La prova dell’opera seconda

Ed è ancora Tre metri sopra il cielo. Dopo l’exploit degli esordi, gli opposti riscontri di vendita di Ho voglia di te e L’odore del tuo respiro confermano che non è male, di tanto in tanto, scrivere per i lettori. Sorretto dall’entusiasmo rinnovato della comunità dei «mocciosi», il rosa confetto dell’amore rassicurante e perbene trionfa sulla passione tormentata, autodistruttiva e autoreferenziale della seconda Melissa; se per il pubblico di Moccia è naturale ritrovarsi in quattrocento pagine montate con ritmo e dialoghi efficaci, l’onda lunga dello scandalo dei Cento colpi non basta a confermare il successo, e a rendere convincente una scrittura faticosa appesantita da troppe metafore.
 
Fare i conti con il libro d’esordio è un po’ la condizione d’esistenza di un’opera seconda. Fare i conti con il bestseller è l’imperativo che si impone all’indomani di ogni caso di successo editoriale. «Fare i conti» con Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire (2003) e Tre metri sopra il cielo (2004) – esordi diventati bestseller, anzi «primi libri-casi editoriali-oltre il milione di copie-con rinforzo filmico» – è quello che si trovano a fare autori, editori e pubblico delle opere seconde di Melissa P. e Federico Moccia.
 
L’odore del tuo respiro (2005) e Ho voglia di te (2006) escono a due anni di distanza dai precedenti: hanno una confezione editoriale più ricca (brossura cucita con alette) e un prezzo di copertina più elevato; a istituzionalizzare ulteriormente lo status acquisito, c’è il passaggio a una collana maggiore della medesima casa editrice («Le vele» Fazi, «I Canguri» Feltrinelli). Ho voglia di te vende 700.000 copie nel primo mese, e da quel febbraio 2006 continua a presidiare i primi posti della classifica di narrativa italiana (con incursioni nella top 10 generale), precedendo di poco Tre metri sopra il cielo, ormai acquisito come longseller e cult generazionale (con tanto di diario, calendario, trasposizione in musical). Al contrario, il secondo libro di Melissa P. – che pure supera le 200.000 copie – non riesce mai davvero a imporsi in classifica, né nel gradimento dei lettori. Per il più recente In nome dell’amore (2006), pamphlet di «difesa dell’amore terreno» in forma di lettera al cardinale Camillo Ruini, le cifre sono addirittura nell’ordine di uno zero in meno. In libreria come nella grande distribuzione, è decisamente più facile vedere riproposto lo scandaloso libro d’esordio, piuttosto che i titoli più recenti.
Insomma, mentre la comunità dei «mocciosi» ha continuato a riconoscersi nella nuova opera, il dialogo con l’ampio pubblico di lettori del primo romanzo, nel caso di Melissa, è andato in crisi. Il sospetto che nasce è che tale diversa risposta di mercato lasciando perdere, almeno in prima istanza, ogni giudizio di riuscita e valore letterario – si spieghi a partire dal fatto che anche e soprattutto i lettori (come gli autori e i dirigenti editoriali, ma con modalità proprie) «fanno i conti con il bestseller d’esordio» nel momento in cui si accostano a un’opera seconda.
Va detto che, se pure è certamente vero che i successi non si replicano a comando, in entrambi i casi non sono mancati i tentativi di far scattare la fidelizzazione attraverso strategie di comunicazione – più che legittime – volte a tenersi stretto il ragguardevole «patrimonio lettori reali» (gli acquirenti del primo libro), sfruttando l’onda lunga del successo precedente.
