Il fumetto è reale: cronache e autobiografismo nel graphic novel

Piccoli graphic novel crescono, diventano grandi e affrontano il mondo. Il passaggio dagli albi seriali ai volumi con storie lunghe e autoconclusive si accompagna a un cambiamento profondo, di genere e contenuti. Repechages di titoli storici degli anni settanta rilanciano l’urgenza di raccontare la realtà sociale. Elfo, Gipi, Davide Reviati sono l’avanguardia avanzata del nuovo fumetto italiano: un’istanza di realismo che può declinarsi in storie che partono dalla cronaca recente e sfumano nell’autobiografia, o viceversa filtrare le recenti grandi trasformazioni sociali attraverso squarci del proprio vissuto.
 
A volte, è forte il sospetto che l’uso dell’idioma inglese per esprimere concetti per i quali l’italiano è più che adeguato abbia lo scopo di allontanare il ridicolo. Si pensi per un attimo a graphic novel, il nome anglofono ed elegante con cui il fumetto è riuscito a guadagnare spazi dedicati in tutte le librerie e rispettabilità agli occhi di un pubblico diverso da quello uso all’acquisto di albi in edicola. Quel nome dovrebbe indicare un libro dalla paginazione abbondante che raccoglie una storia a fumetti dall’ampio respiro narrativo. L’uso del condizionale è, però, d’obbligo, perché si sente ormai usare la locuzione come sinonimo di fumetto. Al punto che Art Spiegelman, autore di rilievo internazionale cui dobbiamo libri imprescindibili quali Maus e Breakdowns, può ironizzare sui complimenti ricevuti per un graphic novel di una pagina realizzato per «Washington Post» (si tratta di Thè St. Louis Refugee Ship Blues, uscito in italiano su «Internazionale» n. 811 del 4 settembre 2009).
D’altro canto, l’irrompere del graphic novel, inteso come libro, nel mercato del fumetto ha ampliato un sistema dei generi che, nel tempo, stava diventando sempre più angusto. La serialità espressa dai formati tradizionali del fumetto – la striscia, la pagina e l’albo, nelle varie declinazioni nazionali – ha l’obbligo di suscitare nei lettori meccanismi di affezione che inducano a frequentazioni di lungo periodo. Per riuscire a costruire un legame col pubblico, gli autori hanno definito, nel tempo, personaggi che, oltre a essere facilmente riconoscibili in ogni momento, fossero a proprio agio in ambienti ascrivibili, nella quasi totalità dei casi, a un genere: la fantascienza, il poliziesco, l’erotico, il western, fino ad arrivare a classificazioni specifiche del fumetto come, per esempio, quella dei supereroi con grandi poteri, grandi problemi e grandi responsabilità.
Se, da un lato, le storie lunghe e autoconclusive contenute nei graphic novel continuano a usare i modi narrativi del fumetto (con tutte le regole, le convenzioni e perfino gli stereotipi che costituiscono la grammatica di quel racconto), dall’altro, esse possono prescindere dalla necessità di costruire finali aperti verso nuove avventure interessanti. Il personaggio, la rete di relazioni che intesse e l’ambiente in cui vive possono risolversi – o crollare – al termine del libro. In questo contesto lo spettro dei temi che un fumetto può trattare direttamente, senza la necessità del filtro delle metafore suggerite dal genere (e dalla sensibilità degli autori), si sposta lateralmente consentendo ai fumettisti racconti che si riferiscono a un mondo più vicino a loro e, presumibilmente, ai loro lettori.
Negli scaffali delle librerie, aumentano quasi linearmente i fumetti esplicitamente realistici, tanto da rendere necessaria un’indicazione di genere capace di contenerli. Da qualche anno, infatti, si parla di «fumetti di realtà», indicando, con questa definizione, tutti quei lavori che rifiutano l’appellativo di narrazione di genere. I fumetti di realtà si polarizzano principalmente su quattro aree: il racconto autobiografico e, talvolta, diaristico, il reportage (definito, con un anglismo, comics journalism), il fumetto storico e il carnet di viaggio (spazio editoriale all’incrocio tra giornalismo, diario e sketchbook, che consente di trovare uno sfogo commerciale per materiali idealmente non pensati per essere pubblicati).
