In aula la narrativa perde spazio

La narrativa per la scuola media perde adozioni e risente di nuovi comportamenti dei docenti (in parte conseguenza della riforma Moratti); quella per le superiori si trova in uri impasse per la refrattarietà della scuola di oggi ad accogliere nuove sollecitazioni e aperture del canone novecentesco. Tra «libri di narrativa» che antologizzano saggistica e varia, abuso degli apparati didattici o loro rifiuto, il tempo della lettura perde spazio in aula, a casa, nelle vacanze. E per gli editori diventa sempre meno competitivo investire in diritti e curatele ad hoc per la scuola.
 
L’impressione è che, in questo momento, la narrativa scolastica costituisca per gli editori oggetto di riflessione e di ripensamento. Il settore di catalogo più vivace e stimolante, che aveva fatto registrare operazioni editorialmente coraggiose e culturalmente significative, che aveva contribuito non poco a ridurre la distanza fra i grandi scrittori e i giovani, futuro «pubblico medio», sembra attraversare un periodo di incertezza, per molti aspetti di difficoltà, o almeno di smarrimento entro un quadro di riferimento che sta mutando. La narrativa scolastica è da sempre accusata di vari errori e in particolare è criticata per avere trasformato la lettura, attività libera per eccellenza, in un esercizio da palestra a causa degli «apparati didattici». Accuse e critiche in parte condivisibili (l’errore più grave, quando è stato commesso, è a mio giudizio la presentazione in collane per la scuola media di testi troppo «alti» per quella fascia di età), ma che non possono oscurare del tutto un’azione complessivamente meritoria.
L’abolizione, da parte della riforma Moratti per la «scuola secondaria di primo grado» (da tutti ancora citata secondo l’abituale denominazione di «scuola media»), dell’ora curricolare di lettura di opere di narrativa da un lato ha operato direttamente una modificazione sul piano istituzionale, dall’altro ha accelerato indirettamente alcune tendenze che erano già rilevabili negli ultimi anni.
Accanto ai moltissimi insegnanti che ne celebravano (anche con qualche ingenua esagerazione e idealizzazione) il valore formativo, un certo numero non nascondeva come l’ora di narrativa fosse, almeno per loro, fonte di difficoltà: la lettura in classe annoia la più parte degli studenti; a casa finisce che leggono solo i più diligenti; di discutere su un libro, poi, non sono capaci né i diligenti né gli altri. L’abolizione dell’ora di narrativa lascia liberi i docenti che non l’amavano da un obbligo puramente subito e consente agli altri di continuare, se vogliono, a far leggere come prima.
La conseguenza per le case editrici, sul piano commerciale, è una forte flessione nelle adozioni, che è giunta a superare il 15 % in meno rispetto al 2002. Va detto che i primi segni di una contenuta tendenza negativa erano già rilevabili un anno prima dell’entrata in vigore della riforma: dato, questo, difficile da interpretare, perché è impossibile stabilire quanto sia dovuto a docenti che hanno «anticipato» i tempi o a un più rigoroso rispetto dei tetti di spesa in considerazione anche delle maggiori difficoltà economiche che molte famiglie incominciavano a incontrare. Una quota della flessione, inoltre, potrebbe rientrare nella più generale tendenza al ribasso che adozioni e vendite fanno registrare in tutta l’editoria scolastica (per motivi di ordine demografico che qui sarebbe fuori luogo esaminare).
Sempre sul piano commerciale le case editrici devono anche tenere conto del fatto che tende a diminuire il numero dei docenti che fanno acquistare i libri di narrativa all’inizio dell’anno e ad aumentare quello di quanti rimandano il momento dell’acquisto a ridosso della fine della scuola, in vista di una lettura durante le vacanze: se risolve problemi pratici e «casi di coscienza» di insegnanti, questo comportamento pone agli editori problemi di distribuzione.
L’analisi del mercato della narrativa destinata alla scuola media rivela alcuni dati interessanti, e interessanti soprattutto perché tra di loro abbastanza in contraddizione. Il primo potrebbe essere definito come una iniziale mutazione genetica del libro di narrativa: avvenuta in un certo numero di esemplari, non è escluso che diventi un carattere distintivo di buona parte della «specie». Da tre anni a questa parte, tra i titoli più adottati (in genere per l’ultimo anno delle medie) compaiono sempre più frequentemente libri che con la narrativa non hanno molto da spartire e che sono, invece, raccolte antologiche di articoli e di brani saggistici sui temi propri dell’età adolescenziale o sui grandi problemi del mondo odierno. Se il libro di narrativa era una «espansione» rispetto alla lettura antologica di racconti o di pagine di romanzi, questi altri libri sono una espansione delle omologhe sezioni già presenti nelle antologie in varia forma e misura. Il fenomeno può avere alla sua origine varie cause, ma rivela in ogni caso un cambiamento di motivazione (e di preoccupazione) nei docenti: dalla lettura orientata verso il letterario a quella orientata verso l’informazione (forse anche con maggiori probabilità che ne scaturisca una discussione in classe). Sta di fatto che il fenomeno è diventato rilevante dopo la riforma Moratti.
