Alla ricerca del fumetto perduto

Non esistono più i fumetti di una volta. La concorrenza dei prodotti globalizzati si è abbattuta sulle pubblicazioni più tradizionali esposte nei chioschi nazionali – da «Topolino» agli eroi bonelliani –, costrette a confrontarsi (e conformarsi) con albi in formato Usa, moduli e stilemi del manga nipponico, fino all’esplosione del fenomeno «graphic novel». A complicare la crisi di identità del fumetto seriale classico, si afferma una letteratura disegnata sempre più frastagliata sui canali di vendita, tra allegati a quotidiani, emancipazione dalle fumetterie, discesa in campo degli editori di varia.
 
Osservando le edicole, da qualche tempo, si percepiscono i sintomi di un apparente riemergere del fumetto. Stranamente, lo sguardo non deve essere rivolto all’area dei chioschi dove di solito sono gli albi seriali dedicati a topi, paperi, eroi in costume e fanciulle discinte, ma agli espositori che raccolgono gli allegati ai quotidiani e le riviste di informazione.
Infatti, anche una rapida occhiata al sistema della produzione e della fruizione che governa il fumetto indica chiaramente che la serialità illimitata, capace di rendere immortali (almeno per qualche decennio) le carni cartacee di un eroe, non è più il fenomeno di maggior rilievo. Il fumetto come lo conoscevamo – con le sue forme, i suoi formati e i suoi canali di vendita – continua a esistere, ma gli indicatori che siamo usi adottare quali rilevatori del suo stato di salute (tirature, distribuito, venduto…) si sono ridotti di ordini di grandezza. Quasi tutti i formati esposti nei chioschi italiani si sono adattati a influenze esterne, che nella maggior parte dei casi li hanno snaturati, nella speranza di ritardare la resa a un’emorragia che sembra non avere fine.
 
Un oscuro scrutare
La pubblicazione che, più di tutte, pare resistere immarcescibile al suo posto è «Topolino» della Walt Disney Company Italia. Essa vende mediamente, tra edicole e abbonamenti, 25Ornila copie. Ma, a ben guardare, anche la sua presenza in edicola non è così inossidabile e indifferente al mutare della situazione di mercato: analizzando i report Ads pubblicati da www.primaonline.it, contenenti dati autocertificati dagli editori, si osserva che in poco più di un decennio la testata ha perso circa 23 Ornila copie di venduto settimanale (oltre 60mila delle quali negli ultimi 24 mesi). L’esodo di acquirenti ha indotto la casa editrice ad aprire il proprio parco testate a una serie di influenze esterne. Dopo aver ammesso il formato albo spillato, tipico del fumetto di supereroi statunitense (con «PK new adventures» dal 1996), a partire dal 2001 Disney Italia ha cominciato a pubblicare prima prodotti non storicamente legati al marchio di Topolino e Paperino (il più noto è «Witch»), poi titoli non appartenenti alla multinazionale (per esempio «Monster Allergy», dal 2003, che è un prodotto di Red Whale) e non seriali (la collana «Buena Vista Lab», presente in edicola con sei volumi dal 2005 al 2006 e dedicata a opere autoconclusive realizzate da autori anche molto lontani dai modelli disneyani). Le influenze più evidenti su questi prodotti sono il formato del fumetto nordamericano, i moduli e gli stilemi – grafici, narrativi e di serialità – provenienti dal manga nipponico e la struttura del graphic novel, il romanzo grafico che dalla seconda metà degli anni ottanta ha conquistato uno spazio preciso – e commercialmente interessante – nelle librerie e nella stampa non specialistica prima statunitensi, poi francesi e, oggi, anche italiane.
Il formato che ancora oggi prevale nelle edicole patrie è il «bonelliano», albo di circa cento pagine di carta pesante e porosa in bianco e nero che deve il proprio nome a Gianluigi e Sergio Bonelli, gli autori ed editori che si sono maggiormente spesi per la sua diffusione. La testata che, ancora oggi, domina il segmento, è «Tex» di cui si dice venda circa 200mila copie al mese (non esiste un dato certificato dalla Sergio Bonelli Editore).
