A quarant’anni dal successo clamoroso, il libro di Rocco e Antonia torna in libreria, in forma di graphic novel. L’idea era buona per conquistare alla lettura il pubblico dei ragazzi che amano Zerocalcare; ma fra le nuvolette del fumetto i porci, impiombati da inchiostro moralista, perdono le ali: sfumano i colori dell’allegrezza spavalda e si dissolvono le provocazioni della voce femminile.
Sono tornati Rocco e Antonia: hanno compiuto quarant’anni e non li dimostrano.
Rimettere in volo i due studenti contestatori e scoperecci, affidandone le vicende ai disegni del graphic novel era una buona idea, non meno azzardata di quella che tanto scandalo sollevò nel 1976, quando l’opera scritta a quattro mani da Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice venne pubblicata da Savelli. Un Bildungsroman porno-rosa elettivamente rivolto ai ragazzi dei movimenti, studentesco e femminista.
Nel nuovo Porci con le ali, edito da Bompiani, il sottotitolo di allora, Diario sessuo-politico di due adolescenti, è stato eliminato, considerato “illeggibile” dalla stessa autrice (Ravera, Introduzione}. Peccato: quell’indicazione di genere chiariva, sin dalla copertina, il nucleo più provocatorio del progetto: si trattava di una fiction, un racconto di formazione, narrato in presa diretta, dalle voci dei protagonisti sedicenni. Se ne esaltava l’efficacia, ancor oggi perdurante, di un titolo che, ricavato da un saggio di antipsichiatria (David Cooper, La morte della famiglia), bruciava ogni connotazione ideologica, per insediarsi con spregiudicatezza nel campo della letteratura d’intrattenimento. Era il primo libro di una collana intitolata «Il pane e le rose» e i colori sgargianti della veste editoriale, nove riquadri (3×3) già di taglio fumettistico, non lasciavano dubbi sulla volontà di sperimentare nuovi modelli e forme di linguaggio «fuori dalle formulette codificate… l’italiano delle piattaforme e delle scadenze» presentazione).
Era questa la ragione che rendeva il diario di Rocco e Antonia, a detta dei suoi stessi curatori, «un libro anomalo nel panorama della stampa di sinistra degli ultimi anni» (Usai-Pintor, Dialogo a posteriori)’, troppo esplicita l’urgenza di pathos proiettivo con cui la scrittura narrativa rappresentava l’autocoscienza giovanile, intessuta di desideri e paure, smanie e rimorsi. Grazie al racconto “autobiografico” dei due liceali cadeva d’un colpo il pesante interdetto che non solo il pubblico dei contestatori ma anche l’élite colta più impegnata aveva lanciato contro il romanzo di piana leggibilità, peggio di alte tirature: «Il successo, in quell’epoca e in quell’ ambiente, era farina del diavolo, indizio di intelligenza col nemico», ricorda oggi Ravera, con una punta di malcelato orgoglio {Introduzione).
Ai ragazzi di «sedici-diciotto anni vivi e contraddittori delle piazze e delle scuole» presentazione), che divoravano pamphlet di rivolta e vademecum di lotta, mentre di nascosto leggevano fumetti e «giornaletti porno» o «sexifavole», per dirla con Rocco, veniva offerto l’invito a partecipare immaginosamente alle avventure iniziatiche di due coetanei e a scoprire di quante ambiguità era permeato l’«assioma» urlato in assemblea e nei cortei: «il personale è politico».
