Il romanzo di formazione di una ragazza a fumetti

Troppo non è mai abbastanza, di Ulli Lust, consente di gettare sull’Italia degli anni recenti uno sguardo impietoso attraverso l’esperienza compiuta da una ragazzina diciassettenne in fuga dal conformismo della patria austriaca. Ne riescono tratteggiati in maniera terribile usi e abusi dei maschi italiani, afflitti da un gallismo atavico e degenerato. La Bildung della Ulli attesta quale livello di complessità critica possa raggiungere il racconto a fumetti di misura ampia, senza scapitarne in agilità di lettura e tenuta romanzesca.
 
La riscoperta della realtà italiana intrapresa da tante opere letterarie degli anni recenti riceve un contributo notevole anche dalla narrativa a fumetti. L’adozione di registri consoni alla rappresentazione realistica delle relazioni sociali e dell’interiorità psichica non è stata una soluzione preponderante nella storia del fumetto: mezzo espressivo quanto mai altri votato, in tanta parte della produzione più diffusa, alla sbrigliatezza della diversione fantastica e alla ricorsività degli stilemi compositivi. Tanto più ragguardevole appare dunque che un apporto alla comprensione della contemporaneità psicosociale provenga dal linguaggio delle nuvole parlanti. Un simile apporto si connota di ulteriore peculiarità allorché sia gettato sull’Italia e i suoi costumi tardonovecenteschi da un punto di vista esterno e non pregiudiziale.
A compiere un’operazione siffatta è il romanzo a fumetti Troppo non è mai abbastanza, dell’austriaca Ulli Lust, pubblicato nel 2013 da Coconino Press-Fandango (Heute ist der letzte Tag vom Rest deines Lebens suona il titolo originale, apparso nel 2009 presso Avant-Verlag a Berlino). La prospettiva gettata sul Bel paese e i suoi abitanti in questo librone disegnato di 464 pagine gode di un triplice vantaggio: non solo si dispiega attraverso un linguaggio plastico come quello dei fumetti, che può trarre dalla propria relativa marginalità risorse di immediatezza e durezza inedite; ma per giunta è improntata alla sensibilità di una giovane donna straniera, la protagonista diciassettenne Ulli, controfigura autobiografica dell’autrice. Sono allora l’angolazione visuale femminile e la terzietà interculturale che, catalizzate dal linguaggio fumettistico, garantiscono un’efficacia ragguardevole al grand tour in chiave punk raccontato da Lust.
Classicamente, il modello del racconto di formazione si abbina a quello del racconto di viaggio. Le motivazioni dell’espatrio, situato all’altezza dei primi anni ottanta del Novecento, andranno ricercate nell’insofferenza verso i retaggi familiari di origine cattolica e le consuetudini sociali di stampo borghese. L’insofferenza giovanilistica nei riguardi delle convenzioni di costume imposte dalle generazioni adulte assume le coloriture del nichilismo fricchettone. Il quadro di partenza, nell’ambito dei circuiti controculturali e subalterni di Vienna, fornisce gli eccipienti affinché il ribellismo di Ulli possa indirizzarsi verso esiti più provocatori e avventurosi. Da una parte l’angustia dei benpensanti austriaci e l’incombenza della famiglia, dall’altra l’esaltazione delle amicizie più seducenti spingono la protagonista a intraprendere il suo ingenuo progetto di evasione. L’Italia si delinea a questo punto, nella totale sprovvedutezza e disponibilità di Ulli, come una meta esotica di piacevolezze climatiche e paesaggistiche. Il ruolo di Lucignolo, sulla strada di questo desiderabile paese dei balocchi, è assunto dall’amica Edi che unisce ad altrettanta incoscienza dosi massicce di volubilità, a insospettabili pudori conformistici una disinvoltura sessuale da ninfomane scapestrata.
Al confronto con le chiusure provincialistiche dei concittadini austriaci, il grado di arretratezza delle relazioni sociali che Ulli avrà modo di conoscere e patire in Italia, in particolare delle relazioni tra uomini e donne, assume un’evidenza abnorme. L’esplorazione dell’Italia conduce fondamentalmente la giovane d’oltralpe alla scoperta, sempre più sgradevole, del gallismo parossistico e inattendibile dei maschi italiani. Ci sono senz’altro momenti di contatto con personaggi maschili non condizionati dalla coazione alla galanteria greve, dalla protervia degli allupati: ma si tratta di brevi momenti di convivialità generazionale, vissuti per lo più nella capitale, soprattutto in compagnia di coetanei appartenenti al medesimo cosmopolitismo protestatario da cui muove Ulli. Quando capita di entrare in contatto con i maschi indigeni, specialmente se non di primo pelo, si scatena una giostra venatoria che assegna di regola alla giovane straniera il ruolo di facile preda sessuale, indubitabilmente prona all’assenso e alla venerazione del satiro di turno. In cambio di un tetto sulla testa, un po’ di cibo e qualche ipocrita romanticheria d’accatto, i velleitari dongiovanni italiani pretendono l’asservimento al totem itifallico, salvo incappare non di rado in farseschi deficit di virilità.