L’esplosione del fenomeno, resa evidente da libri importanti, anche commercialmente, come Maus di Art Spiegelman, Persepolis di Marjane Satrapi, Palestina di Joe Sacco e LMVDM. La mia vita disegnata male di Gipi, può indurre a pensare che il realismo sia per il fumetto una conquista recente e, comunque, garantita principalmente dall’emergere del graphic novel. In realtà, il rapporto tra fumetto e realtà ha una storia antica che pianta le proprie radici alle origini dell’industria della cultura. Stranamente, proprio l’estendersi della scaffalatura dedicata ai libri a fumetti sta consentendo il recupero della traiettoria storica lungo la quale il racconto fatto di parole e immagini in sequenza si è avvolto intorno alla realtà. Negli ultimi anni compaiono sempre più spesso eleganti ristampe curate minuziosamente di capolavori, a volte anche rimossi, della storia del fumetto. Accanto a meritorie operazioni di importazione e traduzione di materiali esteri, appaiono nelle librerie volumi che raccolgono, nel miglior formato possibile, importanti opere del passato.
Due libri in particolare, usciti nel corso del 2009, raccontano alcuni aspetti della trasformazione subita dal fumetto italiano nel corso degli anni settanta. Una modificazione dei temi trattati e dei modelli produttivi e di fruizione i cui effetti ancora riverberano nelle produzioni più recenti.
Il primo dei due titoli è Valentina Mela Verde 1. Tutte le storie 1969-1970-1971, pubblicato da Coniglio editore di Roma. Il libro raccoglie, in puntuale sequenza cronologica, i primi tre anni del personaggio realizzato da Grazia Nidasio per il «Corriere dei Piccoli». La serie insegue la quotidianità dell’adolescente Valentina, chiamata dai familiari Mela Verde a sottolineare la distanza dalla maturità, e della sua famiglia. Si tratta di un modo per fornire alle tante lettrici del «Corrierino» una figura femminile con cui identificarsi senza perdere il ritmo delle esperienze di scuola, di vita e di divertimento: la scansione delle stagioni è garantita dalla pubblicazione settimanale. Ma Grazia Nidasio, pur non smettendo mai di dare consigli pratici (su come vestirsi, organizzare una festa, scrivere una lettera…), dimostra subito la propria volontà di rimanere assolutamente contemporanea a se stessa. Valentina vive a Milano, una città che viene investita dai venti di trasformazione degli anni settanta. E non solo metaforicamente, come dimostra la bomba del 12 dicembre 1969, che separa due decenni con uno squarcio che di simbolico ha pochissimo. Nonostante i temi leggeri e le accesissime tempere ultrapop, Nidasio rende il mondo di Valentina permeabile alla realtà: in esso si riversano professori evidentemente di sinistra, sperimentazioni scolastiche, cantanti beat, ecologismo, impegno sociale e politico… Il ritratto di un’epoca e di una città dettagliato con la precisione di un sociologo, ma con meno parole e molto più calore e affetto.
L’altra raccolta di materiali storici, fondamentale per il fumetto di realtà, apparsa quest’anno è Trovare e Ritrovare degli argentini José Munoz e Carlos Sampayo, edito da Nuages di Milano. Si tratta del quarto volume della riedizione integrale delle avventure di Alack Sinner, personaggio nato a metà degli anni settanta sulle pagine di «alterlinus», rivista italiana di fumetto avventuroso adulto e di ricerca. Pur muovendo i primi passi sulle impronte di investigatori hard boiled come Philip Marlowe o Sam Spade, Alack Sinner si distacca presto dal modello di genere per esprimere la forte volontà di raccontare e commentare il presente. Le stigmate del racconto chandleriano ci sono tutte: l’investigatore eternamente perdente che beve e fuma troppo, circondato da femmes fatales e donne dure come l’acciaio che non possono sopportare la tristezza di questo povero peccatore. Ma l’urgenza di raccontare una realtà sociale, spesso così dolorosa da non poter restare fuori dal fumetto, fa sì che Munoz e Sampayo infittiscano i propri fumetti di squarci di attualità: nei titoli dei giornali che svolazzano per la città, nei frammenti di discorso percepiti in strada, nelle voci opprimenti dei commentatori radiofonici… Sebbene i due autori amino dire che, nei loro fumetti, «sullo sfondo rimane il suono della realtà», in Alack Sinner ogni frantume di attualità contribuisce a generare un rumore sovrastante che è il vero protagonista di quelle storie: il mondo visto dallo sguardo apolide di due argentini espatriati che, da Milano, raccontano gli Stati Uniti d’America.