Affidare alla doppia penna di Rocco e Antonia il resoconto diretto degli eventi e soprattutto delle rimuginazioni che li accompagnano prima durante e dopo conferiva uno spessore di verità crucciosa alle illusioni titubanze e sogni che cadenzano il duplice percorso di Bildung. Comune a entrambi i protagonisti la spavalderia impudente del turpiloquio, venato, peraltro, dalle sprezzature ironiche di chi, intellettuale in erba, sa come arginare le fantasie più trasgressive. Diversa, invece, la trama di rovelli con cui i due ragazzi si confrontano con la sessualità e i suoi mistificanti volti di naturalità e normalità. A darne conto è l’alternanza delle voci monologanti che organizzano i materiali d’intreccio, spesso divaricando in sequenze contrapposte l’orditura del singolo capitolo. E poco importa se, nel gioco erotico-politico, Rocco appare più tontolone e Antonia più sfacciata e arrogante, se dalle reciproche esperienze d’omosessualità ricavano guizzi di identità diversamente conturbanti, ciò che conta è l’urto, aspro anche crudele, con cui si fronteggiano i due punti di vista. Il romanzo sceneggiava originalmente, nelle forme accattivanti della leggibilità, il cozzo irriducibile fra l’ultratradizionale desiderio maschile di possesso e la reazione aggressiva di una femminilità tanto più desiderosa di infrangere i ruoli canonici, quanto meno disposta a rinunciare alle aspirazioni rassicuranti del sentimentalismo di coppia. L’impossibile happy end, mentre diluiva il tono mieloso della vicenda – aveva ragione Brunella Gasperini a giudicarlo «una storiella d’amore, rosa con variazioni sessuali» (Pubblico 1977) – corrodeva per via letteraria il più urlato degli slogan dell’egualitarismo sessantottesco, fondato sulla persuasione ingenua che da una scelta politica rivoluzionaria discendeva il trionfo di una affettività senza conflitti.
In quel finale non pacificato si raggrumava la forza d’urto polemica con cui il “diario sessuo-politico” di due sedicenni puntava a coinvolgere il pubblico ampio del movimento che, d’altra parte, dimostrò di essere ben attrezzato a cogliere, sotto l’anonimato autoriale, la diversità di penna che opponeva il “lei” di Lidia Ravera al “lui” di Marco Lombardo Radice. E a parteggiare per l’una, sfrontata e antipatica, o per l’altro, riccetto infantilmente confuso.
Il lasso di tempo che separa il romanzo del 1976 dal nuovo libro ha certo attenuato lo slancio utopico del motto “il personale è politico”, ma il nodo di contraddizioni è rimasto tale; né è diminuita la riluttanza dei giovani lettori ad apprezzare le opere di letterarietà canonica. La riscrittura di Porci con le ali nelle forme inedite del graphic novel si prestava a diventare un esperimento non banale per intercettare le attese di chi ha sancito il successo di Dimentica il mio nome di Zerocalcare, di Cinquemila chilometri al secondo di Manuele Fior.
Peccato che nel passaggio dalla coppia di autori Ravera e Lombardo Radice al team di sceneggiatore e disegnatori Giffone, Longo e Parodi, il diario di Rocco e Antonia perda la carica di sgangherata baldanza contestatrice: i porci con le ali si normalizzano, e nella rappresentazione fumettistica sbiadisce non solo l’impeto della ribellione collettiva, ma ancor più il fervore antitradizionalista delle privatissime pulsioni della sessualità adolescenziale.
L’età dei tre autori del graphic, coetanei di Rocco e Antonia, nati cioè alla fine degli anni settanta, lasciava ben sperare sulla convergenza di idee e sentimenti con le figure fictae, ma l’omogeneità di gender vanifica la strutturale, dissonante polifonia compositiva.
Quasi a compensare il vuoto autoriale al femminile, tre striminzite indicazioni editoriali attribuiscono, in pagina interna, la “calligrafia” dei titoli dei capitoli e una manciata di vignette a tre disegnatrici. Pochi risarcimenti appaiono così incauti e maldestri: indizio ulteriore, peraltro, dell’incomprensione del meccanismo ironico che, nel gioco autorifrangente tra testo e paratesto, fungeva da controcanto registico alle vanterie sprovvedute dei protagonisti: 3. Rocco cerca al cesso la sua rifondazione morale e culturale; 10. Mettiti la maglietta Vladimir Ilic! 16. Pentita e confusa Antonia arrossì.
