Il grande oceano della verità

Con oltre 300mila copie vendute le Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli sono forse il successo più clamoroso del 2014. Esperimento nato due anni prima sulle pagine estive del «Domenicale» del «Sole 24 Ore», le lezioni sono la dimostrazione che è possibile raccontare i concetti fondamentali della fisica del Novecento come un romanzo; con grande apprezzamento di critica e lettori, non solo in Italia. Merito di una penna, quella di Rovelli, capace di scivolare agilmente e con chiarezza tra filosofia, meccanica quantistica ed emozioni umane.
 
Salvo catastrofe, d’estate politici e procuratori sono in vacanza, per i quotidiani è la silly season, dicono gli inglesi. Peggio ancora per i supplementi culturali privi di novità librarie fino alla rentrée.
Armando Massarenti, responsabile del «Domenicale» al «Sole 24 Ore», a volte si sente rimproverare di dare troppo spazio alla scienza, a scapito della letteratura. Nella silly season del 2012 ha fatto un esperimento per verificare l’ipotesi contraria: i concetti fondamentali della fisica del Novecento si possono leggere come un romanzo. Serviva un narratore.
Carlo Rovelli aveva già pubblicato Che cos’è il tempo? Che cos’è lo spazio?, un libretto allegro sul tema della propria ricerca, la teoria della gravità a loop nella quale il tempo e lo spazio sono proprietà delle particelle di materia che interagiscono tra loro. Che non ci sia né tempo né spazio senza materia può sembrare un’ovvietà, il che non deporrebbe a favore della teoria, ma la scienza smentisce le ovvietà da quando è nata. Per fortuna, è molto difficile da conciliare in maniera matematicamente coerente con i modelli attuali della materia e di com’è distribuita nell’universo, quindi ai fisici pare una bella impresa.
Era la persona giusta anche perché nel 2011 era uscito Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro (Mondadori Università), un saggio di filosofia, o di storia delle idee, destinato a chi ha fatto studi umanistici e non si è accorto di essersi perso l’eredità più duratura della cultura nata nel Mediterraneo. Il lettore medio del «Domenicale», insomma.
Rovelli era disponibile per l’esperimento purché non l’impegnasse oltre le vacanze. Avrebbe provato a raccontare a un pubblico ancora più vasto, senza note né lunghe citazioni, la relatività generale di Einstein; la «sconcertante» meccanica quantistica; l’architettura «elastica» dell’universo; il modello standard delle particelle – ma non della materia e dell’energia oscure, il 95% dell’universo insomma – che «non sarà elegantissimo, ma funziona benissimo»; la gravità quantistica a loop, «però esistono idee diverse»; i buchi neri che sono «stele di Rosetta» in attesa di essere decifrata «per dirci cosa sia davvero lo scorrere del tempo», in breve, «alcuni degli aspetti più rilevanti e affascinanti della grande rivoluzione che è avvenuta nella fisica del XX secolo».
La prima lezione, in cui l’autore da giovane si entusiasma per la teoria di Einstein mentre sta in spiaggia davanti al mare, come sta – secondo ogni probabilità – la maggioranza di quelli che la leggeranno, è la prima conferma dell’ipotesi di Massarenti. Piace in redazione e sotto gli ombrelloni, arrivano commenti entusiasti. La settima, sul posto della specie umana nell’universo e sulla coscienza che se lo rappresenta, cita i versi di Lucrezio, «siamo tutti nati dal seme celeste», e si conclude su una spiaggia metaforica: «Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l’oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato».
Ancora, bis, chiedono i lettori del «Sole», forse senza cogliere l’omaggio a Newton che si sentiva «come un ragazzo a giocare sulla spiaggia, mentre davanti a me il grande oceano della verità era tutto da scoprire». Rovelli però ha altro da fare. Nel tempo libero dall’insegnamento e dalla ricerca «felice e frustrante», scrive per Raffaello Cortina La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose. Esce all’inizio del 2014, le vendite sono ottime, i premi parecchi. Porse per la vicinanza temporale, e i probabili 80-100mila acquirenti in più del «Sole» ogni domenica, la prima tiratura delle Sette brevi lezioni è quella normale per la Piccola Biblioteca Adelphi: 3.000 copie. Il testo è un po’ diverso da quello del 2012. Nel marzo scorso, Rovelli diceva al quotidiano britannico «The Guardian» che aveva continuato a correggere e ad accorciare per togliere le parti noiose. Non gli aggettivi che usa per dire la meraviglia, il piacere, lo stupore, il desiderio, la gamma di emozioni che si prova davanti a un paesaggio o un’idea. Senza nascondere le difficoltà. L’unica formula del libro occupa mezza riga:
 