Questi due libri, questi due personaggi, rappresentano due punti nodali della traiettoria che ha condotto all’attuale pervicace presenza di realismo nel fumetto italiano. Non è un caso che Giancarlo Ascari, che si firma con lo pseudonimo Elfo, abbia deciso di dedicarsi ai fumetti, al termine di una stagione di impegno politico, influenzato dall’Alack Sinner di Munoz e Sampayo. Quelle storie, dichiara l’autore, gli davano la consapevolezza che si potesse raccontare la realtà delle strade e delle piazze. E non è un caso che, qualche anno dopo l’esordio sulle pagine di «alterlinus», Elfo abbia maturato il proprio racconto ascoltando consigli e indicazioni di Grazia Nidasio che era art director del «Corriere dei Piccoli». Dopo una carriera lunga e articolata, Ascari ha realizzato un libro che sintetizza tanto la volontà pedagogica di Nidasio quanto lo sguardo sull’oggi di Munoz e Sampayo: Trutta colpa del 68. Cronache degli anni ribelli, pubblicato nel 2008 da Garzanti, una casa editrice tradizionalmente lontana dal fumetto. Il libro dimostra che la forma graphic novel non deve necessariamente adeguarsi al «romanzo». Elfo antologizza, infatti, una serie di episodi autobiografici (Rinaldo, il protagonista del libro, è evidentemente l’autore) che, posti in sequenza, raccontano, molto bene e con uno sguardo personale, un pezzo di storia d’Italia e di Milano. Leggendo le note di Enrico Deaglio, nella quarta di copertina del libro, non si può evitare di pensare a Valentina Mela Verde e Alack Sinner: «[Elfo] ha usato la colla dei volantini sui muri, la Polaroid, l’amato Godard, ha spruzzato lezzo di lacrimogeni e di patchouli. Inutile dirlo: ha fatto tutto con amore. E tenerezza».
Altro autore simbolo del fumetto di realtà italiano è il pisano Gianni Pacinotti, che si firma Gipi e che, per molti versi, ha un approccio diametralmente opposto a quello di Giancarlo Ascari. Laddove Elfo parte dalla storia e dai documenti per ricostruire fatti che lo hanno visto protagonista, Gipi definisce come punto di partenza dei propri fumetti l’autobiografia. E esemplare come il suo lavoro sia stato modificato radicalmente da due eventi che hanno segnato la storia recente, di questo paese il primo, e del mondo intero il secondo. Quando nel 1994, il neonato movimento Forza Italia, fondato da Silvio Berlusconi, si afferma alle elezioni quale primo partito, il ventunenne Gipi, che, fino ad allora, si è percepito indifferente alle questioni politiche, propone una serie di vignette a «Cuore» iniziando, da quel momento, a collaborare con il settimanale. Dopo i fatti dell’11 settembre 2001, Gipi inizia a disegnare i fumetti che saranno raccolti nel suo primo libro Esterno notte (2003). L’autore pisano filtra le grandi trasformazioni sociali attraverso il proprio vissuto e ne permea racconti che sono spesso autobiografici. Nel suo ultimo libro, LMVDM. La mia vita disegnata male, pubblicato da Coconino e Fusi Orari nel 2008, Gipi parte da un evento intimo e personalissimo (un’infezione al pene) per affastellare elementi in caduta libera che, tra memoria e menzogna, onestà e trucchi narrativi, definiscono un modo del racconto fino a oggi assente dal fumetto italiano. Pagine dense di figure tracciate rapidamente (disegnate male, ama dire Gipi) e di parole vergate in uno stampatello veloce interrompono la propria corsa frenetica infrangendosi contro tavole colorate a olio in cui un racconto di pirati recupera il ritmo del fumetto d’avventura. La presenza di un piano narrativo di fantasie di genere rende ancora più veritieri gli eventi autobiografici: il racconto di formazione di una generazione nella provincia italiana, tra droghe, sesso, inconsapevolezza e uomini neri pronti a sventrare la notte.
