Quanto costa tradurre

Cartella editoriale, diritto d’autore, royalty, contratti, produttività: come orientarsi tra le variabili che influenzano il compenso per la traduzione di un libro, alla ricerca del fragile equilibrio tra una remunerazione più equa e dignitosa dei traduttori – sull’esempio dei paesi europei più avanzati –e le esigenze di mercato degli editori.
 
«I traduttori sono pagati male e traducono peggio»: così scriveva Antonio Gramsci nel 1929 in una delle sue Lettere dal carcere indirizzata alla cognata Tatiana. Da allora è passato quasi un secolo e se si può affermare con ragionevole obiettività che la seconda parte dell’affermazione è per fortuna superata – la professionalità dei traduttori è aumentata negli ultimi decenni grazie alla formazione specialistica, alle maggiori possibilità di soggiornare all’estero, agli ausili informatici e del web – lo stesso non si può purtroppo dire del compenso del traduttore, la voce che, insieme ai diritti corrisposti all’autore e all’editore stranieri, incide in maniera consistente sul costo di un libro tradotto.
Che il compenso di un traduttore spesso non sia adeguato al lavoro svolto è un dato di fatto, ma quali ne sono le cause? Innanzitutto la scarsa considerazione che hanno in Italia le professioni intellettuali e culturali, considerate poco «produttive», e di conseguenza l’insufficiente tutela e valorizzazione pubblica e privata di mestieri come il traduttore, l’insegnante, il conservatore del patrimonio artistico; nel caso dei traduttori pesa poi molto il luogo comune che «non ci vuole niente a tradurre», basta sapere un po’ una lingua straniera, avere un computer, qualche dizionario e del tempo a disposizione e il gioco è fatto. Effetti drammatici hanno avuto, soprattutto negli ultimi anni, i fattori economici contingenti: la crisi economica che dal 2007 ha colpito il settore librario più di molti altri ha portato prima a un congelamento, poi a un abbassamento dei compensi, situazione aggravata dallo scarso potere contrattuale del traduttore e da una domanda che supera di molto l’offerta.
 
Nel concreto quanto viene pagato un traduttore?
In Italia l’unità di misura più diffusa del compenso di una traduzione editoriale è la cartella di duemila battute, spazi compresi, mentre all’estero le traduzioni vengono pagate in genere a parola. Per dare un’idea, il testo scritto finora è una cartella editoriale (cioè duemila battute), o trecento parole secondo la consuetudine anglosassone. Un traduttore con esperienza sa che deve diffidare di un calcolo che si basi sul libro o sulla pagina dell’originale, per la diversa resa che ha nella lingua di arrivo.
Quanto viene pagata in media una cartella editoriale di una traduzione? Bisogna precisare che un calcolo esatto deve tenere conto di diverse variabili: la combinazione linguistica (una traduzione da una lingua minoritaria verrà pagata più di quella da una lingua veicolare, come per esempio l’inglese o il francese), la complessità, l’urgenza della consegna, la durata e l’ampiezza della cessione dei diritti.
Prendendo come campione una traduzione editoriale dal tedesco all’italiano di complessità media, possiamo basarci su un dato piuttosto oggettivo, fornito dalla fondazione Pro Helvetia e calcolato sui parametri economici relativi al nostro paese, che fissa il compenso minimo a 16 euro lordi a cartella. Questo significa che Pro Helvetia (una fondazione pubblica che sovvenziona la diffusione della cultura svizzera) ha stabilito che un traduttore italiano per mantenersi al costo attuale della vita nel nostro paese deve guadagnare almeno 16 euro a cartella. Al di sotto di questo compenso, lavorando le quaranta ore settimanali canoniche non ci riesce e quindi deve fare straordinari la sera (se non la notte) e i weekend.
Questo sarebbe perciò il compenso minimo «ideale» per una traduzione. La realtà è molto meno rosea: infatti se il compenso medio pagato dalle case editrici italiane si attesta sui 12-14 euro lordi a cartella, e se ci sono traduttori che riescono a superare i 16 euro a cartella, sono all’ordine del giorno casi di vero e proprio dumping in cui si accettano traduzioni a 6-8 euro a cartella. A un profano potrebbero non sembrare pochi: infatti cosa ci vuole a tradurre una paginetta di testo già scritto, «solo» da mettere in un’altra lingua? Dieci minuti? Guadagnare più di cinquanta euro all’ora non è male. Un traduttore automatico, poi, lo fa in pochi secondi…
 
Quanto tempo ci vuole a tradurre una cartella editoriale?
L’analisi del rapporto tra compensi e produttività del traduttore è essenziale per calcolare un reddito adeguato al costo della vita. Lo ha capito con lungimiranza il Sindacato dei traduttori editoriali STradE (www.traduttoristrade.it) che nel 2012 ha promosso tra i suoi iscritti uno studio interno su I redditi della traduzione editoriale per calcolare il tempo impiegato a tradurre un libro, specificando la lingua di partenza e la difficoltà, includendo anche tutto il lavoro collaterale di lettura, ricerca, correzione bozze. Le conclusioni sono state che in media – ma si può parlare solo di medie, perché ogni traduzione è un capitolo a sé – un traduttore riesce a produrre una cartella editoriale all’ora. Riportando questo dato sulla settimana lavorativa di quaranta ore per undici mesi, si arriva a un totale annuo di 1.500 cartelle.
Prendendo come riferimento lo stipendio (al lordo delle imposte ma al netto dei contributi) di un lavoratore con una formazione paragonabile a quella del traduttore, facendo le debite proporzioni risulta che il compenso medio di una cartella tradotta dovrebbe aggirarsi intorno ai 17 euro lordi, quindi abbastanza in linea con i calcoli di Pro Helvetia.
 
