Non si traducono così anche i poeti

Quello di una traduzione totalmente automatica resta un sogno, non solo nel contesto della produzione letteraria. Intanto, però, si fanno strada sistemi sempre più efficaci per la traduzione assistita, basati sulla collaborazione persona-macchina. E il mestiere del traduttore è destinato a cambiare.
 
L’inadeguatezza di Google Translate ha prodotto un nuovo genere di letteratura umoristica: le traduzioni di Google Translate. Si consideri il seguente, sgangherato testo, privo tanto di coerenza semantica quanto di coesione grammaticale: «Striking him in solio / saw my genius and was silent». È quanto il traduttore di Google restituisce, se forniamo in input la nota coppia di settenari manzoniani «Lui folgorante in solio / Vide il mio genio e tacque». Sono due, in particolare, gli elementi che sembrano mettere il software in difficoltà: uno di tipo lessicale (il sostantivo solio, arcaico per «soglio»), l’altro di tipo sintattico (la figura dell’anastrofe, che porta il soggetto logico della frase in fondo ad essa, con sovvertimento del suo percorso lineare). Quanto a quello «striking», è il massimo che Google riesce a trovare, per rendere il folgorante dell’originale.
Soffermiamoci sul problema sintattico. Sappiamo che l’anastrofe manzoniana inganna anche generazioni di studenti, persuasi che qui si alluda misteriosamente a Napoleone intento a osservare il genio del Poeta. E importante sottolineare che in italiano l’anastrofe non è solo figura del discorso, ossia questione meramente stilistica, ma anche figura grammaticale. Essa dunque non appartiene solo alla riserva di artifici retorici dell’ambito letterario, ma si ritrova sovente anche nel parlato, magari accompagnata dalla presenza di un pronome clitico. Non a caso Google Translate equivoca anche a fronte della prosaicissima frase «questo me lo mangio io». Pure in questo caso il soggetto è posposto al complemento e al predicato, cosa che l’orizzonte di attese del software non contempla o comunque non riesce a gestire in modo adeguato.
Abbiamo provato lo stesso esercizio con altri traduttori automatici: Reverso, SDL e Bing Translator. In tutti i casi «genio» è inteso erroneamente come complemento oggetto della frase. L’aggettivo folgorante, poi, è reso di volta in volta con «lightening» (Reverso), «dazzling» (SDL) e «brilliant» (Bing), laddove la soluzione più appropriata sarebbe forse tradurre l’immagine con una perifrasi: «in flashing splendor».
Analoghi risultati si ottengono dando in pasto a Google Translate i seguenti versi: «la nebbia a gl’irti colli / piovigginando sale, / e sotto il maestrale / urla e biancheggia il mar». Qui, oltre a un ulteriore caso di anastrofe non compresa, concorre a rendere la chiusa indecifrabile per Google il troncamento per esigenze metriche («mar» al posto di «mare»). Al punto che la parola viene intesa come abbreviazione di martedì e tradotta con «Tue». C’è poi – imperdonabile – quel «sale» che, da voce del verbo salire, diventa sostantivo: sapevamo che in circostanze eccezionali dal cielo può piovere manna, ma ignoravamo che nel mondo fantastico del Carducci piovigginasse sale. Potenza della poesia!
Si obietterà che l’ambito della scrittura poetica è quello in cui, meno di ogni altro, un traduttore automatico possa mostrarsi all’altezza della sfida. Essendo stato programmato per altro scopo, Google Translate non è in grado di decifrare il lavoro sotterraneo del significante. Ma è proprio tale lavoro che, travalicando i limiti grammaticali del linguaggio, produce quel surplus di senso che ci attendiamo dalla poesia e che ricerchiamo in essa. Peraltro abbiamo visto che la difficoltà nella gestione dei meccanismi anastrofici si manifesta anche quando Google deve tradurre testi derivati dal parlato e scevri da qualsiasi connotazione letteraria.
Google Translate è un sistema di traduzione automatica di tipo statistico. Esso si basa sull’analisi di corpora testuali molto ampi, costituiti da miliardi di documenti già tradotti, i quali vengono scandagliati alla ricerca di ricorrenze statistiche (pattern). Tali modelli sono quindi applicati al nuovo testo da tradurre. In altri termini la traduzione non è basata su regole grammaticali predefinite ma sull’esperienza. Il linguaggio è percepito come un corpus dinamico che cambia in base all’uso.
Si tratta senz’altro di un notevole passo avanti rispetto ai sistemi di traduzione automatica realizzati fino alla fine degli anni ottanta, come Systran. Eppure le ragioni per cui una traduzione di alta qualità totalmente automatica non è ancora ottenibile restano le stesse evidenziate da Yehoshua Bar-Hillel in uno storico saggio di oltre mezzo secolo fa (The Present Status of Automatic Translation of Languages). Esse hanno a che fare con la rilevanza del contesto per la comprensione dei nostri atti linguistici e della difficoltà, per una macchina, di interpretare tale contesto. Nel caso dei testi poetici le difficoltà sono massime.