Anche Davide Reviati ha dedicato il proprio libro più importante a un racconto generazionale. Dopo due raccolte di fumetti brevi dedicati a Drug Lion, un leone perso tra dipendenze psicotrope che poco si scosta dalla ripetizione di certi stilemi provenienti dai (tanti) lavori minori di Andrea Pazienza, Reviati ha dato alle stampe, nel corso del 2009, due libri importanti e molto diversi tra loro: Morti di sonno e Dimenticare Tiananmen. Il primo dei due, in particolare, è un lavoro straordinario: 350 pagine che ricostruiscono gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza dell’autore e dei suoi amici. L’autobiografia è l’occasione di innesco per raccontare un pezzo di storia d’Italia: l’autore, infatti, è cresciuto a Ravenna, nel villaggio ANIC (oggi quartiere San Giuseppe), sviluppatosi a partire dagli anni cinquanta attorno allo stabilimento petrolchimico dell’ENI. Pur montando il racconto su un’epica dell’infanzia, espressa dalle posture solenni – e, a volte, un po’ stucchevoli – di bambini che giocano, Reviati riesce a tracciare il ritratto di un paese che muta, tra gli anni settanta e ottanta, raccontando di inquinamento, morti sul lavoro, alienazione industriale, immigrazione, droga e prostituzione.
Elfo, Gipi e Reviati rappresentano un’istanza importante del graphic novel italiano contemporaneo e si configurano come punta dell’iceberg del fumetto di realtà. Accanto ai loro lavori, che partono da stimoli autobiografici, molti editori italiani affiancano libri di impianto realistico con pulsioni molto diverse. Valgano per tutti gli esempi delle case editrici che dedicano gran parte del proprio catalogo alla produzione italiana: BeccoGiallo con le sue ricostruzioni a fumetti di fatti storici o di cronaca; Black Velvet con l’accoglienza riservata agli autori della generazione che ha visto chiudere, una dopo l’altra, le grandi riviste di fumetti; Coconino che ha costruito il proprio catalogo sulla consapevolezza che la locuzione graphic novel allontana i limiti di genere; Kappa Edizioni che, dopo aver scelto i dolori della crescita come territorio narrativo preferenziale, ha accumulato nel proprio catalogo fumetti esplicitamente indirizzati al segmento young adult.
Anche i nuovi modelli di fruizione del fumetto, garantiti dalla digitalizzazione dei contenuti e dalla Rete, nonostante siano ancora minoritari e producano impatti su un pubblico la cui numerosità non è stata ancora indagata a sufficienza, presentano interessanti istanze di realismo. I blog, con la loro vocazione alla registrazione di sensazioni e di esperienze quotidiane, hanno offerto ai fumettisti la possibilità di pubblicare racconti che difficilmente avrebbero trovato altra collocazione. Alcuni tra gli autori più sensibili hanno approfittato del supporto, cercando di beneficiare dello sviluppo verticale abilitato dal senso di scorrimento dello schermo (lo scrolling delle pagine web). L’esperimento più interessante in tal senso è Core ingrapho (www.coreingrapho.com) che, nato all’inizio del 2009, pubblica esclusivamente fumetti inediti a sviluppo verticale. Marco D’ambrosio, che si firma Makkox, è decisamente il più interessante tra gli autori ospitati dal sito. Sul suo blog (www.canemucca.com, attivo dal 2007) Makkox ha consolidato la forma del racconto che maggiormente ha influito sul progetto «Core ingrapho». Esplicitamente influenzato dai fumettisti dell’ondata «Cannibale» (Filippo Scozzari, Massimo Mattioli, Stefano Tamburini, Andrea Pazienza e Tanino Liberatore), Makkox racconta frammenti di diario e di esperienze autobiografiche con tono a volte scanzonato e altre rabbioso.
E mi sembra rilevante osservare come, nonostante il differenziarsi dei generi e dei supporti, il fumetto italiano di realtà si mantenga a distanza di sicurezza dal racconto storico. Le analisi e gli studi di fonti e documenti sembrano, in questo momento, lontani dagli interessi degli autori. Laddove il fumetto seriale italiano mostra attenzione verso la storia (per esempio con le serie di Gianfranco Manfredi, «Magico Vento» e «Volto Nascosto», edite da Bonelli), il graphic novel, il fumetto più adulto e di ricerca, rimarca una profonda distanza da quei temi. Non è sempre stato così: basterebbe recuperare i lavori ormai dimenticati di Anna Brandoli e Renato Queirolo («La strega» e «Rebecca», innanzitutto). Parrebbe quasi che nessuno abbia voglia di tentare lavori confrontabili (o, peggio, affiancabili) alla noia didascalica dei libri, molto venduti e continuamente ristampati, contenenti la storia a fumetti – d’Italia, d’Europa e del mondo – che riportano in copertina il nome del compianto Enzo Biagi. E forse è proprio nello scollarsi dal materiale autobiografico e nella ricostruzione di eventi e ambienti lontani nel tempo la prossima sfida italiana del fumetto di realtà.