Nel tempo, le case editrici appartenenti alla famiglia Bonelli hanno a più riprese tentato una diversificazione dei prodotti presenti in edicola seguendo due direttive principali di evoluzione. Da un lato, hanno costantemente declinato l’avventura, quasi sempre di impianto western, su modelli del racconto differenti: nel 1961 con la presenza massiccia di fantascienza e horror in «Zagor»; nel 1967 con la ricostruzione storica di «Storia del West»; nel 1975 con l’antieroismo ostentato da «Mister No»; nel 1977 con l’attenzione sociale presente in «Ken Parker»; nel 1982 con l’indagine fantastica di «Martin Mystère»; nel 1984 con la soap opera di «Bella e Bronco». Dall’altro hanno tentato strade inusuali e di rottura rispetto a una lunga tradizione editoriale: negli anni cinquanta con il formato «bonelliano» che si sostituiva agli albi a striscia; negli anni settanta con il grande formato e la cura grafica della serie «I protagonisti» e con la collana da libreria «Un uomo un’avventura», dedicata ai maestri del fumetto italiano; negli anni ottanta con l’etichetta Bonelli/Dargaud, con l’acquisizione delle riviste «Pilot» e «Orient Express» e con il contenitore di trend e narrazioni «Tic».
Dopo il successo di «Dylan Dog» (1986) e di «Nathan Never» (1991), la casa editrice milanese ha iniziato a lanciare con sistematicità nuove collane dedicandosi ai generi più disparati e dando ad altri editori l’illusione che il segmento di prodotto non fosse ancora saturo. Da quel momento sono apparse in edicola diverse collane, spesso effimere.
Recentemente, Bonelli è stato costretto a chiudere alcune testate (tra queste anche la storica «Mister No») o a diradarne la periodicità (è il caso di «Martin Mystère»), per la difficoltà di mantenerle in attivo. Interessante è osservare che altri editori sono riusciti a ottenere una presenza stabile e duratura in edicola con albi di formato «bonelliano» (è il caso di «Lazarus Ledd» della Star Comics, uscito dal 1992 al 2006, e di «John Doe» dell’Eura, dal 2002). E altrettanto interessante osservare che alcune delle testate chiuse da Bonelli sono state riprese da altri editori in albi che ristampano gli episodi (l’etichetta più attiva in tal senso è Edizioni IF) o proseguono le saghe (esemplare il caso di «Johnatan Steele», passato da Bonelli a Star Comics, in virtù di un punto di pareggio reso più basso dai minori compensi agli autori).
In questo contesto mutato, Bonelli cerca di mantenere la propria presenza sul mercato con tre piccole innovazioni: miniserie che ospitano, per un numero predefinito di albi, le avventure di un eroe (come «Gea», «Brad Barron» o l’annunciato «Volto Nascosto»); albi a colori sempre più frequenti (tradizionalmente a colori erano le uscite numerate con un multiplo di cento, oggi si festeggiano anniversari e occasioni particolari e la recente «Dylan Dog Color Fest» è una testata annuale specificamente dedicata alle storie a colori); proposta di storie lunghe e autoconclusive (la collana «Romanzi a fumetti», esordita con Dragonero nel 2007).
Altro formato massicciamente presente in edicola è quello dell’albo spillato a colori, tipicamente associabile al fumetto seriale statunitense. Due sono le ditte maggiormente presenti: Panini/Marvel Italia con il parco testate dei supereroi Marvel (Uomo Ragno, Fantastici Quattro, X-Men, Hulk, Devii…), e Planeta/De Agostini con i supereroi De (Superman, Batman, Flash, Lanterna Verde…). Notevole che la diffusione e l’interesse per il fumetto giapponese negli Usa abbia portato a una generazione di autori influenzati – nel segno, nel montaggio e nella gestione dei ritmi narrativi – dal manga.