Feltrinelli mantiene, dal primo al secondo Moccia, lo stesso riconoscibile lettering di copertina e una certa cerulea dominante cromatica, collocando invece sulla fascetta gli strilli a carattere più promozionale: «Tre metri sopra il cielo / Un milione di copie / E la storia continua»; in più, inserisce sul secondo risvolto un blurb d’autore dello stesso Moccia: «Tornano Step e Babi, insieme a Paolo, Pallina, Daniela […] nomi che conosciamo bene. E che tornano ora, per mischiarsi con altri nuovi […]. Perché il gioco della vita non si ferma. […]». Scelta questa sì piuttosto originale, che però avvalora la peculiare condizione di «bestseller dal basso» di Tre metri sopra il cielo (il passaparola e le fotocopie vs le recensioni o il sostegno degli opinion makers) e si dimostra coerente con il basso profilo tenuto dall’autore, star di incontri e presentazioni librarie gremiti di giovani, ma fedele al proprio ruolo di «amico adulto», in contatto pressoché giornaliero con la comunità dei propri lettori attraverso un blog partecipatissimo, vivace e ad alto contenuto emotivo. Sono le sue parole, la sua empatia nei confronti dei ragazzi – che la comunità di riferimento ben conosce – a diventare così necessaria e sufficiente garanzia della qualità e piacevolezza del secondo libro.
Fazi, per L’odore del tuo respiro, oltre a riproporre una copertina su cui campeggia un ritratto fotografico dell’autrice, le dedica un (perturbante? furbo? falsoingenuo?) risvolto bipartito in cui vengono accostate la biografia di Melissa Panarello (nata nel 1985 a Catania) e quella di Melissa P. (nata nel 2003 a Roma): non è chiaro se si tratti di un tentativo di smarcarsi dalla sovrapposizione con la Melissa ninfetta dei Cento colpi, di uno scoperto elogio della «metà oscura» cui si accenna nell’altro risvolto, o di una celebrazione del potere mediatico che ha partorito, appunto nel 2003, il personaggio Melissa P. Di certo l’accostamento – anche un po’ scolastico – di autore reale e autore implicito non fa che confermare la tendenza dell’autrice a saturare di sé lo spazio (testuale ed extratestuale), e a giocare con il proprio alter ego fittizio, proprio come nel primo libro.
Sulla soglia tra paratesto e contenuto narrativo, il principio di serialità si fa più alluso che presupposto, a partire dagli incipit dei risvolti di copertina che avvalorano l’esistenza di un «prima» (libro 1) e di un «continua» (libro 2): Melissa infatti è in fuga dal passato («Un biglietto di sola andata»), Step ritorna per affrontarlo («Riuscirò mai a tornare lì, dove solo gli innamorati vivono, tre metri sopra il cielo?»). Entrambi sono cresciuti e si aprono a un nuovo capitolo della loro Bildung.
L’odore del tuo respiro inizia dove terminava Cento colpi di spazzola, prima di spostare lo scenario a Roma e concentrarsi sulla relazione sentimentale tra Melissa e Thomas, risolvendosi però nel racconto di un rapporto minato da una lei dal passato irrisolto, fragile e gelosa fino all’ossessione, maniacale nel sublimare ogni ricordo o incontro in descrizioni visionarie (al parossismo meccanicistico delle performance sessuali del primo libro si sono sostituite descrizioni più trasfigurate, oniriche anche degli amplessi).
Ho voglia di te, a detta dell’autore, nasce nel 1992 come effettivo seguito di Tre metri sopra il cielo, il percorso editoriale non si discosta più di tanto dal repechage d’occasione, in concomitanza con la trasposizione filmica, occorso al primo romanzo: siamo sì in presenza di un inedito, ma pur sempre tenuto in stand-by per quattordici anni, e pubblicato dopo l’exploit dell’esordio. Moccia aggiorna marchi, musica, spazi e sentimenti – i protagonisti sono giovani adulti, e passano dal contesto scolastico al mondo del lavoro, guarda caso per la televisione – ma si mantiene fedele allo schema della storia d’amore tormentata e fine a se stessa, con tanto di finale sospeso. Va detto che il dettato è più mosso, con l’inserimento di punti di vista plurimi e brani di diario, e in parallelo decisamente aumentato risulta lo spazio dedicato alle vicende secondarie, quasi spin off in potenza. Ma l’effetto complessivo, nonostante le indubbie capacità di montaggio e il piccolo giallo sotteso alla vicenda, ricorda soprattutto lo zapping televisivo, complice anche un sistema dei personaggi che sembra uscito da una sit com, o dal casting di un reality.
