I librai come scolari

Resistere, resistere, resistere non basta più. Per rispondere alla crisi e al rischio di scomparsa in seguito alle potenti trasformazioni del mercato del libro e della catena distributiva, i librai tornano a scuola. Il corso più antico e blasonato è la Scuola per Librai Umberto ed Elisabetta Mauri di Venezia, ma ci sono anche spin off di approfondimento monografico a Milano, e una più recente iniziativa a Orvieto. Tra le materie di studio analisi del mercato del libro, conoscenza della filiera editoriale, competenze gestionali, spazio della libreria, progettazione, qualità dell’assortimento, servizio al lettore. Nella consapevolezza che la libreria è un’azienda, e come tale va gestita: coniugando cultura umanistica ed economica, tradizione e vantaggi tecnologici.
 
Prendiamola un po’ larga. Pensiamo alla Venezia di fine Quattrocento, vale a dire a una città spudoratamente ricca, cosmopolita e mercantile che aveva un importante primato in Europa: era la più popolata di stamperie, libri e librai. Fra le calli di Rialto, a ridosso del Ponte, nel giro di pochi decenni erano molte, moltissime le botteghe che avevano preso a vendere con euforico slancio una merce del tutto nuova. I libri, appunto.
Tali negozi erano diventati in breve un punto di ritrovo dell’intellighenzia cittadina, e non solo: vi si soffermavano nobiluomini che volevano rimpolpare le loro sempre più nutrite biblioteche, intellettuali, umanisti e storici che disputavano sulle migliori edizioni dei classici greci o latini; ma anche mercanti che cominciavano a individuare nei libri sempre più raffinatamente stampati degli eccellenti regali di rappresentanza, e ospiti stranieri che volevano tornare in patria con le ultime novità.
Nel susseguirsi ininterrotto delle botteghe, le librerie si segnalavano con insegne colorate che sventolavano a banderuola sopra la porta d’entrata e che potevano rappresentare una Torre, una Sirena, un Gallo, una Madonna. All’interno i volumi erano esposti di costa o di piatto sui banconi. Le più attrezzate rimpinguavano il proprio spazio con banchetti che si espandevano sulla calle. I libri, fossero poemi cavallereschi, portolani, messali, manuali di grammatica latina, o vocabolari, appartenevano al rutilante mondo delle infinite mercanzie.
Dentro ai loro spazi i librai ospitavano spesso legatori e miniaturisti che, sotto gli occhi ammirati dei compratori, trasformavano in un libro ben rilegato quei fascicoli e fogli sparsi che incarnavano le prime rudimentali forme di stampa. Ma se c’era la legatura e qualche incisione il prezzo raddoppiava.
Nell’epica preistoria dell’editoria, librai e stampatori avevano rapporti molto stretti, anzi talvolta i due mestieri coincidevano. Succedeva spesso, infatti, che il tipografo più robusto economicamente possedesse una propria libreria, vale a dire un sicuro sbocco commerciale. Come aveva fatto quella vecchia, oculata volpe di Andrea Torresani, per esempio, il socio di maggioranza del grande Aldo Manuzio, che aveva il controllo di più società editoriali, ma aveva aperto anche una bottega di libri nei pressi di Rialto riconoscibile, giustappunto, per l’insegna della Torre.
Succedeva pure che il libraio, avendo il polso del mercato, commissionasse lui stesso dei libercoli, magari affidandone la scrittura a qualche copista che di anno in anno stava vedendo assottigliarsi il proprio lavoro. I titoli più venduti erano, ovviamente, quelli religiosi: bibbie, breviari, vite dei santi. Il numero dei lettori andava lentamente aumentando ma, inevitabilmente, i classici greci e latini, con ogni diligenza corretti ed emendati, erano destinati solo all’élite veneziana ed europea. Per il popolo, quello in grado di leggere, venivano pensati prodotti più popolari. E i librai ne conoscevano bene gusti, preferenze e cultura, magari più modesta ma non per questo da trattare con troppo sussiego.
All’epoca esistevano anche i librai puri, indipendenti dagli stampatori; e non si mostravano meno accorti. Anzi, erano molto attenti a ubicare le loro botteghe in quei luoghi dove più forte e sicura sarebbe stata la richiesta di volumi di varia natura. Come le università, per esempio.