Inoltre, con un formato molto simile a quello degli albi dei supereroi, ma solo raramente accostate a essi nell’esposizione dagli edicolanti, sono apparse, come abbiamo visto, alcune nuove pubblicazioni Disney evidentemente influenzate tanto dai comic books quanto dai manga. A esse si sono rapidamente affiancati, emuli (anche in questo caso con fortune discontinue), prodotti da altre etichette. L’esempio più evidente è «Winx club», progetto multicanale della Rainbow di Iginio Straffi, apparso poco dopo «Witch» e a quest’ultima così simile da aver suscitato il sospetto di plagio. Il progetto «Winx», con i suoi cartoni animati, i suoi fumetti (editi da Tridimensional) e le sue bambole (che nel corso del 2006 hanno superato in Italia, per volume di vendita, Barbie della Mattel, prodotto leader fino a quel momento), è divenuto in breve la testa di ponte della Rainbow, che, grazie a esso, si prefigge la quotazione in borsa in tempi brevi, ripromettendosi di diventare la «Disney europea».
Anche il numero delle riviste antologiche si è assottigliato sensibilmente. Nello spazio, un tempo assai popoloso, dedicato alle pubblicazioni di fumetto autoriale sono rimaste solo «Linus», con la quale, nel 1965, Giovanni Gandini aveva inventato un nuovo modo di guardare al medium, e «Blue», bimestrale dedicato al fumetto erotico.
A ricordarci che un tempo esistevano numerosi albi antologici più scopertamente popolari, solo «Skorpio» e «Lanciostory» sopravvivono senza rivali e senza i picchi narrativi dei primi decenni di vita, legati all’enorme bacino del fumetto argentino.
I tascabili, che dagli anni sessanta erano stati il contenitore preferenziale per narrazioni prima nere e poi erotiche, sono praticamente scomparsi, lasciando «Diabolik», il primogenito, a presidiare lo spazio. Vengono però serializzati in formato analogo i manga. Diverse case editrici (le principali sono Star Comics e Panini) si contendono il segmento che sembra oggi quello capace di maggiori guizzi. Infatti, guardando periodicamente le edicole, si osserva come, ogni mese, appaiano e scompaiano diverse testate. E questo avviene solo in parte per le fisiologiche chiusure di serie in perdita: a garantire il continuo mutare è, soprattutto, la formula del manga che vede sempre una forte relazione tra l’opera e l’autore (anche quando si circonda di assistenti) e che, pur permettendo l’esistenza di saghe lunghe (la popolare «Dragon Ball» di Akira Toriyama si compone di 42 volumi, diluiti in 62 uscite nella prima edizione italiana), prevede che tutte le serie, prima o poi, giungano al capolinea.
 
Il fumetto nel quotidiano
La più evidente delle trasformazioni che hanno colpito il modello di commercializzazione del fumetto si è sviluppata in allegato ai quotidiani. Sebbene il numero di copie vendute si stia riducendo progressivamente per tutti gli editori, la strenua battaglia su supplementi e allegati condotta dai periodici di informazione ha infatti coinvolto anche il fumetto.
Dopo aver offerto collane di libri, dischi e film, dal 2003 «la Repubblica» ha iniziato ad allegare al quotidiano (con supplemento di spesa contenuto) i volumi della collana «I classici del fumetto». Il buon esito dell’iniziativa ha indotto il quotidiano e i suoi concorrenti più o meno diretti a guardare con attenzione al fumetto e, in pochi anni, le collane dedicate a personaggi, autori, generi e tendenze si sono intensificate e di versificate. In mezzo a cicli di volumi sugli eroi Bonelli, Diabolik, Alan Ford, i personaggi Disney e i più diversi supereroi, è stato possibile assistere ad apparenti paradossi quali l’abbinamento delle opere pornoerotiche di Milo Manara alle pagine salmonate del serissimo «Sole 24 ORE», o la stretta successione tra una collana molto raffinata dedicata da «L’Espresso» ai graphic novel e, allegata al medesimo settimanale, una ristampa a colori in 50 volumi delle storie del primo «Tex».
E mentre il fumetto in edicola perde copie nonostante sia allegato ai quotidiani, sembra che autori ed editori stiano cercando metodi quasi ingegneristici per cambiare il sistema dall’interno.
Ma il fumetto è già cambiato, ed è impossibile ormai non essersene accorti.