Il guaio, ovviamente, non sta nell’abrasione delle quote del politicamente corretto, ma nella monotonia cupa, un po’ asfissiante, che la scelta univoca imprime al graphic novel. La sceneggiatura di Manfredi Giffone ritaglia i nuclei d’intreccio marcatamente osceni, recupera le testimonianze più sguaiate e irriverenti dei due protagonisti, ma nessuno scarto di stile si apre nelle “nuvolette” attribuite a Rocco e Antonia. Nessun segno grafico, d’altra parte, aiuta a distinguere azioni e comportamenti dalle fantasie erotiche e dalle visioni autogratificanti con cui i due studenti si concedono compensazioni e vie di fuga dalla prosaica concretezza quotidiana. Esemplare la sequenza finale del secondo capitolo, in cui nel romanzo di Ravera e Lombardo Radice, l’artificio della “variante uno” e “variante due” delle avventure di Antonia sull’autobus movimentava, per via fantasmatica, l’incontro con l’adulto troppo perbene.
Ciò che nel testo del ’76 valorizzava, pur con il gusto un po’ furbesco dell’impudicizia scurrile, le molteplici differenze di scrittura qui si inabissa nel fluire compattamente monocorde delle inquadrature, che evitano ogni tratto contrastivo, ogni mossa allegramente straniante. La geometria fissa delle vignette allineate per quadrato o doppio quadrato, lungi dal dare visibilità scherzosamente scombinata alla Bildung, rinchiude la vicenda in una griglia rigida, che nessun varco apre all’immaginazione dei lettori. L’impaginazione dell’incipit dei venti capitoli si ripete con invarianza piatta – numero, titolo e disegno unico a banda lunga –, peccando talvolta di banalità, spesso di allusività insipida e perbenista.
L’effetto di lettura è reso ancor più pesante dalla scelta severa e riguardosa del bianco e nero. Forse per omaggio alla tradizione alta dei comics, Fabrizio Longo e Alessandro Parodi non prevedono alcun guizzo di colore, di rosso neanche mezza traccia, scomparso anche dal titolo. A prevalere, nella consequenzialità uniforme dei disegni, sono le macchie spente di grigio e i grumi lividi di ombre minacciose. Le sbavature scontornate dei ritratti restituiscono la mestizia squallida della solitudine anonima, mai l’esuberanza festosa del movimento: altro che volontà sfrontata di cambiare il mondo, politico e personale, che animava la provocante Antonia e contagiava il bel riccetto.
La cupaggine dei tratti grafici non solo induce un’impressione complessiva di scacco sconfortante, ma rivela un’inclinazione al moralismo censorio che tarpa, senza rimedio, le ali dei due protagonisti: l’ottica conformista, che confligge con il gusto ribelle del libro edito da Savelli, raggiunge l’acme nelle sequenze più intenzionalmente scandalose. Il famoso incipit affidato alla voce insolente di Antonia che si masturba, «Cazzo. Cazzo cazzo cazzo. Figa. Fregna ciorna», qui ha come sfondo un giardino e la protagonista, ragazzetta saltellante con la corda, sembra Cappuccetto rosso in attesa del lupo. Peggio va con il capitolo centrale, 11. Oltre la sodomia, l’amore..., punto di svolta dell’intera vicenda. Non c’è dubbio che tradurre in fumetto l’eccitazione di Rocco mentre sodomizza la compagna, che non solo non prova piacere ma patisce per «aver perso un’altra verginità», richiedesse uno sforzo di fantasia inventiva non scontato; e tuttavia l’idea di sceneggiare la sequenza come una gara di pattinaggio in cui la coppia si lancia in eleganti acrobazie, disegnando sul ghiaccio i cinque cerchi olimpici, è un colpo basso per i vecchi lettori di Porci con le ali. E forse anche per il pubblico più giovane, abituato ai graphic novels, a firma femminile, dove il percorso di Bildung chiarisce che «troppo non è mai abbastanza» (Ulli Lust).