Restano nei documenti gli accordi di un libraio padovano, ben allocato nei paraggi dell’ateneo patavino, che riceveva i libri stampati da Antonio Moretto, editore piuttosto abile nel calibrare titoli colti (ottime edizioni latine) e titoli popolari (bibbie). Il Moretto dal suo magazzino di Venezia, situato accanto alla propria libreria, via acqua, gli inviava volumi che miravano ad acquirenti accademici, per lo più giovani rampolli dell’aristocrazia veneziana, veneta e lombarda, e gli riconosceva il dieci per cento sul prezzo del volume, o di copertina che oggi dir si voglia.
Correvano gli anni fra la fine del Quattrocento e l’inizio del secolo successivo, glorioso periodo aurorale di molti mestieri editoriali. E fin da allora il punto di arrivo della filiera, il libraio, era imprescindibile e fondamentale.
Fatta una bella piroetta, e una robusta tara ai sei secoli intercorsi, forse non è inaudito rilevare alcune analogie fra quella preistoria editoriale e la contemporaneità. A nostro avviso molte problematiche si assomigliano, e molte riguardano da vicino il mestiere del libraio.
Decidendo di riflettere sullo stato contemporaneo di questa professione, oggi la ritroviamo non più in fase euforica ma piuttosto impaurita, assai scossa dal vento del cambiamento. I più conservatori la vedono addirittura minacciata dalle fondamenta, vessata e stremata fino al rischio di scomparsa dalle potenti trasformazioni del mercato del libro e dalla grande catena distributiva.
Tuttavia, il mondo editoriale e i librai non sembrano assistere impotenti alle svolte brusche, quando non siano violente, della modernità. Anche in Italia, infatti, così come succede in alcune nazioni europee, quali Germania, Olanda e Inghilterra per esempio – paesi di altrettanto antica tradizione editoriale – da alcuni decenni hanno preso vita istituzioni precipuamente rivolte ai librai, vere e proprie scuole di formazione e di aggiornamento di questo antico mestiere.
Il primato nazionale indiscusso tocca alla Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri, nata nel 1983 per volontà della famiglia Mauri, ampiamente nota agli addetti ai lavori, ma non solo, per l’impegno distributivo con le Messaggerie Italiane. Erano quattro i membri del comitato fondatore: Valentino Bompiani, Luciano Mauri, Gianni Merlini e Tonino Bozzi, quest’ultimo ancora brillantemente attivo. A tali illustri personaggi si affiancò subito Silvana Mauri. E alla sua generosa dedizione deve andare un pensiero speciale.
«Era appena morta Elisabetta, la figlia di mio fratello Luciano» ricorda Achille Mauri, oggi responsabile del comitato della Scuola, «e per non restare ognuno nella propria solitudine luttuosa, ci trovavamo a giocare a calcio in un campetto cittadino, a Milano. A bordo campo, Valentino Bompiani guardava questi ragazzi tutti sudati e, scuotendo un po’ la testa, ripeteva: “E se facessimo qualcos’altro?”. Fu a lui che venne in mente di fondare una scuola per librai. Ne parlò con Vittore Branca e l’iniziativa fu prontamente accolta dalla Fondazione Cini, a Venezia.»
Da allora, ogni anno nel mese di gennaio, la città che fu di Aldo Manuzio ospita dei corsi di perfezionamento in cui avviene l’incontro fra librai e operatori del settore: un modo per far conoscere dall’interno la macchina editoriale e riflettere su temi che sono imprescindibili per una libreria, quali la sua localizzazione, l’assortimento, le modalità di distribuzione, la commercializzazione e la promozione del libro.
Fa settimana di lavori si conclude con un premio al miglior libraio dell’anno – perché giovane e intraprendente, perché molto bravo a operare nelle più periferiche province italiane, perché in grado perfino di stampare in proprio, recitano le ultime tre motivazioni – e con lo sbarco in laguna del fior fiore dell’editoria nostrana. Tutti insieme appassionatamente, librai ed editoriali, per ascoltare esperti nazionali e internazionali, per discutere e riflettere sul mondo dei libri. In quei giorni, il clima è rigido in città, ma alla Fondazione Cini si è confortati dal calore dell’intelligenza operativa.
Nel corso dell’anno, sotto l’egida della Scuola, Milano ospita dei corsi di approfondimento monografico. Vi partecipa come docente Romano Montroni, per anni responsabile delle librerie Feltrinelli, oggi prezioso consulente del progetto delle librerie a marchio Coop, nonché autore di Vendere l’anima. Il mestiere del libraio (2006). Era giovane quando entrò a far parte del comitato della Scuola, su invito di Luciano Mauri. Ora, vi insegna con inscalfibile entusiasmo. E molta esperienza da trasmettere.