 
Trasformazioni
Come ben evidenziava la mostra «Fumetto International», tenuta alla Triennale di Milano nell’estate del 2006, due sono state le tendenze che, con maggiore evidenza, hanno caratterizzato l’evolvere del fumetto negli ultimi anni. La prima è stata l’ondata asiatica che, approfittando dei modelli narrativi e visuali acquisiti da generazioni di teleutenti sedotti dalla sterminata produzione nipponica di cartoni animati, si è manifestata con un’enorme massa di manga nei chioschi e nelle librerie e con le pagine di fumetti non giapponesi realizzati da autori che su quei segni e quei modelli hanno formato sguardo e sensibilità narrativa. La seconda tendenza è stato il graphic novel, il libro a fumetti solitamente dedicato a un’unica storia lunga, che, con il suo nome nobile che fonde grafica e letteratura, conquista sempre maggiore spazio nelle librerie tanto statunitensi quanto italiane.
Il terreno fertile su cui queste due direttive di sviluppo sono riuscite ad affondare le radici è costituito dalla rete delle fumetterie, negozi specializzati che, dall’inizio degli anni novanta, hanno aperto capillarmente lungo tutta la penisola. Le fumetterie hanno reso possibile la nascita di diverse etichette editoriali dedite al fumetto che hanno potuto approfittare di una specifica distribuzione, capace di garantire visibilità a prodotti diversi e non necessariamente mainstream.
Le più sensibili e attente tra queste case editrici hanno tentato di portare il fumetto nelle librerie di varia. Così è stato per l’effimera Rasputin ! di Milano, nata nel 1998 con quel preciso obiettivo e sommersa dai debiti dopo appena sei libri, e per le bolognesi Kappa Edizioni (nelle fumetterie dal 1998) e Coconino Press (dal 2000), ancora in attività. Quest’ultima in particolare, facendo leva su un catalogo costruito su alcuni dei più importanti autori di «romanzi a fumetti», è riuscita a indurre i librai a dedicarle sempre più spazio.
L’apertura del varco nelle librerie italiane è stata pungolata dal crescente battage del graphic novel negli Usa, dove lo spazio dedicato a quel segmento merceologico è estremamente interessante e proficuo e dove le pubblicazioni più attente alle tendenze letterarie (tra queste la rivista letteraria di tendenza «McSweeney’s Quarterly Concern», il trade magazine «Publishers Weekly» e il supplemento del «New York Times») dedicano sempre maggiore spazio alle singole opere e al fenomeno.
Notevole il numero di editori che, in Italia, si stanno innestando nel segmento, dedicando al graphic novel collane specifiche. Si tratta sia di etichette specializzate in fumetti, magari con una precedente vita limitata agli espositori delle fumetterie (come Black Velvet, Edizioni BD, Lizard, Hazard…) sia di editori con un catalogo letterario e saggistico molto variegato (come Mondadori, Rizzoli, Einaudi, Baldini Castoldi Dalai, Sperling & Kupfer e, in seguito, Guanda e Minimum Fax).
 
Derive e tangenti
Nel fumetto, così come in qualsiasi altro mezzo espressivo, gran parte delle evoluzioni di rilievo è sempre avvenuta al di fuori dei formati dominanti (o lateralmente a essi). In un momento in cui il graphic novel -formato che ha reso possibile fumetti come Maus di Art Spiegelman, Palestina di Joe Sacco, L’autoroute du soleil di Baru e S di Gipi – è divenuto l’unico fenomeno cui la grancassa mediatica pare disposta a riservare attenzione, appare evidente che abbia assunto la conformazione del formato dominante. Il romanzo a fumetti, il libro con dentro un’unica storia lunga, si è ormai tradotto in un vincolo che costringe molti autori che non hanno quella misura nelle proprie corde o che non hanno abbastanza materiale (narrativo, iconico, emotivo), a dilungarsi per pagine e pagine ripetendo e diluendo se stessi, inseguendo un racconto inconsistente o inesistente.
E ipotizzabile, allora, che i prossimi fumetti importanti dovranno essere cercati anche altrove. Mantenendo un’attenzione costante ai formati tipici delle edicole e delle librerie, si dovrà guardare con sempre maggiore insistenza alle autoproduzioni, ai microeditori, ai blog e ai progetti di distribuzione di fumetto via Internet.