I termini di coerenza semantica e coesione grammaticale di un testo poetico non sono immediatamente percepibili da tutti i lettori che vi si avvicinano. Coerenza e coesione dell’enunciato dipendono dal contesto letterario in cui la scrittura è nata e dalla posizione assunta dall’autore rispetto a esso in parte per conformarvisi, in parte per criticarlo. Decifrare il codice segreto del linguaggio poetico è arduo sia quando esso porta programmaticamente al limite il confronto con il contesto letterario (pensiamo all’avanguardia, alla poesia ermetica o al lavoro di un autore come Zanzotto), sia quando il testo ci depista con segnali ingannevoli (è spesso il caso di Montale), sia infine quando un tempo lungo ci separa dal contesto letterario dell’autore (ecco perché è difficile, per chi non sia adeguatamente equipaggiato, capire le odi di Manzoni e ancora più difficile leggere la Commedia di Dante).
D’altronde il problema si pone più in generale per tutti i testi letterari. Se a essi «si chiede anzitutto di presentare una [loro] originalità nella disposizione ritmica degli elementi di linguaggio» (Vittorio Spinazzola, L’esperienza della lettura), al traduttore spetta il compito di identificarla e di renderla operante anche nel codice linguistico di destinazione. Per il traduttore, che è in primo luogo un lettore, l’infrazione alle convenzioni ha un senso in quanto portatrice di una funzione estetica. Bisogna che il traduttore automatico «senta» il piacere del testo, affinché sia un bravo traduttore letterario.
Anche quando la grammatica è priva di pietre di inciampo, ci sono cose che Google Translate non sa individuare. Prendiamo il celebre «Cali me Ishmael» con cui Melville dà avvio alla narrazione del suo capolavoro, Moby Dick. Nella traduzione di Cesare Pavese (1932, rivista nel 1941) l’incipit è reso alla lettera con «Chiamatemi Ismaele». Sembra una scelta ovvia, di immediata fedeltà al dettato. Eppure altri grandi traduttori, come Ruggero Bianchi e Giuseppe Natale, hanno cercato soluzioni diverse per riprodurre la forza connotativa di quell’attacco: «Ishmael – chiamatemi così» (Bianchi, 1993) e «Chiamatemi pure Ismaele» (Natale, 2007). Fino al «Chiamatemi Ishmael» della recente versione einaudiana a cura di Ottavio Fatica. Fa scelta di non italianizzare «Ishmael» in «Ismaele» ne preserva integra la funzione di nome-spia, la capacità di evocare immediatamente l’humus veterotestamentario di cui si nutre l’ispirazione di Melville e che traspare in ogni pagina di Moby Dick. Che cosa sa Google Translate di tutto ciò?
Prima di liquidare il tema, tuttavia, faremmo bene ad approfondire un paio di punti. Il primo si riferisce alla traduzione assistita da computer (computer aided translation, CAT), che va intesa come pratica distinta dalla traduzione automatica propriamente detta (machine translation) e che è sempre più utilizzata in numerosi contesti professionali. Il secondo riguarda l’evoluzione delle tecnologie a supporto della traduzione umana, le quali si dividono in diverse tipologie di strumenti.
Oggi l’impiego di sistemi CAT è molto diffuso, anche se non nel contesto della traduzione letteraria, la quale resta una disciplina artigianale, «manuale» e ad alto valore aggiunto (al punto che l’aura della letterarietà circonda e illumina talvolta anche il traduttore, sebbene di rado ottenga un riconoscimento economico a essa commisurato). Pensiamo agli ambiti delle traduzioni tecniche, commerciali e diplomatiche: centinaia di milioni di documenti che sono ormai abitualmente tradotti con il supporto del computer. Nell’ambito dell’Unione Europea, per esempio, opera il più grande centro di traduzioni del mondo. Fattività, svolta da migliaia di persone fra interpreti e tecnici, è svolta con l’ausilio di due supporti principali: Trados (una translation memory o translator’s workbench, TWB) e un sistema di traduzione automatica simile al vecchio Systran.
Ai sistemi CAT appartengono, appunto, le translation memories o memorie di traduzione. Esse hanno la funzione di suggerire la traduzione più frequente per un termine o un gruppo di parole, partendo da un corpus di testi che si arricchisce progressivamente con le nuove traduzioni prodotte e validate. Associate a ontologie terminologiche costruite su specifici domini di conoscenza, le memorie di traduzione si rivelano un ausilio molto potente in diverse situazioni.
Di recente ho avuto modo di coordinare in prima persona la traduzione di circa 50 mila pagine, per un totale di oltre 36 milioni di parole, di un popolare sito web dalla versione in lingua inglese – a sua volta tradotta dall’originale italiano – a quelle corrispondenti in cinese e in giapponese. Per il lavoro si è fatto ampio ricorso a sistemi CAT, istruiti nella fase iniziale mediante la definizione di un’ontologia terminologica contenente alcune centinaia di lemmi.
In sostanza la traduzione è diventata in molti contesti un processo in tre fasi: preparazione (umana), traduzione grezza (automatica), post editing (umano). I traduttori si trovano sempre più spesso a operare accanto a macchine: dizionari, glossari e memorie di traduzione, spelling checker, style checker, ontologie terminologiche. È difficile pensare che tali strumenti non saranno impiegati, prima o poi, anche a supporto delle traduzioni letterarie.