Sono due le linee «didattiche» che sembrano interessarlo maggiormente: con i librai bisogna riflettere sia sulla qualità dell’assortimento, sia sul servizio da rendere al lettore. Ohibò, Montroni sembrerebbe evocare il buon tempo antico, quando si entrava in libreria e si poteva ricevere consigli per gli acquisti orientati con cognizione di causa. Ma lui non pronuncia nessuna rampogna sui mala tempora.
La sua scommessa, invece, è quella di coniugare la tradizione – che significa conoscenza e competenza – e tutti i vantaggi tecnologici dell’oggi. Anche perché la libreria è un’azienda e come tale va gestita. «Un libraio grande, medio o piccolo che non usi Internet, il computer per controllare gli ordini o il suo movimento titoli o gli sms per avvertire il cliente che il libro richiesto è arrivato, può anche chiudere» sostiene deciso. Ma aggiunge: «Il passato non si butta. Un esempio per tutti: la libreria Hoepli di Milano, gestita da uomini colti e capaci, non è minacciata da nessun megastore». Meglio, dunque, continuare a investire sulle risorse umane e sulle loro competenze.
E quello che insegna ai librai, insistendo però sulla puntuale conoscenza di tutta la filiera del prodotto editoriale, dall’ufficio stampa al distributore. Persone, non solo funzioni. «Una casa editrice continua a essere fatta dagli uomini, dai loro progetti. Per questo la Scuola promuove molti incontri fra librai ed editori», insiste. Poi continua a parlare della scuola dove affronta temi come il ruolo della piccola editoria, l’editoria per ragazzi, l’editoria del tempo libero, a suo avviso non ancora adeguatamente trattata dai librai. Quelli dedicati al giardinaggio, al bricolage, alla gastronomia, sono libri sempre più richiesti dai lettori, forse ancora un po’ snobbati dai librai. Colpevolmente. Le culture vanno aggiornate.
Del resto, anche i librai sono cambiati nel tempo. Lo segnala, con palese soddisfazione, Achille Mauri: «Eravamo abituati a pensare a un libraio come a un uomo in bianco o nero, rintanato fra gli scaffali o vestito di jeans che non cambiava mai… E invece con gli anni è arrivato a Venezia un numero sempre più alto di donne, brave, competenti, motivate, colte, quasi tutte laureate. Da quando esiste, la Scuola ha irrobustito la formazione e l’indipendenza di oltre duemila librai e la maggioranza sono donne».
Sarà un caso, riflettiamo noi, se uno degli ultimi bestseller glamour importati dall’America, La lettera d’amore di Cathleen Schine, uscito nel 1999 da Adelphi, aveva per protagonista proprio una libraia?
Per tornare in patria, segnaliamo che la maggioranza degli oltre 200 allievi annuali che si iscrivono ai corsi provengono per il 73% dal Nord, per il 17% dal Centro della penisola e per il 10% dal Sud; percentuali che corrispondono, grosso modo, anche a quelle della geografia di vendita dei libri. E che la dicono lunga, ancora una volta, sulle differenze fra il settentrione e il meridione del Belpaese.
Nel cuore della penisola, tuttavia, a Orvieto, dal 2006 si è aperta un’altra scuola per librai. E nata dalla collaborazione con L’Associazione librai italiani, l’Università Ca’ Foscari di Venezia (nello specifico, assai significativo, con il dipartimento di Economia e direzione aziendale) e la Fondazione per il Centro Studi Città di Orvieto. Il corso è dedicato alla formazione di giovani neolaureati che ambiscono a lavorare in una libreria, propria o altrui. Alle 300 ore di lezione sono affiancati stages obbligatori da svolgersi fra i banconi di librerie qualificate.
Le materie sono interessanti: analisi del mercato del libro, competenze gestionali di base, spazio della libreria, progettazione della medesima. Segno che è sempre più cogente la necessità di coniugare la cultura umanistica a quella economica. E formare nuove generazioni in questa prospettiva «bilanciata» non può che essere meritorio, a nostro avviso.
Del resto, l’editoria fin dalla sua nascita si è trovata a dover mediare fra le due istanze.
Molti secoli fa, a Venezia, lo stampatore-libraio Antonio Moretto era molto fiero delle sue edizioni di classici latini, assai orgoglioso e riconoscente per gli encomi che lo storico Marcantonio Sabellico riservava benignamente alla sua libreria, definendola un celebre emporium, ma non si peritava a far andare i torchi giorno e notte per stampare bibbie a tutto spiano.
Alla sua morte lasciò una fortuna. E gli eredi presero a litigare furiosamente. Come talvolta succede oggi.