Professione traduttore

Rimasta per anni nell’ombra dell’autore, negli ultimi tempi la figura del traduttore ha risvegliato l’interesse del pubblico dei lettori, incuriositi dalle modalità e dalle tecniche di questa professione. Come si forma e come lavora, quindi, un traduttore editoriale?
 
Il 10 giugno di quest’anno la rubrica «Lo sportello dei sogni» del settimanale «Donna Moderna» riportava questa richiesta: «Cara Donna Moderna, sono un’appassionata di libri, culture e lingue, avida lettrice di testi anche stranieri. Mi piacerebbe tanto capire i meccanismi che stanno dietro l’interpretazione di un’opera e conoscere un bravo traduttore. Puoi realizzare il mio sogno? Titti». La redazione del settimanale ha accontentato la sua abbonata procurandole un biglietto per uno dei due «translation slam» organizzati annualmente a Mantova nell’ambito di Festivaletteratura, dandole modo di ascoltare due diverse versioni scaturite dallo stesso testo di partenza e di assistere alla discussione tra l’autore e i traduttori, a cui spetta motivare e difendere le proprie scelte.
Ascoltando le domande e le osservazioni del pubblico in occasioni come questa ci si rende conto di quanto la curiosità espressa dalla lettrice di «Donna Moderna» sia in realtà condivisa da molti, al punto che in qualche fiera del libro, come quella di Francoforte, capita addirittura di vedere un «traduttore in vetrina» che lavora a una scrivania mentre sullo schermo scorrono le parole che digita e il testo originale, permettendo al pubblico di assistere in diretta alla prima stesura di quella che, dopo molte riletture e rielaborazioni, diventerà la traduzione definitiva.
L’interesse verso questa figura che pare sfuggente ed enigmatica, se non addirittura invisibile, ma a cui in fin dei conti dobbiamo il piacere di leggere opere provenienti da ogni angolo del mondo, è dunque sempre più diffuso, e in molti si chiedono come si diventa traduttori editoriali.
L’accesso alla professione è cambiato nel tempo. Fino a qualche decennio fa spesso si arrivava al primo contratto con una casa editrice in maniera fortunosa, per lo più perseguendo con tenacia l’obiettivo di veder pubblicato un autore a cui ci si era appassionati nel corso degli studi o delle frequentazioni con l’ambiente culturale del paese d’elezione. Oggi, soprattutto in Italia, l’offerta formativa è molto ampia (forse troppo, con una grande disomogeneità qualitativa), a livello universitario ma anche privato: proliferano corsi di vario tipo, frontali e online, annuali o concentrati in pochi giorni o settimane, al punto che per il giovane che desideri praticare questo mestiere diventa davvero diffìcile orientarsi. Resta il fatto che ogni anno vengono sfornate centinaia di aspiranti traduttori pronti a bussare alle porte delle case editrici italiane, che si ritrovano con un surplus di domande di collaborazione a fronte di una produzione di opere tradotte in lenta ma costante erosione.
Ma come si svolge l’attività del traduttore editoriale professionista e in cosa consiste nella pratica quotidiana?
Innanzitutto bisognerebbe convergere su una definizione di traduttore editoriale che trovi tutti d’accordo: si può considerare tale chiunque abbia tradotto un libro nel corso della sua vita o è necessario stabilire criteri più restrittivi? All’interno del CEATL, il Conseil Européen des Associations de Traducteurs Littéraires, ai fini statistici si è deciso di definire traduttori editoriali «puri» quelli il cui reddito derivi almeno per il 75 per cento dai compensi per diritti d’autore percepiti grazie alle traduzioni svolte per conto di case editrici, testate giornalistiche o altri committenti della stessa tipologia. Molti, infatti, affiancano alla traduzione altre attività, e non solo in ambito editoriale: c’è chi insegna e chi fa l’interprete, chi è giornalista e chi è guida turistica, ma anche chi svolge professioni di tutt’altro genere.
