2009. Velocità+arte+azione, o quella, sempre a Milano (alla Fondazione Stelline), intitolata ET. Marinetti = Futurismo.
Da Milano, peraltro, le iniziative si sono tuttavia estese in tutta Italia. A Firenze, il Gabinetto Vieusseux e la Fondazione Primo Conti hanno organizzato la mostra bruciamo le biblioteche… Il libro futurista nelle collezioni pubbliche fiorentine. Album 1909-1944; sempre in Toscana, la Pinacoteca Nazionale di Siena, il Museo della Mezzadria senese di Buonconvento, il Museo dell’antica Grancia di Serre di Rapolano hanno accolto i partecipanti alla «cena futurista» (anticipata da un «aperitivo futurista»). Ancora a Siena, la mostra MACCHINE! Spirito della meccanica tra i fondi d’oro ha affiancato gli antichi maestri della pittura senese alle automobili e alle motociclette dei primi decenni del Novecento. A Rovereto, il Museo d’arte moderna e contemporanea, da tempo impegnato nella valorizzazione di vari aspetti del futurismo attraverso la figura di Depero, ha proposto un allargamento dello sguardo con la mostra Futurismo 100. Illuminazioni. Avanguardie a confronto. Italia-Germania-Russia. Ad Alessandria, nella rassegna intitolata A+B+c/F = FUTURISMO sono state raccolte opere (in particolare di futuristi piemontesi) e oggetti vari: tra questi, al Museo del cappello borsalino, il «Cappello futurista». A Terni l’esposizione rimandava invece all’Umbria Futurista, 1912-1944 e a Cavallino, in provincia di Lecce, la mostra futurismo nel suo centenario. La continuità, ha proposto quadri sia dei primi artisti futurismi sia di quelli del «secondo futurismo» sia di contemporanei.
Sono solo esempi, ai quali non è necessario aggiungerne altri. E tuttavia non sarà inutile dire che se era prevedibile la grande mostra Le futurisme à Paris, poi portata a Roma e a Londra, lo era meno Futurism, esposizione di opere futuriste al Chiang Kai-shek Museum di Taipei.
L’alto numero delle manifestazioni pubbliche è già una dimostrazione del complesso meccanismo messo in moto dal centenario, confermato dalla diffusione dei siti dedicati in Internet al movimento di Marinetti: chi vuole avere ricette futuriste ispirate al «Manifesto della cucina futurista» non ha che l’imbarazzo della scelta, e chi vuole comprare quadri, libri, oggetti futuristi ha a disposizione un sito (www.futur-ism.it), dove può trovare ogni informazione, comprese le quotazioni correnti sul mercato.
C’è dunque da porre la domanda sul perché di tanto interesse, quando altri centenari, non meno importanti sul piano culturale, hanno ricevuto un’attenzione circoscritta. Non è facile trovare una risposta univoca: si sa come il successo di molte manifestazioni sia a volte il frutto di combinazioni casuali, ma l’osservazione, se può valere per dar conto della partecipazione del pubblico, trascinato spesso dalla capacità di comunicazione degli organizzatori, non può essere richiamata per giustificare la molteplicità delle offerte.
Ciò che colpisce è quasi il «dovere» che sembra spingere istituzioni, associazioni, musei, aziende, scuole di vari ordini, nell’organizzazione di convegni, mostre, serate, presentazioni varie. Nella difficoltà di indicare le ragioni delle diverse scelte, si può forse dire che il futurismo è percepito, da un lato, come l’unico movimento italiano d’avanguardia di importanza mondiale, ma, dall’altro, anche come un movimento ampiamente diffuso sul territorio, in metropoli e città di provincia, con intellettuali di spicco e piccoli intellettuali periferici, così che ciascuna iniziativa può esaltare anche aspetti «locali»: giustamente la mostra senese valorizza il quadro di Corrado Forlin, Splendore simultaneo del Palio di Siena.
Un’altra potenzialità del movimento fondato da Marinetti che è stata esaltata nelle tante celebrazioni del 2009 è l’apertura dei futuristi ai più vari campi di ricerca, non solo culturali: l’aspirazione del futurismo alla totalità permette di recuperare gli aspetti più diversi, anche della vita quotidiana – la cucina, l’abbigliamento, le cartoline, la «macchina», intesa non solo come automobile – generando, ormai, non scandalo ma curiosità. Una curiosità, peraltro, che non elimina, necessariamente, un approfondimento scientifico, ma che permette una fruizione non specialistica da proporre a tutti.
Infine non sembra da sottovalutare il fatto che il futurismo, a distanza di cento anni dalla sua nascita, sia presentato come la prima evidente manifestazione della «modernità» in Italia, e non solo in ambito letterario o artistico: se con le mostre su Depero o quelle su Munari, che hanno riscosso un ampio successo negli anni scorsi, si era dato risalto soprattutto alla ricchezza inventiva dei due artisti nel campo della grafica e del design, con le celebrazioni del centenario si è indicato che dietro le innovazioni del segno (e del disegno), dietro la realizzazione di nuove forme e di nuovi materiali (per esempio i libri di plastica di Munari, per i quali si può richiamare il libro con le pagine di latta, illustrato proprio da Munari ai suoi esordi negli anni venti), c’erano ancora le esperienze del futurismo. Esperienze scomposte e disordinate, senz’altro, ma ineliminabili dalla cultura del Novecento.