Un altro dato interessante è il favore di cui continuano a godere i libri di miti antichi nelle adozioni del primo anno delle medie. Prima della riforma tale preferenza si poteva spiegare con il collegamento con il programma di storia: ma ora in prima media si studia la storia a partire dalla fine dell’impero romano e, di conseguenza, dovrebbero essere apprezzate narrazioni ambientate in età medievale. Così non è, e non è facile capirne la ragione, vuoi che sia la relativa scarsità per il momento di testi a disposizione, oppure il desiderio degli insegnanti di riprendere il discorso sul mondo antico in modo più maturo rispetto alla scuola primaria (le elementari), oppure ancora la necessità di incominciare da narrazioni brevi e diegeticamente semplici, già collaudate nella precedente prassi didattica.
Le case editrici che hanno risentito meno della flessione della narrativa sono quelle che hanno costruito nel tempo un catalogo di qualità e due marchi sembrano avere un andamento decisamente migliore della media: Einaudi Scuola e Loescher, che hanno potuto attingere a ricchi cataloghi dal mondo della varia, ma che raccolgono i frutti non solo della capacità di creare una rete di contatti e di accordi, ma anche di una accurata selezione.
Un ultimo dato interessante che emerge dall’analisi del mercato della narrativa è il buon andamento di alcune piccole case editrici a «gittata» zonale, regionale o poco più. Si stanno specializzando soprattutto in libri-antologia di attualità che dedicano molta attenzione ai problemi specifici di quella specifica parte d’Italia; in alcuni casi propongono opere di narrativa di autori localmente conosciuti. Le piccole dimensioni (dunque i costi ridotti) e un sistema agile e flessibile di propaganda rendono remunerativa una vendita fortemente concentrata in un’area ristretta, che solo se misurata su scala nazionale può apparire percentualmente poco consistente. E un dato di fatto che nella scuola media lo studio del territorio di appartenenza ha un posto di rilievo tra le attività scolastiche, ed è spesso un tema di partenza anche per creare un patrimonio iniziale (e funzionale) in comune con gli studenti di provenienza straniera.
Il panorama della narrativa per la scuola secondaria superiore è invece più stagnante. I due grandi problemi per gli editori sono la scelta dei titoli per alimentare le collane e i costi da sostenere per far uscire un libro (con ricadute sul prezzo di copertina). Bisogna tener presente che, contrariamente a quanto avviene nelle collane di narrativa per la scuola media, in quelle per le superiori è impensabile proporre opere di autori non ancora affermati o addirittura del tutto sconosciuti nell’ambito della varia.
Ma anche gli autori di rilevanza riconosciuta non è detto che facciano automaticamente parte del «canone» scolastico dei «libri da leggere per intero». Ci sono infatti dei momenti in cui, per un concorso di fattori, la scuola superiore mette in atto un rinnovamento culturale, altri in cui è impermeabile alle sollecitazioni. Per rimanere nell’ambito dei libri di narrativa, negli anni settanta e ottanta alcuni scrittori del Novecento sono entrati, a quanto pare stabilmente, nel canone scolastico allora fermo a D’Annunzio e Pirandello. In realtà bisognerebbe parlare, più che di scrittori, di alcune loro opere, di solito una per ciascuno (considerazione che, del resto, vale anche per Pirandello con il suo Il fu Mattia Pascal)’. La coscienza di Zeno di Svevo, Gli indifferenti di Moravia, Il Gattopardo di Tornasi di Lampedusa, Ragazzi di vita di Pasolini, Se questo è un uomo di Primo Levi, La Storia di Elsa Morante. Anche un autore «difficile» come Fenoglio è stato accolto con Lina questione privata. Calvino fa eccezione per la sua presenza con almeno cinque opere. Per quanto riguarda gli stranieri forse l’unico libro del Novecento entrato davvero nel canone è Il castello di Kafka (ma un discorso più approfondito sugli stranieri sarebbe molto complesso).
In questo momento la scuola è poco disponibile ad aperture che non siano quelle effimere legate a mode e pressing pubblicitari. Da qui il problema: come alimentare le collane (o addirittura: perché) se si sa già che i nuovi titoli non avranno fortuna? Anche gli editori più coraggiosi, che in passato hanno «rischiato» ma in alcuni casi sono riusciti a introdurre novità di rilievo nella cultura scolastica, incominciano ad avere più di una perplessità. I margini economici per operazioni di valore culturale ma di scarsa redditività si stanno riducendo, e la pubblicazione di un libro di narrativa comporta oggi costi molto alti: ai diritti d’autore, infatti, bisogna aggiungere i compensi per la curatela e la parte didattica. Vi sono curatele scolastiche esemplari, con introduzioni illuminanti, scientificamente ineccepibili: un vero approfondimento rispetto alla trattazione manualistica, che tuttavia non costituisce un’attrattiva per gli studenti, ma neppure una ragione sufficiente, agli occhi dei docenti, per pretendere che il libro venga letto in quella edizione e non in una edizione economica che, alla fine, ha un prezzo di copertina inferiore e si trova in libreria in ogni mese dell’anno.