Il motivo per cui i traduttori editoriali «puri» sono pochi deriva da una circostanza molto semplice: i compensi (rigorosamente a cartella, dato che purtroppo in Italia le royalty sulle vendite non sono quasi mai contemplate dai contratti di edizione di traduzione) sono troppo bassi per garantire una vita dignitosa a chi svolge questa professione.
La traduzione editoriale è infatti per sua stessa natura un’attività che richiede lentezza, riflessione, rielaborazione e un numero indefinito di stesure e riletture. Spesso sono necessarie lunghe ore di ricerche documentarie e verifiche fattuali, e non solo quando si tratta di saggistica: in qualsiasi romanzo si può incappare in astrusi dettagli riferiti ad armi, attrezzature per la pesca, programmi informatici, imbarcazioni, eventi storici, malattie rare, specie animali sconosciute, sport dei più disparati, strumenti di ogni genere e via di questo passo. Grazie alle ricche risorse presenti in Rete e ai numerosi forum di traduttori (e di esperti di vario tipo), oggi verificare la terminologia è diventato più facile di una trentina di anni fa – quando si era costretti a passare lunghe ore spulciando volumi polverosi in biblioteca, spesso senza risultato – ma questo vale soprattutto per le lingue più diffuse, e non sempre le informazioni trovate navigando in Internet sono affidabili. Non è raro, poi, che svolgendo le sue ricerche il traduttore si accorga di errori o incongruenze contenuti nell’originale, circostanza che lo costringe a mettersi in contatto con l’autore (se vivente) o a concordare con l’editore il da farsi, per non parlare dei problemi di traduzione classici (giochi di parole, rime, assonanze e allitterazioni, rimandi culturali e così via) che comportano lunghe ore di riflessione, letture, conciliaboli con colleghi e conoscenti, discussioni con la redazione.
Ma le difficoltà non si fermano qui: ogni testo, saggistico o letterario che sia, è caratterizzato da un registro linguistico, uno stile, una «voce» che si deve cercare di riprodurre e restituire al lettore. Per farlo, ciascuno sceglie il metodo che più gli si addice. In un’intervista pubblicata nel 2014 su www.scrivo.me, Fabio Genovesi, scrittore e traduttore, lo spiega in poche ma efficaci parole: «Credo che le tecniche per tradurre e scrivere siano come le mutande: ognuno usa le sue».
Un rapido giro sul sito www.lastanzadeltraduttore.com conferma che, a partire dalla situazione fisica in cui si lavora, non c’è limite alla fantasia: c’è chi dispone di uno studio e chi traduce su una panchina al parco, chi va regolarmente in biblioteca con il portatile e chi non si sognerebbe di spostarsi dal divano, chi lavora rigorosamente da solo e chi si circonda di persone, chi ascolta la musica e chi predilige il silenzio. Per farsi un’idea di come si svolge il lavoro di una traduttrice editoriale si può guardare il bel video Words Travel Worlds, vincitore del concorso dal titolo Portraits of Literary Translators indetto dal CEATL nel 2014, in cui le registe Cristina Savelli e Alessandra Maldina hanno immortalato Anna Rusconi, traduttrice dall’inglese che ha una lunga carriera alle spalle (www.ceatl.eu/words-travel-worlds-winner-of-ceat-ls-third-international-video-contest-spot-the-translator-2).
Anche per quanto riguarda l’approccio al libro da tradurre si può dire che «vale tutto». Se molti traduttori leggono il libro dall’inizio alla fine, magari anche più volte, prima di mettersi all’opera, non mancano quelli che preferiscono partire senza averlo neanche aperto, per mantenere il più possibile lo sguardo vergine del lettore comune. In certi casi il traduttore può conoscere già il testo, o perché l’ha proposto lui stesso all’editore o perché è stato incaricato di leggerlo per valutare l’opportunità di pubblicarlo.