Insomma, anche Ho voglia di te costituisce un tentativo (riuscito) di innestare tempi e modi della modernità televisiva e di Internet sul genere storico codificato del romanzo rosa generazionale (vedi Tirature ’06): in questo si sono riconosciuti e a questo hanno tributato il loro favore entusiastico i lettori. Moccia si conferma autore capace di scrivere narrativa d’intrattenimento in grado di appassionare adolescenti e non per oltre quattrocento pagine – vera Liala del XXI secolo, soprattutto se paragonato a prodotti simili, come il ben più scipito Notte prima degli esami. Con revocazione, ancora una volta, di Liala, siamo alla resa dei «conti» con il bestseller d’esordio: è sul nucleo rosa «generazionalmente modificato» inaugurato da Tre metri sopra il cielo che i lettori hanno modellato la loro fruizione di Ho voglia di te. Questo non significa che il secondo romanzo sia il piatto proseguimento del primo, anche perché di per sé la storia potrebbe stare in piedi da sola; però non basta una protagonista bruna, l’inserimento – quantitativamente significativo, gran parte della vicenda è narrata in soggettiva – del punto di vista maschile di Step e una presenza più esplicita del sesso, per affrancarsi dal rassicurante e pedagogicamente corretto del rosa più tradizionale: le eroine muovono la trama e sono dinamiche e risolute, ma sempre belle e vergini (prima di incontrare Step), oppure sono ragazze facili o sfigate o insopportabili, comunque di contorno; la madre di Step – origine e causa di buona parte dei suoi traumi – muore, non prima di essersi riconciliata con il figlio e aver rivelato il proprio ruolo nell’incontro con il nuovo amore (la madre di Babi invece rimane pervicacemente uguale a se stessa, come nemmeno la matrigna di Cenerentola); in generale, le vicende collaterali si stemperano in un ritorno all’ordine problematico come un film di Muccino (la sorellina di Babi, sedicenne felicemente incinta di ignoto; i padri che reinventano il proprio ruolo maschile, o ci provano, con le rispettive nuove compagne; Babi sempre più mostro lombrosiano che progetta di invitare Step al proprio matrimonio…). Certo, a voler fare il tifo per il rosa più rosa, probabilmente Liala non ci avrebbe cambiato l’eroina in corso d’opera. Ma possiamo sempre sperare in un terzo capitolo in cui, come Lalla, «Babi ritorna». Le commedie romantiche, ma anche gli spot televisivi, i video musicali, le serie tv – che senz’altro condividono con le opere di Moccia ritmo e gusto per il dialogo – ce l’hanno insegnato: niente di meglio dell’andata all’altare per fare dietrofront.
Anche quelli di Melissa, in fondo, sono rosa generazionali: c’è una protagonista adolescente che cerca l’amore, scopre il sesso, si macera, incontra l’amore {Cento colpi di spazzola)-, si accorge che l’amore non era quello vero, trova un sentimento che pare più importante e stabile, crede di fare pace con se stessa e con la sua parte femminile, viene assalita da nuovi dubbi e fantasmi, si consuma di gelosia fino all’annientamento, ma forse alla fine viene nuovamente salvata dall’amore (L’odore del suo respiro).