Rab-½Rgab=Tab
 
Tutto qui. Certo, ci vuole un lungo percorso di apprendistato per digerire la matematica di Riemann e impadronirsi della tecnica che consente di leggerla e capirla. Come per arrivare a sentire la rarefatta bellezza di uno degli ultimi quartetti di Beethoven, d’altronde. In un caso e nell’altro, il premio è la bellezza, e occorrono occhi nuovi per vedere il mondo.
Le recensioni sono poche e tardive, d’altronde è una ripubblicazione, e quando arrivano il successo ha già colto tutti di sorpresa. Da mesi gente di ogni età si stipa alle presentazioni, vengono vendute 140mila copie in sei mesi. Ma perché? Adelphi è senz’altro una garanzia di qualità, ha pubblicato saggi insieme scientifici e autobiografici che vanno giù come romanzi. Quelli di Oliver Sacks che si rifanno a una tradizione del primo Novecento, e nella collana «Casi», scrittori più innovativi che mischiano inchiesta, cronache di viaggi, storia della ricerca, denuncia e Bildungsroman come Rebecca Skloot in La vita immortale di Henrietta Lacks o David Quammen in Spillover.
Ma un innamoramento simile non si era mai visto. Doveva pur sfumare e le vendite scendere verso la coda della curva gaussiana. Invece dopo dieci mesi Sette brevi lezioni resta primo nella classifica della saggistica, arriva a 300mila copie, più l’e-book e il pdf piratato. A fine ottobre 2015, i librai dicono «si vende ancora bene» e lo tengono vicino alla cassa. Nella «Piccola Biblioteca Adelphi», finora il bestseller della fisica era Sei pezzi facili di Richard Feynman, premio Nobel e una celebrità, che ha venduto 60mila copie in quindici anni.
A differenza di Feynman, non solo Rovelli ha ottimi rapporti con filosofi dell’Antichità ma anche con attuali filosofi della scienza che discutono della sua teoria «relazionale». Abolisce la distinzione tra sistema osservabile e il suo osservatore – che stando alla fisica quantistica, nel fare misure ne modifica lo stato. Sotto forma di informazione sul proprio stato, sostiene invece Rovelli, un sistema conserva tracce delle sue interazioni con altri, e può quindi essere considerato un «osservatore». «La velocità con la quale muovo la mano», scrive per esempio, «è in relazione allo stato di moto, o meno, della lampada sulla mia scrivania, quindi anche la lampada è un osservatore.» E tra parentesi, ricorda che la velocità di un oggetto è relativa allo stato di moto di un altro nella fisica della relatività ristretta come in quella di Galileo, che aveva fatto l’esempio della nave, reso indimenticabile da Marco Paolini in ITIS Galileo, altro successo inatteso.
Anche «informazione» è una parola definita da una teoria, quella di Shannon in questo caso. Negli articoli scientifici di Rovelli, il linguaggio è altrettanto «relazionale» del moto. Succede la stessa cosa alla fine delle Brevi lezioni: «L’immagine scientifica del mondo, che ho raccontato in queste pagine, […] non è in contraddizione con il nostro pensare in termini morali, psicologici, con le nostre emozioni e il nostro sentire. Il mondo è complesso, noi lo catturiamo con linguaggi diversi, appropriati per i diversi processi che lo compongono. I linguaggi diversi si intersecano, si intrecciano e si arricchiscono l’un l’altro, come i processi stessi. […] Lo studio della fisica teorica si nutre della passione e delle emozioni che portano la nostra vita».
Un filosofo come Bas van Fraassen, dell’università di Princeton, trova «il mondo di Rovelli affascinante». I lettori pure. Quel libro è «delizioso», dicono spesso le recensioni della traduzione uscita da Alien Lane nel settembre 2015, anche se qualcuno non ne apprezza la poesia ad «arabeschi», più barocca in inglese che nell’originale. Con lo stesso stupore di Rovelli e del suo editore, segnalano quasi sempre che in Italia il libro di «uno dei maggiori teorici contemporanei» ha venduto più di Cinquanta sfumature di grigio. Se ci riesce anche il saggio più cupo di John Heilbron, Physics: A Short History from Quintessence to Quarks (Oxford University Press), conclude il filosofo Robert Crease sulla rivista «Nature», «c’è ancora speranza per l’umanità».
Sembra disposta a farsi redimere. Un giornalista economico di solito smaliziato ha fatto la fila alla fine di una presentazione per dire a Rovelli, «prof, sono un suo fan». Nel raccontarlo ha aggiunto sbalordito «non l’avevo mai detto a nessuno». Il più sbalordito è l’autore: «una cosa così è al di là di ogni previsione». Lo colpisce «l’entusiasmo sincero della gente. Mi commuove, mi tocca da vicino, mi fa felice. E che mi chiedono sempre se Dio esiste. Anche quando io parlo di tutt’altro. E curioso che lo chiedano proprio a me. Anche perché sanno già cosa risponderò.»
Vogliono sentirglielo dire una volta. E magari leggeranno ancora una volta una lezione, così come si riascolta uno degli ultimi quartetti di Beethoven. Con i ricordi e il desiderio di ritrovarli cambiati nel frattempo insieme a noi e il mondo, ma non troppo.