Le stesure, in genere molteplici, possono essere molto diverse. Qualcuno fa la prima senza neanche aprire un vocabolario, di getto, per poi rielaborare frase per frase in quelle successive, mentre altri dedicano la massima attenzione alla versione iniziale, risolvendo i problemi nel dettaglio fin dal principio con la prospettiva di dedicare le revisioni ad aspetti come ritmo e musicalità della resa in italiano.
Fondamentale, per una buona riuscita del «prodotto finale», è la collaborazione con la redazione e in particolare con la persona preposta alla revisione, che può essere interna o esterna alla casa editrice (si veda a questo proposito il Decalogo per il processo di lavorazione delle traduzioni elaborato anni fa da un gruppo di lavoro di STradE, il Sindacato Traduttori Editoriali: www.traduttoristrade.it/decalogo/). Più in generale, il dialogo con le varie figure della filiera editoriale è molto importante per garantire una collaborazione fruttuosa. Il coinvolgimento dei traduttori a partire dalla scelta dei titoli da pubblicare, frequente soprattutto per le lingue più rare, garantisce all’editor e/o al direttore di collana una base decisionale più solida, e negli ultimi tempi anche qualche ufficio stampa si è accorto di quanto possa essere utile ed efficace invitare il traduttore in occasione di eventi promozionali relativi ai libri in uscita.
Da vero «imprenditore di se stesso», insomma, il traduttore deve saper gestire adeguatamente i rapporti con i suoi committenti (in genere più di uno, dato che da un lato è difficile ricevere un flusso adeguato di lavoro da una sola casa editrice e dall’altro è sempre saggio diversificare le fonti di guadagno), a partire dalla contrattazione delle condizioni di lavoro, che non si limitano al compenso a cartella ma coprono tutta una serie di aspetti (tempi di consegna, durata della cessione dei diritti di utilizzazione economica, diritto di rivedere le bozze eccetera), per arrivare al recupero crediti nel caso il pagamento del dovuto ritardi.
Ad aiutarlo ci sono le associazioni di categoria, in particolare il già citato STradE (www.traduttoristrade.it), che fornisce preziose consulenze contrattuali e fiscali ai suoi soci e ha stipulato una convenzione con uno studio legale specializzato in diritto d’autore, e AITI (Associazione Italiana Traduttori e Interpreti, www.aiti.org), che ha una sezione editoriale e fornisce ai suoi iscritti una serie di servizi tra cui spiccano le occasioni di formazione e di aggiornamento professionale. Entrambe le associazioni collaborano da anni con la Casa delle Traduzioni di Roma, organizzando incontri pubblici, workshop e seminari, e sono partner del recente progetto promosso da Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e dal Comune di Milano, con il sostegno della Fondazione Cariplo, attraverso il quale è stato creato il Laboratorio Formentini, nuovo spazio milanese dedicato all’editoria.
L’associazionismo fra i traduttori non si limita, però, agli aspetti per così dire utilitaristici: tra le esperienze più recenti e originali è senz’altro da segnalare quella dei Dragomanni (www.dra- gomanni.it). Nata per iniziativa di Daniele A. Gewurz, che ne tiene le fila, questa «non casa editrice» si propone di curare, rivedere e pubblicare in forma di e-book traduzioni di testi fuori diritti, oppure di opere contemporanee i cui diritti per la lingua italiana siano stati ceduti al traduttore. I partecipanti al progetto scelgono liberamente i materiali da tradurre e hanno la possibilità di rivolgersi ai colleghi per la revisione dei testi, che sono poi pubblicati in forma elettronica con una veste grafica comune. Un modo originale, insomma, di pubblicare quello che si sarebbe voluto tradurre da sempre, per il piacere di metterlo a disposizione di tutti. Forse la realizzazione ultima di quella che Massimo Bocchiola definisce, nel suo bel libro Mai più come ti ho visto da poco pubblicato da Einaudi, «la felicità del traduttore».