Abbastanza sovrapponibile, nei due casi, è il pubblico d’elezione: una adolescenza «allargata» fino a includere i coetanei degli autori (in effetti nel range ci stanno dai ragazzini più piccoli di Melissa ai loro genitori, che sono più o meno coetanei di Moccia); è il pubblico che si racconta sul blog di Tre metri sopra il cielo, lo stesso per cui Melissa dice «noi» in In nome dell’amore. ragazzi e ragazze alle prese con la fatica di crescere e il sogno di come sarà quando si sarà diventati grandi, insieme a giovani adulti che grandi lo sono diventati ma continuano a confrontarsi con la solitudine, l’amore, le incomprensioni con le persone vicine. La differenza è che mentre Moccia non ha vergogna di porsi come dignitoso prodotto di intrattenimento, raccontare di scritte sui muri e lucchetti a Ponte Milvio, vivere come libro del cuore e negli sms, essere presentato come «un universo che da una parte guarda alle commedie romantiche adolescenziali e dall’altro al ritratto di giovinezze allo sbando così come le racconterebbe un Paolo Crepet» (dal sito Feltrinelli), ingenerando un modello di ricezione coerente, Melissa fa i conti con il travisamento originario del suo «rosa travestito da porno» Cento colpi di spazzola-, il primo romanzo, in fondo, è un ibrido piuttosto debole di questi due generi forti. E la maggior parte del milione e passa di acquirenti sembra aver letto e goduto il travestimento, complice anche la campagna stampa e promozionale (non si può proprio dire che quello di Fazi sia un «bestseller dal basso» puro, anche se certo la critica non si è sperticata in lodi). In effetti, volendo provare a individuare il profilo di questi lettori reali si potrebbe ipotizzare un insieme frastagliato, certo non così compatto come le falangi dei «mocciosi»: apprezzatori della sedicenne ninfetta di Catania e delle sue scorribande, curiosi dell’identità dell’autrice-ragazzina il cui viso viene disvelato durante una puntata del Costanzo Show, adolescenti divisi/e tra slanci pulsionali e ripiegamenti masochistici, affezionati alla sigla editoriale che si domandano quanto potrà essere porno un romanzo targato Fazi, insegnanti bibliotecari e genitori ansiosi di confrontarsi con cosa leggono i propri ragazzi… il tutto amplificato da un passaparola anche efficace ma centrifugo, un po’ confuso e non proprio, o non sempre, basato sull’implicita qualità del romanzo.
A complicare ulteriormente la situazione, il patto narrativo dei Cento colpi ha funzionato quasi per nulla, e poco meno della totalità dei lettori si è soprattutto domandato quanto ci fosse di vero e quanto di fiction nella vicenda raccontata, e fino a che punto la protagonista fosse proprio la sedicenne catanese Melissa Panarello. Come risultato, «Melissa P.» è diventata non un’autrice di narrativa, più o meno dotata di talento, ma una specie di trade mark del sesso adolescenziale (nella sua variante più sofferta): persino il film tratto dal libro è uscito con questo label assurto al rango di titolo (Melissa P, 2005; sottotitolo, parimenti inquietante ma ineccepibile nell’ottica promozionale: «scopri che cosa è vero») e in fondo anche In nome dell’amore si legittima (ma non si vende) a partire dal fatto che chi scrive non è una ventenne come tante, che discute con le amiche di contraccezione, aborto e pacs (ma non può pubblicare i suoi pensieri in un cartonato). Sembrerà un paradosso, ma forse Melissa deve ancora riuscire a «emanciparsi» dai Cento colpi. Del resto, è vero che nel libro di esordio di Panarello ci sono ingenuità, solitudine, struggimento sul sé – tutti caratteri del romanzo adolescenziale -, ma manca la freschezza, anche di stile, che era per esempio di Enrico Brizzi (e non solo perché in Jack Frusciante è uscito dal gruppo non c’era sesso): dentro e fuori la sommatoria di descrizioni hard, la scrittura è faticosa e, nonostante il soggetto, noiosa. In L’odore del tuo respiro questa fragilità di fondo (fruizione distorta/scrittura debole) ha il sopravvento, con conseguente emorragia di lettori. Non c’è più scandalo annunciato e non c’è nemmeno l’alibi del «questo è il suo primo libro». L’orizzonte d’attesa del porno viene quasi del tutto deluso, ma soprattutto non emerge un altro genere forte a sorreggere i rovelli solipsistici (al diario si è sostituito un io monologante o soliloquiante, rivolto al compagno o alla madre) appesantiti dalle continue metafore e in cui manca del tutto una qualsiasi forma di ironia o autoironia.
Decisamente più riusciti sono gli squarci di tranche de vie familiare, come quello dedicato al gruppo di parenti in spiaggia («La spiaggia di Roccalumera era sovrastata da un enorme segnale con su scritto “DIVIETO DI BALNEAZIONE”, eppure era la spiaggia più affollata di tutta la Sicilia orientale») con il ritratto della nonna soprannominata «il capo». Torneranno a punteggiare anche In nome dell’amore, con una spassosa descrizione dei matrimoni dei cugini (foto della sposa «da signorina» e urlo «Bacio! Bacio!» compresi) . Ma questa, non è la Melissa P. che ha venduto un milione e mezzo di copie.