Il percorso seguito da Ulli e dall’amica Edi tocca alcune delle principali città a vocazione turistica della penisola – Verona, Cattolica, Pescara, Roma, Napoli, Messina, Palermo – delineando una direttrice di spostamento orientata verso sud, sull’onda delle occasioni e degli stimoli che le viaggiatrici incontrano on thè road. Le tendenze internazionali del vagabondaggio giovanile forniscono spunti e suggerimenti circa le tappe ulteriori, soprattutto rispetto all’opportunità di svernare in Sicilia, dove si può trovare la droga più pura dell’intero continente. Sin dai primi spostamenti oltre confine le attenzioni rivolte dagli uomini alla protagonista e alla sua compagna mostrano quei tratti di machismo esasperato che accomunano le condotte virili in terra italiana. A mano a mano che il viaggio si snoda verso mezzogiorno, a ogni modo, la sfrontatezza e la frenesia dell’assiduità maschile sembrano infiammarsi vieppiù. A Napoli Ulli viene segregata in un tugurio dal suo ospite occasionale, che ha provveduto a separarla con la frode dai suoi compagni di erranza. In Sicilia è ripetutamente vittima di violenza sessuale e ha modo di constatare quanto la mentalità maschilista tradizionale sia contigua alla mentalità maliosa.
Le pagine ambientate sull’isola, all’imo della discesa infernale vissuta da Ulli, acquistano più aperto respiro di indagine socioantropologica soffermandosi, grazie alla guida del conterraneo Andreas e di qualche cicerone locale, sulle forme disastrate della convivenza, sulla nozione perversa di onore e famiglia, sulle inconsistenti prospettive di riscatto economico, sulla preponderanza ineluttabile del giogo mafioso. In Sicilia avvengono d’altronde le prove decisive per una crescita di consapevolezza da parte della protagonista: non solo gli episodi di stupro, ma soprattutto i voltafaccia perpetrati da coloro che la giovane ritiene gli amici più affidabili. Ulli viene abbandonata a se stessa dalle persone a cui ha riconosciuto davvero sintonia o intimità: congedata frettolosamente dal mistico Dieter, che avverte con fastidio l’aura di pulsioni e minacce attorniante la ragazza; ridotta a puro oggetto d’uso e consumo da Guido, che la vende in cambio di una pizza dopo aver abusato di lei e avervi convissuto come con una sposa; ignorata con insofferenza da Edi durante l’aggressione del terribile boyfriend di lei, lo sgherro rampante Gino; infine tradita dalla medesima Edi, ormai tossicomane, quando Ulli subisce ostracismo da parte dei maschi alfa-dominanti della criminalità maliosa.
Il fumetto di Lust poggia su un disegno traballante e sfilacciato, funzionale alla caratterizzazione incerta e grottescamente sommaria delle fisionomie: a specchio dei destini precari oggetto di racconto. Il reticolo delle vignette viceversa presenta un impianto sistematico e uno sviluppo continuativo, in modo da conferire alla pagina una scorrevole leggibilità, anche quando essa obbedisca a criteri di quadratura variabili e slegati da ferree correlazioni geometriche. Le risorse di trasfigurazione metamorfica sorreggono la drammatizzazione delle vicende nei momenti di maggior asperità. La fantasia deformante di Lust indugia proprio sulle membra virili per sovraccaricare espressivamente il senso di assedio che da esse promana a danno dell’autonoma soggettività donnesca: cosicché la spudoratezza insinuante degli sguardi mascolini viene delineata come sorta di prolungamento prensile degli occhi, capace di insidiare il corpo femminile; la laidezza viscida di padrifamiglia pronti a gettarsi sulla femmina peregrina si traduce visivamente in una sorta di fluttuante liquame antropomorfo che avvolge la malcapitata; l’onta che la presunta mascolinità avverte quando si senta provocata e sopraffatta dalla parola del soggetto femminile alimenta roghi di rabbia, in forma di vere e proprie torce umane; l’aggressività virulenta dei violentatori determina lo sfaldamento dei loro profili umani, lo stravolgimento mostruoso delle fisionomie e il tracimare della pulsione sadica in turbine d’inchiostro che stringe e deturpa la vittima.
Accanto a ciò, tuttavia, non mancano spazi di ristoro autoironico, per esempio laddove l’alleggerimento dei contorni e la riduzione puntiforme dello sguardo riecheggiano stilemi propri dei manga, a manifestare l’impaccio ridevole della protagonista.
Un io narrante comprensivo e parco nei suoi interventi didascalici, formulati al margine delle vicende, è pronto a sminuire la presunzione di maturità dell’io narrato e a compensarne, con informazioni integrative sui luoghi i fatti gli usi, l’ignoranza e la sprovvedutezza. Il resoconto delle avventure vissute da Ulli è corredato dalla riproduzione in estratto e dalla citazione visiva di documenti autografi d’epoca – pagine di diario e di corrispondenza – atti a convalidare l’autenticità del referto. Insieme con la ricostruzione cronistica della cornice ambientale, ciò concorre a suscitare effetti di veridicità e adesione commossa alle traversie della protagonista/autrice. L’ostensione del proprio oltraggio e della propria sfida ci riconduce negli ambigui territori dell’autofiction: che conseguono esiti di ambiguità tanto più sottile dal momento che il linguaggio utilizzato è quello del fumetto, con i suoi portati di stilizzazione grafico-fisionomica e derealizzazione narrativa. L’essenzialità di rappresentazione raggiunta mediante il mezzo fumettistico vale, tuttavia, anche e soprattutto a mitigare le implicazioni più urtanti del vissuto autobiografico: al punto che Troppo non è mai abbastanza può mostrare e indugiare su quanto non si potrebbe raccontare con altri mezzi se non a rischio di autoesibizione e autocommiserazione.