Del diritto d’autore, delle royalty e dei contratti
Ma per quale motivo si è calcolato lo stipendio di riferimento «al netto dei contributi»? Perché il traduttore editoriale, come altri autori di professione, è una delle poche categorie di lavoratori per cui non sono previsti accantonamenti previdenziali e assistenziali dal reddito, dato che giuridicamente – a differenza da quanto accaduto in altri paesi, per esempio in Francia – non si è elaborato alcuno strumento, a livello normativo o di accordo collettivo, in grado di riconoscere anche agli autori professionisti i diritti di base che dovrebbero spettare a tutti i lavoratori. E ciò nonostante la Legge sul diritto d’autore 633 del 1941 all’art. 6 riconosca che è attraverso un processo lavorativo, ancorché creativo, che viene alla luce l’opera dell’ingegno (per una sintesi del diritto d’autore del traduttore si rimanda al sito dell’Associazione Italiana Traduttori e Interpreti.
In teoria per legge il traduttore dovrebbe ricevere delle royalty (cioè una percentuale) sui ricavi dalle vendite della sua opera dell’ingegno, ma l’articolo 130 della LDA precisa che «il compenso può essere rappresentato da una somma a stralcio per le edizioni di […] traduzioni» e quindi di fatto tutti gli editori, con pochissime eccezioni, scelgono la via più economica di pagare una traduzione a stralcio (cioè in misura fissa, a cartella, senza proventi sulle vendite). La forma di compenso più equa per i traduttori, invece, sarebbe una formula «mista» con anticipo fisso e successiva percentuale, secondo i più avanzati standard europei. In tal modo si garantirebbe al traduttore sia un compenso certo per il lavoro effettuato sia una quota di partecipazione alla fortuna dell’opera che contribuisce a creare.
Ma come convincere un editore a rinunciare a una prassi ormai consolidata e ad accettare di negoziare con i traduttori come autori, nel pieno rispetto del loro ruolo economico e culturale? Nell’attesa che anche in Italia, come in altri paesi europei, si arrivi a modelli di contratti o «codici d’uso» condivisi tra i traduttori e gli editori (il sindacato STradE si sta impegnando in tal senso) il primo passo è prendere coscienza dei propri diritti e della normativa per acquisire maggiore consapevolezza nella contrattazione individuale. A tal scopo STradE ha elaborato un contratto individuale modello, presentato nel 2014 al Salone del Libro di Torino, articolabile in modo diverso a seconda delle diverse esigenze (www.traduttoristrade.it/contratto).
 
Il punto di vista degli editori
Difficile stabilire quanto possa incidere in media il costo della traduzione sul conto economico della produzione di un libro. Dipende infatti dalla tiratura, dalle royalty pagate all’autore straniero e al suo editore, dalle percentuali agli agenti letterari, dagli investimenti promozionali. Si può affermare che la traduzione incide di più sui libri a basso costo e a basse tirature che sui bestseller, e questo naturalmente perché, come si è detto, il traduttore non percepisce royalty sulle vendite. Resta il dato di fatto che la produzione di opere tradotte è in lenta ma costante diminuzione: se infatti nel 2002/03 il 23-24 per cento dei titoli era tradotto da una lingua straniera, il dato relativo al 2013/14 si attesta sul 17,9 per cento (fonte: Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2014, AIE), con un calo di quasi sei punti percentuali in dieci anni.
A questo calo dei libri tradotti si contrappone una crescita del peso dell’editoria italiana nel mondo: aumenta la vendita di titoli di autori italiani all’estero e si incrementa l’export del libro fisico. Questa inversione di tendenza corrisponde a precise scelte editoriali delle case editrici – dettate anche da fattori economici: da un lato risparmiare sulla traduzione e sui diritti all’editore straniero per la pubblicazione di un suo autore e dall’altro vendere a un editore straniero i diritti per la pubblicazione di un proprio autore – che hanno deciso di puntare più sugli autori italiani che sulla traduzione di autori stranieri. Non bisogna trascurare il fatto che questo orientamento editoriale, se dovesse confermarsi, oltre a peggiorare le opportunità lavorative per i traduttori, avrebbe importanti ricadute culturali, linguistiche e sociologiche a lungo termine, con una chiusura dell’orizzonte culturale mondiale (arriveremo anche in Italia a pubblicare solo il tre per cento di libri tradotti come nei paesi anglosassoni?).
La sfida dei prossimi anni sarà contrastare questa tendenza a una diminuzione dell’import di libri stranieri senza rinunciare a garantire un compenso più equo e dignitoso ai traduttori, nel rispetto delle esigenze di mercato delle aziende editoriali. Una via praticabile può essere quella di sollecitare, editori e traduttori insieme, maggiori sovvenzioni pubbliche alla traduzione – come avviene in tutti i paesi europei più avanzati, in prima fila Francia e Scandinavia – per tutelare a livello culturale e sociale l’importante opera del traduttore come mediatore di lingue e mondi lontani e diversi.